Per la nostra rubrica “Unstoppable Women” intervista a Francesca Berti, vincitrice del 21° Premio italiano L’Oréal-UNESCO “Per le Donne e la Scienza”. «Sono alla ricerca di supporto economico per realizzare alcuni prototipi che saranno utili al benessere dei pazienti. La stampa 3D fondamentale per intervenire con rapidità»
Ingegnere biomedico di esperienza, Francesca Berti oggi studia come migliorare i trattamenti per i neonati affetti da cardiopatie congenite gravi. Lo fa avvalendosi anche delle ultime innovazioni nel settore della biomedicina, con l’utilizzo di tecnologie di stampa 3D che consentono la produzione di oggetti unici e molto complessi, sviluppati sul singolo paziente in tempi molto brevi. In questo ambito, infatti, il fattore tempo è decisivo perché, in molti casi, determinerà le condizioni di salute del piccolo. Per la nostra consueta rubrica del sabato dedicata alle donne che non si fermano mai, Francesca ci ha spiegato nel dettaglio come lavora su queste nuove tecnologie e quali sono i progetti per il futuro, che non è solo il suo ma anche quello di coloro che verranno al mondo con questo tipo di problematiche. Il suo lavoro è già stato premiato durante la 21a edizione del Premio L’Oréal – UNESCO “Per le Donne e la Scienza”, un prestigioso riconoscimento che è stato assegnato ad alcune scienziate italiane capaci di contraddistinguersi per l’alto potenziale delle proprie innovazioni.
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Come e quando ti sei appassionata al campo della ricerca medica?
La mia prima esperienza di ricerca è stata durante la tesi magistrale in Ingegneria biomedica (nell’anno accademico 2015-16). In quel periodo mi sono occupata della messa a punto di modelli per la predizione della rottura di dispositivi medici per la chirurgia spinale, sfruttando metodologie sia sperimentali che numeriche. La tesi mi ha consentito di interagire con diverse figure professionali: dai produttori dei dispositivi ai chirurghi che si occupano del loro impianto, e mi ha insegnato ad approcciare i problemi in maniera multidisciplinare, che mi ha fatto propendere per la scelta di proseguire la mia formazione con un dottorato di ricerca e, attualmente, con il post dottorato al Politecnico di Milano.
Come descriveresti la tua innovazione?
Il progetto che porto avanti ha l’ambizione di studiare e realizzare dispositivi personalizzati per migliorare il trattamento di cardiopatie congenite gravi nei neonati. L’utilizzo di tecnologie di stampa 3D consentirà la produzione di oggetti unici e molto complessi, sviluppati a partire dalle immagini cliniche del singolo paziente e, soprattutto, in tempi brevi. In questi casi, infatti, il fattore tempo è fondamentale per trattare queste situazioni molto critiche nelle prime settimane di vita del neonato. Questi dispositivi, detti “stents”, che si presentano come piccoli tubicini a griglia del diametro di qualche millimetro, andranno a supportare la funzione di alcuni importanti vasi sanguigni che durante la vita in utero sono bypassati dalla presenza della placenta e che invece, richiudendosi, non garantirebbero un corretto apporto di sangue al neonato. L’uso di metalli, come le leghe a memoria di forma, può aiutare a realizzare dispositivi impiantabili mediante catetere che si adatteranno al sito anatomico da trattare e che saranno poi in grado di accomodare la crescita del paziente nei suoi primi mesi di vita.
A quali sfide ti trovi di fronte oggi?
Attualmente le sfide sono molteplici: dalla progettazione che ogni stent deve avere, sulla base delle esigenze individuali del paziente, alla difficile realizzazione di dispositivi in leghe a memoria di forma con componenti micrometriche mediante stampa 3D.
Cosa ti ha spinto a partecipare alla call di L’ORÉAL-UNESCO?
L’idea di progetto che ho candidato è uno studio le cui fondamenta sono in costruzione da qualche anno. Sfortunatamente, come diciamo in gergo: “a tempo perso”, dato che non vi era nessun finanziamento attivo che lo supportasse ma solo l’interesse verso la ricerca. Già l’anno scorso sono venuta a conoscenza di questa opportunità dedicata a giovani ricercatrici, ma l’idea non era ancora pronta perchè stavo svolgendo alcuni test preliminari insieme ai miei collaboratori. Quest’anno ho deciso di partecipare, anche con l’obiettivo di cercare un supporto economico per provare a realizzare qualche prototipo. E’ un percorso molto lungo, ma questa opportunità mi consente di procedere un po’ più velocemente.
Che cosa ti porti a casa da questa vittoria?
Non mi aspettavo di essere selezionata tra le vincitrici, anche se credo molto nell’originalità e nella portata innovativa dell’idea e delle implicazioni che può avere. Il mio progetto, infatti, non riguarderà soltanto il benessere dei pazienti (che sarà qualcosa di raggiungibile tra molto tempo, a valle di ulteriori sperimentazioni e finanziamenti probabilmente), ma anche un avanzamento dello stato dell’arte della stampa 3D di leghe a memoria di forma e di valutazioni pre-cliniche mediante modelli computazionali. Questo riconoscimento mi sprona a fare sempre meglio e mi dà l’opportunità di essere, per la prima volta, la responsabile di un progetto di ricerca che guido e coordino e che rappresenta un passo molto importante per la mia indipendenza scientifica.
Hai qualche progetto in cantiere che puoi anticiparci?
Attualmente sto lavorando a diverse attività di ricerca riguardanti dispositivi medici molto diversi: dalle protesi ortopediche alleggerite per ridurre comuni effetti indesiderati come le fratture ossee e la mobilizzazione, fino a studi incentrati sulla comprensione di problematiche specifiche dei materiali, come gli stents, per trattare alcune patologie delle arterie femorali.