Amiche per caso, colleghe per scelta. Olimpia Santella un paio di anni fa viveva a Londra, Chiara Airoldi ad Amsterdam. Due giovani donne alla scoperta del mondo, tanta curiosità, una passione sfrenata per la moda ma anche un grande senso di responsabilità verso l’ambiente. Così è nata Cloov. «Ci siamo conosciute durante un convegno dedicato alla sostenibilità, entrambe stavamo pensando a come poter risolvere il problema della gestione dello stock invenduto e alla necessità di implementare strategie circolari per estendere il ciclo di vita dei prodotti». Schierate contro il fast fashion da sempre, Olimpia e Chiara iniziano a immaginare quella che poi assumerà le forme della loro società, che soltanto pochi giorni fa ha chiuso un round da 400mila euro.
Leggi anche: Dall’Africa all’Italia nel segno del coding. «Così siamo rinate grazie all’informatica»
L’impatto ambientale del fast fashion
Secondo l’ultimo rapporto elaborato dall’Agenzia europea dell’ambiente, nel 2020 il settore tessile è stato la terza fonte di degrado delle risorse idriche e dell’uso del suolo. In quell’anno sono stati necessari, in media, nove metri cubi di acqua, 400 metri quadrati di terreno e 391 chilogrammi di materie prime per fornire abiti e scarpe per ogni cittadino dell’UE. Secondo le stime, la produzione tessile è responsabile di circa il 20% dell’inquinamento globale dell’acqua potabile a causa dei vari processi a cui i prodotti vanno incontro, come la tintura e la finitura. Il solo lavaggio di capi sintetici rilascia ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari e rappresenta il 35% di microplastiche primarie nell’ambiente. Un unico carico di bucato di abbigliamento in poliestere può comportare il rilascio di 700.000 fibre di microplastica che possono finire nella catena alimentare. Per quanto riguarda le emissioni e i gas serra, l’Agenzia europea ha calcolato che l’industria della moda è responsabile del 10% delle emissioni globali di carbonio, più del totale di tutti i voli internazionali e del trasporto marittimo, mentre gli acquisti di prodotti tessili nell’UE nel 2020 hanno generato circa 270 chili di emissioni di CO2 per persona. I cittadini europei consumano ogni anno quasi 26 chili di prodotti tessili e ne smaltiscono circa 11 kg. Gli indumenti usati possono essere esportati al di fuori dell’UE, ma per lo più vengono inceneriti o portati in discarica (87%).
Come è nata Cloov
«Con l’emergere delle catene fast fashion, i giovani spesso ricorrono a prodotti lavorati da brand che non prestano attenzione all’impatto ambientale – spiegano le due co-founder – Nell’ottobre del 2021 abbiamo iniziato a pensare a una possibile soluzione». Chiara già operava nel settore della moda, Olimpia faceva tutt’altro: lavorava in banca ma ho sempre avuto un’occhio attento all’impatto ambientale. «I nostri lavori ci hanno insegnato un mindset che ci è stato molto utile nello sviluppo del progetto, orientandoci al raggiungimento di obiettivi, numeri e risultati – raccontano – Abbiamo messo insieme i nostri interessi e da lì a breve è nata Cloov». Come abilitatore, la startup consente a brand e retailer di offrire direttamente ai propri clienti un servizio di noleggio e di vendita second-hand. «Da subito abbiamo iniziato a ragionare sul come portare in Italia il nostro modello di business innovativo», affermano le imprenditrici.
Il rientro in Italia
Determinate, intraprendenti, coraggiose e decise che quella sarebbe stata la strada giusta da seguire, Olimpia e Chiara tornano in Italia. In mano la loro piccola creazione che dopo vari tentativi sono riuscite a portare a termine. «Il Regno Unito e l’Olanda sono mercati più reattivi, il cliente qui ha già approcciato il second hand e noi abbiamo voluto portare questa best pratice nel nostro Paese natale – raccontano le due co-founder – Inizialmente ci siamo gestite totalmente da remoto, vivevamo negli aeroporti praticamente, poi siamo rientrate e abbiamo registrato la nostra sede a Milano». Per facilitare l’adozione di questo modello circolare, in Italia Cloov offre un servizio end-to-end: si occupa della creazione del sito web per il noleggio e/o il second-hand personalizzabile, della gestione degli ordini, della calendarizzazione dei ritiri e del processo logistico (incluso lavaggio e ricondizionamento). Una priorità per i brand di moda anche alla luce della direttiva europea “Waste Framework Directive” che richiede ai players di settore di adottare sempre più misure per prevenire i rifiuti e ridurre l’impatto ambientale.
Chi supporta Cloov
A supportare l’idea di Olimpia e Chiara, tra i brand ci sono anche Atelier Emé, parte del gruppo Calzedonia, che collabora con la startup milanese per offrire un nuovo servizio di noleggio che consente di usufruire per un massimo di 10 giorni di una selezione di capi di abbigliamento femminile e accessori. Al termine del noleggio, si possono restituire i capi con servizio di spedizione e lavaggio gratuiti oppure acquistarli come capi di seconda mano. Tra le altre realtà che supportano Cloov c’è Axxelera, veicolo di investimento del gruppo Innovando (società di investimenti italiana che lavora nel settore dell’economia circolare, del recupero dei materiali e dei carburanti alternativi). «Abbiamo collaborato anche con Simonetta Group per la collezione bambino e vogliamo creare sempre più consapevolezza sul mercato rispetto alla costruzione di un verticale sostenibile, guidando anche i nostri partner nella comunicazione. I nuovi consumatori cercano novità, vogliono conoscere i valori del brand, sapere che cosa comprano, da dove viene, mentre la maggior parte dello stock oggi viene smaltito in discarica».
I prossimi step di Cloov
Adesso Olimpia e Chiara guardano all’Europa. «Vogliamo migliorare il software e la customer experience, rafforzarci nel contesto italiano, chiudere nuove partnership e collaborare con altri brand. A cavallo tra il 2024 e il 2025 ci spingeremo in Europa. In particolar modo, ci interessano i mercati spagnolo, tedesco e del Nord Europa, più sensibili alla sostenibilità». Il team si è già ampliato: «A gennaio abbiamo assunto un full stack developer e presto avremo un’altra figura di supporto che ci aiuterà nella gestione delle partnership. Su questo punto insistiamo molto perché puntiamo a fare altri accordi con altri brand consolidati attenti alla sostenibilità – concludono Olimpia e Chiara – In vista delle direttive comunitarie, c’è attenzione da parte di tutti i Paesi nell’accogliere nuove modalità di consumo sul ciclo di vita del prodotto».