Se non si conosce Luce d’Eramo, Io sono un’aliena è una occasione pregiata per attraversarne la stupefacente, complessa e dura avventura esistenziale, per incontrarne il pensiero puro e selvaggio, l’attitudine inesausta alle diversità, il sogno dei viaggi extraterrestri e la scrittura di fantascienza, le schegge di ironia che puntellano qua e là il discorso, anche quando è tragico. A cento anni anni dalla nascita – Reims, 17 giugno 1925 -, Feltrinelli ha rieditato Io sono un’aliena, lunga riflessione in parte sotto forma di intervista con la giornalista Paola Gaglianone, che uscì nel 1999 e che riprende le tappe di una vita di cui l’autrice ha cercato a ogni occasione di rovesciarne l’asse, seguendo, come ha scritto nella prefazione Margaret Mazzantini, il suo destino interiore sempre a repentaglio.
Una prospettiva mai allineata
Luce d’Eramo guarda le cose da una prospettiva aliena, ovvero mai allineata. Aliena, nel senso di indisponibile a piegarsi alle verità di facciata, agli schematismi e alle faziosità è, da giovanissima, la sua fame di conoscere. Cresciuta in una famiglia altoborghese fascista, seguì con entusiasmo i principi del regime fino al punto, nel 1944, di andare in Germania, come operaia in un campo di lavoro nazista e conoscere da vicino il nazionalsocialismo. Aveva 19 anni e non credeva al piano criminale nazista per sopprimere gli ebrei: non potevano che essere dicerie, pensava, ed era necessario smascherarle. Scrive in Io sono un’aliena: “Non era possibile vivere fra ciò che sentivo in casa e ciò che sentivo e vedevo fuori. Dovevo sapere: così, a diciotto anni e mezzo, sono fuggita di casa e mi sono arruolata volontaria come operaia nel Terzo Reich per andare a scoprire la verità. E l’ho scoperta. (Di certo il senso della misura non era il mio forte). Ormai sapevo, ero senza guscio, senza nicchia, senza difese, ero diventata l’Idiota di Dostoevskij e come lui volevo accettare tutto, capire gli altri anche a rischio d’impazzire. Ho raccontato in Deviazione (sarà un romanzo rivelazione, ndr) l’orrore d’allora: il lager, la fuga e il ritorno, il tentato suicidio, la sedia a rotelle. Ho impegnato trent’anni a scriverlo”. Scoperta in Germania la verità scioccante dei lager, Luce d’Eramo organizza una rivolta nel campo, viene arrestata e rispedita in Italia, ma a un soffio dai genitori che sono corsi a prenderla, si fa catturare e deportare, apposta per ritornare da dove era stata cacciata, e questa volta è per mettersi dalla parte dei sacrificati.
Nei lager fu testimone della barbarie e della disumanizzazione del sistema, che rende alieni l’uno all’altro gli oppressi. Scrive: “Ho visto le sofferenze e i patimenti dei prigionieri dei lager, che a un certo punto riproducevano gli stessi schemi dei dominanti, cioè movevano ai compagni le stesse accuse che venivano mosse loro. L’aspetto più atroce d’un oppressore, la cosa più grave è quella di condizionare il cervello d’un altro, è come se glielo rubasse. D’altra parte ho conosciuto anche gli atti di solidarietà del vivere allo sbaraglio, per cui a un certo punto si è disposti a tutto. E poi ho vissuto la capacità di sopportazione d’un essere umano: anche nelle condizioni più invivibili si riesce a cantare e a ridere”.
L’alienità una seconda natura
Amerà fino alla fine confrontarsi criticamente con i temi sociali, il suo terreno elettivo, maturato anche attraverso i limiti della disabilità, la sofferenza di muoversi su una carrozzina, dopo che durante un bombardamento, mentre è in Renania nel ‘45, un muro le cade addosso, schiacciandole la schiena e paralizzandole le gambe. Luce d’Eramo è un’aliena, perché compirà un percorso di ricerca, dentro e fuori di sé, senza farsi sconti, a partire dall’accudimento del corpo ferito, sentendosi diversa in un sistema allineato sul benessere e l’integrità fisica. “Per circa sei mesi, prima che fossi sottoposta a un intervento chirurgico di laminectomia che mi liberò parzialmente il midollo restituendomi le funzioni e la sensibilità corporea, mi ritrovai dentro a un corpo estraneo. L’ho raccontato in Deviazione: mi toccavo i fianchi, le cosce, e non sentivo niente. Di chi era quel corpo? E io, dov’ero? Credo che basterebbe soltanto questa condizione da me attraversata per alcuni mesi – ero in un corpo alieno – a spiegare per che via la dimensione fantascientifica mi s’è connaturata. Ognuno entra in fantascienza per vie diverse. La più scomoda delle porte per le quali mi ci sono inoltrata è stato questo trauma fisico. Da mia esigenza più o meno afferrabile, l’alienità è diventata una mia seconda natura. Però giusto allora mi sono ritratta. Il colpo era stato troppo forte. Dovevo fare il punto su troppe cose, dovevo chiarirmi troppe contraddizioni per potermi affidare serenamente al mio amico bisogno d’alienità. Ci sono voluti anni perché lo riconsiderassi con dolcezza”. Per tutta la vita, poiché si muoveva in carrozzina, sarà guardata con disagio. “Ma ancora oggi ci sono crudezze, travestimenti di razzismo che a volte per esempio riconosco latenti in quello che chiamo lo sguardo degli altri, nell’occhiata di fastidio d’un passante verso un nero che vende cianfrusaglie su un panno steso sul marciapiede, o anche nelle parole di falso pietismo per la mia condizione di donna finita in carrozzina. Forse da allora detesto la crudeltà delle buone intenzioni, i cosiddetti buoni sentimenti”.

Io sono un’aliena è un manifesto di identità consapevole, dove l’alienità è costruita attraverso un’autenticità interna assoluta e uno sguardo esterno nitido, che non risparmia nulla e costringe chi legge a confrontarsi con i garbugli dell’esperienza umana e le sue verità complesse, fino ai punti più estremi, come la scrittrice ha fatto in tutti i suoi libri. “M’interessano le situazioni estreme, la gente nei lager in Deviazione, i sovversivi in rotta con la società in Nucleo Zero, alcuni ospiti extraterrestri clandestini in Partiranno, i vecchi parcheggiati nelle case di riposo in Ultima luna, i ragazzi che si difendono aspirando alla chiusura mentale e affettiva in Si prega di non disturbare”. Scrive che è la diversità a calamitarla, ovvero “quello che non è riconducibile a comportamenti accettati da tutti, “conformi”. Questa è la spinta di fondo delle storie che racconto”. Partiranno, che comincia come una spy story ma accelera subito in romanzo di fantascienza, è l’opera dove Luce d’Eramo porta all’estremo il suo bisogno di comunicare con il diverso: “Ho scritto per cinque anni, dall’81 all’85, il soggiorno sulla Terra d’alcuni extraterrestri venuti dal lontanissimo pianeta Nnoberavez, ed è stato uno dei periodi più felici della mia vita. Alcuni bipedi umani riescono a intendersi con loro, coi quali non hanno niente in comune né fisiologicamente né culturalmente, mentre altri bipedi umani danno loro la caccia con ogni inganno e accorgimento. Nel frequentare questi Nnoberavezi, la mia domanda era: è possibile intessere qualcosa sulla durata con l’Altro da sé? Quaggiù, tra incasinati umani. Sì, m’hanno risposto”.