La CEO di Novis Games, startup che permette ai non vedenti di videogiocare intervistata per la rubrica Unstoppable Women: «Ho reso mio essere ‘un po’ maschio’ un punto di forza. Essere l’unica donna della stanza nel presentare la startup e in minoranza nel gaming è anche un’occasione per parlare di gender gap»
Di inclusione si parla spesso ma sono ancora molto poche le aziende che la includono nel proprio core business. Tra queste c’è Novis Games, la startup innovativa ad impatto sociale con sede a Torino trainata da Arianna Ortelli. Rivoluzionare il mondo del gaming rendendolo completamente accessibile a persone cieche e ipovedenti è la mission della startup. Abbiamo intercettato la giovanissima CEO per chiederle come è riuscita a far diventare un business quella che era soltanto un’idea e cosa significa per una ragazza lavorare in un settore a quasi completa conduzione maschile.
Arianna, come è nata l’idea di Novis Games?
Ho studiato Economia Aziendale e poi Business Admnistration all’Università degli Studi di Torino. Nel frattempo, ho lavorato come store manager al Mamà Bistrot, un format di Passione Italia Group, poi come Junior Consultant presso la SEI, School of Entrepreneurship & Innovation, dopo aver seguito un percorso di formazione su imprenditoria e innovazione. È lì che è nata l’idea di Novis Games, mentre stavo terminando la triennale. Passare dal prototipo all’idea in 10 giorni è stato difficile, ma ho cercato subito qualcuno che potesse essere interessato all’idea. Mi sono rivolta all’associazione A.P.R.I. di Torino per presentare il prodotto e, in quella occasione ho conosciuto Marco Andriano, ipovedente, che è stato uno dei primissimi ambasciatori ad abbracciare il progetto, entrando nel team come cofounder. Sono sempre stata appassionata di startup e innovazione. Penso che implementare l’utilizzo della tecnologia sia il motore per la crescita di modelli di business sostenibili sia da un punto di vista economico che ambientale e sociale. Nel mio tempo libero gioco a calcio, il mio sport preferito da quando sono bambina. Sono tifosa sfegatata del Torino FC, che mi ricorda sempre: “ama il tuo sogno, se pur ti tormenta”. Novis Games, con tutta probabilità, è nata dalla fusione di queste mie due passioni.
“Implementare l’utilizzo della tecnologia penso che sia il motore per la crescita di modelli di business sostenibili”
Come è cresciuta Novis Games?
Abbiamo creato una sorta di ping-pong con audio a destra e sinistra che permette a persone cieche e ipovedenti di usare la grafica. Nel 2019, abbiamo costituito la società e abbiamo ricevuto il primo investimento, che ci ha permesso di testare il mercato, finalizzare il prodotto e crescere come team. La svolta è arrivata lo scorso anno, quando siamo entrati a far parte di Quickload assieme a una community di oltre 500 persone tra non vedenti e ipovedenti e abbiamo ricevuto un investimento preseed da Digital Magics e Innova. La principale difficoltà che abbiamo riscontrato è stata rendere accessibile la grafica e il videogioco tradizionale permettendo di trasformare l’esperienza grafica che associa suoni a oggetti in una sorta di vocabolario che permette a non vedenti e ipovedenti di navigare online. L’agente virtuale potrà avviare e integrare diverse tipologie di gioco. Al momento, stiamo distribuendo questi tools a piccoli giocatori.
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Quanto e come è cresciuto, negli ultimi anni, il settore del gaming in Italia?
Il gaming, in Italia, è un settore che ancora ha bisogno di crescere. Novis Games ha avuto la fortuna di entrare in una community di piccoli giocatori indipendenti che stanno creando una rete di interesse a livello nazionale. Siamo andati a Colonia questa estate per partecipare a un’iniziativa in questo campo dove eravamo una briciola se comparati all’intero settore, ma essere molto piccoli avvantaggia le collaborazioni molto strette e con altre startup. A mano a mano abbiamo conosciuto altri mentor e advisor di altre società che ci hanno proposto delle collaborazioni. E’ un settore in cui si è sempre molto diffidenti. Si pensi che in Italia ci sono 160 aziende di gaming, ma se hai in mente di affacciarti come imprenditore in questo settore devi pensare a un progetto proiettato sul mercato globale. Entrare nell’ecosistema non è semplice ma, una volta che ci sei dentro, è facile fare community.
“Il gaming, in Italia, è un settore che ancora ha bisogno di crescere”
Da donna, è stato difficile entrare in un settore quasi esclusivamente a prevalenza maschile?
Da quando avevo due anni rompevo le scatole per giocare a calcio e ho sempre fatto tutto quello che mi girava per la testa. A mano a mano, il mio essere “un po’ maschio” è diventato un punto di forza e un modo per distinguermi. Essere l’unica donna della stanza nel presentare la startup piuttosto che giocare nel gaming è anche un’occasione per portare alla luce il fenomeno del gender gap. Ho sempre vissuto realtà molto giovani come Talent Garden e Fondazione Agnelli, dove sei circondato da altre startup e aziende giovani e innovatrici, in un ambiente molto disteso e mentalmente molto aperto, che mi ha dato lo stimolo per crescere.
Quali sono le ultime iniziative che avete lanciato?
“Sfida alla pari”, il videogioco accessibile anche a ipovedenti e non vedenti sviluppato assieme a Dinobros. Grazie al sistema sviluppato, le persone possono fare affidamento su un sistema di impulsi sonori, detti “audio 3D”, capaci di avvisare della presenza di ostacoli durante il percorso di gioco. L’idea è nata assieme a Samuele Sciacca e Manolo Saviantoni. Grazie a un un design e una storyline semplice e intuitiva, l’idea progettuale è applicabile su scala più ampia per videogiochi più complessi e di diversa natura con l’obiettivo di rendere sempre più inclusivo tutto il mondo videoludico, non solo italiano ma anche internazionale.
Quali sono i vostri prossimi obiettivi?
Oggi stiamo ampliando la nostra rete tra clienti, fornitori e partners, rendendo accessibili anche i videogiochi grafici attraverso il nostro tool di sviluppo accessibile e puntiamo a fare brand awareness con la possibilità di parlare di inclusione assieme a DinoBrost. Ci piacerebbe tantissimo collaborare con Università delle Neuroscienze e fare ricerca sui suoni. Al momento, abbiamo sviluppato un vocabolario che applica il gioco in maniera solamente ludica ma immaginiamoci che questi suoni comunichino l’azione che la persona ipovedente voglia svolgere: in questo senso, il progetto assume una sfaccettatura ancora più interessante. Per raggiungere questo obiettivo si deve lavorare tanto sia sulle metriche business che su quelle ad impatto; è un progetto che ha bisogno di respiro internazionale. Stiamo facendo un grande lavoro di sensibilizzazione e coltivando un buon rapporto con l’ecosistema.