La musica l’accompagna da sempre, sin da quando era in fasce. Cinzia Pennesi, oggi direttore d’orchestra e di coro, pianista e compositrice, di chilometri ne ha macinati davvero tanti sotto i piedi (e non solo in senso figurato). Nata a Tolentino, in provincia di Macerata, 59 anni fa, in una famiglia appassionata, appunto, di musica, si è laureata con il massimo di voti in pianoforte, canto corale, direzione di coro e musica da camera. Ha studiato composizione con Fulvio Delli Pizzi e direzione d’orchestra con Franco Mannino, di cui è stata anche assistente. Dal 1990 dirige la corale polifonica “A. Antonelli” di Matelica e dal 2000 l’orchestra da camera Accademia della libellula oltre a essere pianista solista. Dal 2012, è la responsabile della fondazione premio Bellisario per la Regione Marche e dal 2015 insegna al conservatorio.
Quella che ci racconta Cinzia è la storia non solo di una donna che ha sempre creduto nelle sue capacità spingendosi, spesso, oltre i propri limiti, ma anche di un direttore di orchestra (tra le pochissime italiane) in mezzo ad altri direttori di orchestra tutti di genere maschile. A lei dedichiamo questa nuova puntata di Unstoppable Women.
Cinzia, quando hai iniziato a studiare musica?
Ho cominciato con il piano quando avevo 5 anni. Nella mia famiglia siamo in 5 fratelli e i nostri genitori, super appassionati di musica, ci hanno dato modo di occupare il nostro tempo libero in modo sano, anche se non pensavamo che saremmo diventati tutti dei professionisti in questo campo. Vivere in una casa sempre piena di suono mi ha fatto appassionare alla musica d’insieme e alla pratica collettiva, così ho iniziato la direzione di coro e orchestra. La prima volta in cui ho diretto un coro avevo 34 anni.
Poi che percorso hai fatto?
Mi è sembrato tutto molto naturale: avendo fatto pratica nella musica da camera e d’insieme, mi sono formata come direttrice d’orchestra, con molto stupore da parte della gente che identifica questo mondo con incarichi assegnati praticamente sempre a direttori maschi. Così io ho iniziato a studiare il modello femminile a cui ispirarmi: nella direzione si prende quasi sempre qualcuno a riferimento. E in quel momento mi sono resa conto che i modelli femminili mancavano perché le donne che raggiungono questo traguardo e lo mantengono sono davvero poche.
Quali sono, dal tuo punto di vista, gli ostacoli maggiori?
Raggiungere questa qualifica è una grande fatica – e questo vale sia per gli uomini che per le donne, chiaramente – ma i direttori di genere femminile hanno molte più difficoltà a mantenerla. Alcune, infatti, sono finite nel dimenticatoio e così si continua anche nel nuovo millennio a considerarlo un fenomeno straordinario. Io ho combattuto tanto anche per come veniva definito il mio ruolo nella narrazione, sbagliata. Si dovrebbe iniziare a dire che le donne che fanno cose belle non sono straordinarie, ma le fanno bene, raccontando così un’evoluzione, un progresso. Invece si pensa, nella coscienza collettiva, che l’ordinario sia che l’uomo faccia il direttore d’orchestra e se, invece, sia una donna a farlo questo diventa molto strano e fuori dal comune. Speriamo che, invece, diventi una consuetudine. Io ho frequentato le stesse scuole degli uomini: ho fatto lo stesso corso, gli stessi esami, studiato lo stesso repertorio…Perché dovrei suscitare questa stranezza?
Può raccontarci, se c’è, qualche episodio che l’ha coinvolta in prima persona in questo gender gap?
Posso dire che ci sono stati musicisti che si sono rifiutati di essere diretti da donne. Io penso che stare in mezzo a tanti professionisti con idee diverse sia un’esperienza bellissima che porta alla creazione di un prodotto culturale nuovo, sia che sia una donna a dirigere che un uomo. Immaginate, invece, essere un direttore d’orchestra senza orchestra solo perchè siete nate femmine. Io credo che le donne abbiano un approccio più empatico e analitico, non solo per quanto riguarda la direzione d’orchestra, ma anche in tanti altri lavori dove si trovano ai vertici. E la cosa che mi fa sorridere è che quando si solleva questa argomentazione spesso ci additano come “sindacaliste”. Aldilà di questi preconcetti, resta il fatto che chiamare una donna a dirigere un’orchestra trascende dall’artistico al sociologico. Assistiamo a un retaggio che sta tornando indietro nel tempo e che si interroga sulle libertà stesse della donna.
E i tuoi fratelli e sorelle oggi che fanno?
Mia sorella la violista e violinista, ha fondato l’orchestra con me. Mio fratello vive in Spagna dove si è trasferito per amore da tanti anni, e suona il violino. L’altro fratello è un chitarrista e vive a Cesena, mentre la più piccola fa la violoncellista.
Adesso che progetti hai in testa?
Avere una passione nella vita io credo che sia fondamentale. A me piacciono tantissimo anche il musical e il teatro, e per un certo periodo mi sono dedicata anche a quello, poi sono arrivata a un punto in cui ho deciso che non avrei fatto più tournée, non avevo neanche più tanta voglia di stare all’estero. Fu una scelta importante ma non la rimpiango: la musica è importante nella mia vita ma non è la mia vita. La mia vita sono la famiglia, gli amici e questo mondo che dovremmo far diventare migliore. Oggi, oltre a dirigere, partecipo anche a conferenze e speech. Mi piace molto questa mia attività parallela perché porto i valori della musica in ambiti apparentemente lontani, come quelli aziendali e scolastici.
Tra i tuoi tanti viaggi all’estero, quali ricordi con più affetto?
Ne ricordo soprattutto due: la rappresentazione con il bandoneonista Hector Ulises Passarella, con cui ho lavorato come pianista dell’ottetto dal 1995 al 2000, con l’interprete del Postino di Troisi durante la rassegna di tango mondiale a Montevideo, in Uruguay. E aver diretto l’opera di Morricone, l’unica teatrale, a Seoul con la regia di Stefano Genovese e l’orchestra sinfonica di San Pietroburgo. La mia è stata una vita in viaggio, non facile a volte da gestire ne, tantomeno, da raccontare, ma è stata felice nonostante tutti gli sforzi che mi ha chiesto e a cui ho dato ascolto.