Classe 2006, nata a San Polo, in provincia di Brescia, a soli 5 anni Angela Andreoli inizia la sua scalata verso il successo. «Mamma, voglio diventare anch’io una ginnasta», ripete ossessivamente a sua madre mentre in TV trasmettono la serie “Ginnaste Vite-Parallele“. Una passione nata per caso e diventata oggi un lavoro per la campionessa olimpica che ha regalato un sogno all’Italia. Laureata campionessa alle Olimpiadi di Parigi, Angela si è portata a casa la medaglia d’argento sfidando le atlete americane capitanate da Simone Biles nella ginnastica artistica a squadre. Una medaglia che vale ancora di più pensando che, con il suo ultimo esercizio a corpo libero è stata proprio lei a garantire il secondo posto all’Italia dietro agli States di Biles. Abbiamo avuto l’occasione di intervistarla a pochi giorni dal suo rientro in Italia dopo la grande vittoria.
Angela, anzitutto complimenti! Vi aspettavate questa vittoria?
Ci siamo sempre dette che dovevamo dare il tutto per tutto, sapevamo che la medaglia era alla nostra portata e la gara di qualifica era andata benissimo. Per noi quello è stato già un grande traguardo, poi sfidarci con gli USA ci ha dato uno stimolo in più e siamo riuscite a portare a casa una gara bellissima. Descrivere una gara olimpica non è facile, entrano in gioco un mix di emozioni e sensazioni contrastanti ma siamo davvero fiere di noi e di questo grande risultato.
Avete festeggiato?
Si ma neanche troppo, Manila e Alice avevano ancora altre gare da fare. Ma quella sera abbiamo fatto davvero fatica ad addormentarci. Quando lavori in squadra è come se tu entrassi in simbiosi con le altre, diventi quasi un tutt’uno. Tornata a casa, poi, mi hanno organizzato una bella festa.
Come nasce questa tua passione che ti ha portato fino a questo grande traguardo?
Avevo 5-6 anni e mi piaceva tantissimo seguire in TV la serie “Ginnaste vite parallele”. Così dissi a mia mamma che da grande avrei voluto anche io fare la ginnasta. Iniziai a fare le prove a 5 anni e mezzo, poi dai 7-8 anni ho cominciato a praticare questo sport sempre più seriamente alla “Brixia Brescia” che, inizialmente, si chiamava “Delfino” perché erano delle vecchie piscine. A 8 anni ho iniziato con le Nazionali mentre nel 2017 le prime internazionali in Francia che erano andate benissimo, abbiamo preso un oro di squadra e poi altri io ho portato a casa altri 4 ori.
Che differenze percepisci nel gareggiare in squadra piuttosto che da sola?
Partecipare in una gara da individualista significa essere concentrata sul tuo lavoro e non hai le tue compagne di fianco, invece con la squadra ci sosteniamo ed è un’esperienza più empatica, è come se diventassimo un’unica cosa. Tutte che cerchiamo di colmarci (e calmarci) a vicenda. E poi riuscire a vincere insieme è una sensazione unica, tutte quelle ore passate in palestra, anche i battibecchi, ma in fondo ci vogliamo bene come sorelle e siamo riuscite a coronare il sogno di una medaglia.
Quanto conta il supporto degli allenatori?
Nella Nazionale per noi ci sono Enrico Casella, direttore tecnico, Marco Campodonico e Monica Bergamelli. Li conosco da quando sono piccola, mi hanno cresciuto, e per me sono come una seconda famiglia. Senza di loro niente di tutto questo sarebbe mai stato possibile e sono molto fortunata ad averli incontrati durante il mio cammino.
Che programmi hai adesso?
Tornare in palestra ad allenarmi e continuare a lavorare per l’anno prossimo e per le prossime gare: mi aspettano le competizioni in Italia ma anche i mondiali e gli europei. Adesso questa mia passione è diventata un lavoro, sono anche un membro dell’Esercito italiano, caporale del corpo sportivo dei bersaglieri, ma poi c’è anche lo studio. Io frequento il liceo delle Scienze umane e il prossimo anno farò la maturità, poi mi piacerebbe studiare Lingue per le imprese all’Università.
Senti di aver dovuto rinunciare a qualcosa per inseguire questo tuo grande sogno?
Come tutti i grandi sogni, si deve sempre rinunciare a qualcosa. Nel mio caso io ho perso un po’ di amicizie soprattutto che mi ero costruita durante gli anni scolastici perché poi ho dovuto cambiare scuola. Ma se hai la passione che ti scorre nelle vene i sacrifici diventano sopportabili e io credo di aver trovato, col tempo, un giusto bilanciamento tra la sfera sociale e quello che ora è il mio lavoro. Con la mia migliore amica ci vediamo sempre, abita vicino casa mia e mi capisce quando le dico che, magari, un certo giorno non possiamo vederci. È bello avere accanto persone che ti conoscono da vicino.
Un consiglio per le atlete paralimpiche?
Vivetevela e godetevi il momento, quelle emozioni che state provando non vi ricapiteranno spesso e, poi, in bocca al lupo!