Secondo alcuni esperti le soluzioni per una agricoltura più efficiente e sostenibile sulla Terra potrebbero derivare da tecnologie e investimenti in innovazione nel campo della space economy. Ci siamo già occupati del tema: coltivare patate su Marte, per esempio, richiederà competenze sofisticate, che potranno essere ben spese anche per chi nella vita non sarà mai un astronauta o un turista spaziale. La storia di Chloe, startup foodtech fondata da Luca Mascetti e con sede a Milano, ambisce a portare il proprio business al di fuori dell’orbita terrestre. «La tecnologia all’interno delle capsule è studiata per permettere di coltivare ovunque, anche in assenza di gravità grazie a un substrato ad elevata capillarità, in grado di trattenere l’acqua e garantirla nei momenti di crescita».
Chloe, cosa si nasconde nella box?
In un primo momento si potrebbe pensare che Chloe abbia l’intenzione di servire il B2C, magari proponendo una sorta di coltivazione domestica, grazie alla distribuzione delle sue capsule, all’interno delle quali si possono coltivare finora 15 varietà di piante, come il basilico. «I nostri primi utenti operano nel settore della grande ristorazione. Il path di sviluppo del mercato proseguirà poi verso la GDO per poi atterrare nel B2B2C, per servire strutture come palestre e condomini».
Come si vede nelle immagini che pubblichiamo nell’articolo, ogni piantina è contenuta all’interno di una capsula. «Abbiamo sviluppato un sistema modulare e innovativo – ci spiega il Ceo Mascetti -. Tutto nasce dal concetto di cialda: sono scatole pre-seminate che permettono a chiunque di coltivare con un processo intuitivo e guidato da una app». Come ci ha raccontato l’ad di Chloe, in un sistema automatizzato questi mini-orti non necessitano anzitutto di terra. «Il progetto è stato realizzato insieme a JPWorks, l’incubatore di progetti industriali che ha sviluppato la tecnologia con noi fino al POC. Nel 2021 è stato premiato dalla NASA alla The Deep Space Food Challenge».
Un’alternativa alle vertical farm?
Con un background da ingegnere, Luca Mascetti ha alle spalle un percorso all’interno di Magneti Marelli, dove ha lavorato nel reparto innovazione. «Mi ha permesso di seguire progetti, dalla guida autonoma, alla cybersecurity, ai vari sistemi di assetto predittivo delle sospensioni fino all’immissione di sensoristica sulle vetture». Questa tendenza all’automazione l’ha in parte trasferita all’ambito agritech, dove le sfide future sono, come in ambito trasporti, altrettanto complesse.
«Abbiamo depositato due brevetti internazionali: la nostra soluzione consente di creare microambienti protetti e autonomi». L’automazione alla base del processo permette tutti i seguenti passaggi: «Non usiamo terra, ma un substrato che trattiene semi e nutrienti. Basta scansionare un QR code, l’app riconosce di che pianta si tratta e inserisce l’acqua necessaria in un sistema automatizzato. A quel punto si sposta il modulo per permettere ai semi di crescere. Utilizziamo il 98% di acqua in meno rispetto alla agricoltura tradizionale». La box non ha più necessità di alcun intervento umano perché è l’app a spedire una notifica quando la pianta è pronta.
La tecnologia ora affronta la prova del mercato e si inserisce là dove space economy e agritech trovano uno (o forse più) punti di contatto. Produrre cibo sano e di qualità in contesti estremi non è facile e le vertical farm, come ci ha spiegato Mascetti, richiedono importanti investimenti sulle infrastrutture. La soluzione di Chloe per questo punta ad allargare l’offerta.