Anche gli unicorni si azzoppano. Pochi mesi fa TechCrunch ha titolato “Losing the horn”. Ma è davvero così? Su StartupItalia al via un confronto con i VC sui campioni mondiali dell’innovazione. Intervista alla co-fondatrice di Panakès Partner
Unicorni scornati è il nostro speciale sullo stato di salute degli unicorni e quindi sulle aziende valutate almeno 1 miliardo di dollari. Pochi mesi fa TechCrunch ha pubblicato un articolo dal titolo assai eloquente: “Losing the horn”. «Gli ultimi anni sono stati su un ottovolante per il branco di unicorni del mondo delle startup. Due anni fa abbiamo visto un numero record di aziende superare il traguardo della valutazione di 1 miliardo di dollari. Ma quello slancio si è rallentato fino a ridursi lo scorso anno e le condizioni di mercato di questo 2023 sembrano destinate a invertire la rotta», ha scritto Rebecca Szkutak. Noi siamo partiti da una semplice domanda: che fase storica è per gli unicorni in Italia e nel mondo? Un modo per comprendere lo stato di salute dei grandi player tra rischi, cautele, opportunità.
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I big come Zuckerberg parlano di anno dell’efficienza e in tantissimi stanno licenziando. Ma utilizzando una focale più ristretta, il quadro è più variegato. «Molti fondi hanno raccolto durante la pandemia: 2021 e 2022 sono stati anni proficui». Diana Saraceni, cofondatrice del fondo Panakès Partner, ci ha offerto la propria angolatura relativamente al settore delle Scienze della Vita. «Se posso ancora citare un report di Silicon Valley Bank pubblicato a inizio anno sugli investimenti nel settore, la situazione è abbastanza eloquente: 50 miliardi di dollari di capitali disponibili, una cifra record, per gli investimenti nel settore early stage nel Life Science. C’è una grande liquidità che si sta investendo o dovrà essere investita anche se al momento l’attività sta rallentando».
È crisi?
Ovviamente il 2023 è ancora un anno caratterizzato dall’incertezza, dovuto alle condizioni macroeconomiche, al rialzo dei tassi d’interesse stabilito dalla banche centrali, alla guerra in Ucraina e alle pesanti correzioni in Borsa. Ma la finestra temporale è troppo corta per parlare di una crisi di unicorni che ricadrà senz’altro sugli ecosistemi nazionali. «Per il settore di cui mi occupo da oltre 20 anni vedo tanto capitale disponibile, e tanta attenzione. Mi auguro che i due fenomeni si compensino».
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Una prima macro-differenza tra il settore tecnologico e quello delle Scienze delle Vita si nota sul capitolo licenziamenti. Da inizio anno sono oltre 160mila quelli decisi da Meta&Co. Sul fronte biotech cosa succede? «È un’industria che continua con riaggiustamenti di valutazioni. Non ci sono stati i grossi layoff del tech, anche perché le startup del Life Science raramente hanno tante persone: quando sono grandi parliamo di società con 25, massimo 100 persone».
Unicorni e Life Science
Diana Saraceni, che ci ha raccontato la sua storia in un’intervista sul mondo del venture capital, in quest’occasione ci ha suggerito alcuni profili di unicorni del settore Life Science che anzitutto aiutano a inquadrare il comparto. Owkin, con sede negli USA, è una biotech che ha raccolto circa 300 milioni di dollari e con una valutazione superiore al miliardo utilizza l’intelligenza artificiale per lo sviluppo di farmaci. Nell’ambito delle terapie digitali ci è stato indicato il nome di Mindmaze, unicorno svizzero, che ha raccolto oltre 300 milioni ed è specializzato nelle neuroscienze per la riabilitazione.
In ambito di robotica CMR Surgical è una realtà angloamericana che ha raccolto circa 1 miliardo di dollari, attiva nella chirurgia e in particolare nella laparoscopia. HeartFlow, inglese, è un unicorno che sfrutta l’intelligenza artificiale per la diagnosi non invasiva delle malattie cardiovascolari. In America Alzheon si focalizza sullo sviluppo di un farmaco anti-amiloide per l’Alzheimer e altre malattie del sistema nervoso centrale. Infine Oura, unicorno finlandese da oltre 2 miliardi di dollari, che ha sviluppato una anello smart in grado di monitorare dati biometrici. Insomma, i giganti nel settore ci sono e stanno galoppando.
«I grossi budget nel biotech vanno negli studi clinici non nello staff», precisa. Si tratta di aziende della dimensione di una PMI sulle quali il mondo della medicina conta per la lotta contro diverse patologie e per molte altre sfide legate alla salute. Il fondo di Diana Saraceni gestisce 250 milioni di euro con in portfolio diverse startup. Protagoniste di un ecosistema, quello italiano, che sta mostrando diversi segnali positivi. Per alcuni osservatori che ascolterete nel nostro format Unicorni scornati la situazione per l’Italia potrebbe segnare una controtendenza. « Finalmente anche in Italia si sono registrati mega-deal. Nella storia italiana non c’è mai stata una situazione del genere».