Chiara Galgani è docente di relazioni media e comunicazione finanziaria all’Università Tor Vergata di Roma. Valeria Santoro è giornalista di MF Dow Jones. Insieme hanno scritto “Leadership femminile, esiste davvero?” per FrancoAngeli Editore e oggi firmano il guest post di StartupItalia
Chiara Galgani e Valeria Santoro sono le autrici del nuovo libro per comprendere il tema dell’empowerment al femminile con una fotografia che ripercorre gli ultimi cinquant’anni. Nel volume “Leadership femminile, esiste davvero?” in uscita oggi emergono consigli, strategie e aspetti irrinunciabili da considerare per il proprio sviluppo professionale e per la messa a punto di ogni strategia vincente. In questo post trovate un estratto.
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Leadership femminile in numeri
La presenza femminile nei consigli di amministrazione delle società italiane quotate continua progressivamente ad aumentare. Nel 2021 si è raggiunto il massimo storico per la presenza delle donne nei board delle aziende presenti in Borsa, ma è ancora significativamente basso il numero di quelle che riescono a raggiungere il vertice della piramide. Per molte è ancora difficile rompere il soffitto di cristallo. Secondo i dati contenuti nel Rapporto Consob 2022 sulla corporate governance, alla fine del 2021 il 41% degli incarichi di amministrazione nelle società quotate è esercitato da una donna1.
Un salto di 2,4 punti percentuali rispetto al 2020 e sopra l’obiettivo indicato dalla legge Golfo-Mosca sulle quote di genere, più conosciuta come legge sulle “quote rosa” perché ha affrontato la sotto-rappresentazione delle donne nelle posizioni apicali delle imprese in Italia. Il dato del 2021 fa registrare un vero e proprio balzo in avanti rispetto al 2011, anno in cui è entrata in vigore la legge che fissava la quota di genere al 20% nei Cda e nei collegi sindacali delle società quotate, poi portata al 30% nel 2015. A dicembre 2019, un emendamento alla legge di bilancio 2020 ha prorogato le disposizioni previste dalla Golfo-Mosca, che sarebbe altrimenti scaduta nel 2022, e innalzato la quota di genere al 40%4. Prima dell’introduzione delle “quote rosa”, la presenza femminile nei board delle società quotate era appena il 7%. La normativa sulle quote di genere ha permesso all’Italia di fare passi da gigante verso la parità. Consentendo inoltre di svecchiare i consigli di amministrazione, abbassando l’età media dei componenti, e innalzando allo stesso tempo i livelli medi di istruzione e la diversificazione delle competenze professionali.
Ma l’Italia è ancora indietro nei ruoli executive: solo il 2% delle società quotate ha un Ceo donna Se l’Italia è molto vicina all’obiettivo di avere il 45% di donne nei Cda delle società quotate entro il 2026, come fissato dalla Strategia nazionale per la parità di genere, ancora molto lunga è la strada da percorrere verso l’obiettivo del 35% per i ruoli dirigenziali. Un dato, quest’ultimo, che dimostra ancora una volta come la legge Golfo-Mosca stia funzionando principalmente laddove la quota di genere è imposta, mentre il cambiamento è più lento se il sistema non viene forzato. Nei ruoli esecutivi delle società, l’obiettivo della parità è un traguardo molto lontano. La quota di donne che ricoprono posizioni dirigenziali e intermedie rimane stabile al 23%, ma nei board delle 410 aziende quotate in Borsa6 si contano solo 16 amministratori delegati e 30 presidenti donne. Un dato simile a quello registrato nel 2021.
Le società con un Ceo donna sono rappresentative di poco più del 2% del valore totale di mercato, mentre quelle che hanno una presidente rappresentano il 20,7% della capitalizzazione complessiva di piazza Affari. La percentuale scende ancora di più nelle banche che restano quasi esclusivamente a guida maschile: la quota di amministratrici delegate rappresenta solo l’1%. Secondo i dati dell’European Women on Boards, la percentuale di donne Ceo in Italia è scesa nel 2021 al 3%, dal 4% del 2020. Italia, seconda in Europa per numero di donne nei board Alla fine del 2021, la maggior parte delle società ha applicato la quota di genere dei due quinti: in particolare, si contano 131 società nel cui organo amministrativo siedono in media 4 donne che rappresentano quasi il 44% del board. Anche in questo caso, i risultati positivi sono stati favoriti dall’applicazione della legge Golfo-Mosca. Per rendersi conto del cambiamento che le quote rose hanno impresso in poco più di 10 anni, basta considerare che nel giugno 2011, quando venne approvata la legge, le società quotate erano 272, con un totale di 2.815 consiglieri, di cui 2.646 uomini e soltanto 169 donne. I collegi sindacali delle quotate contavano 817 sindaci, di cui 762 uomini e soltanto 55 donne. È grazie alla legge Golfo-Mosca che adesso l’Italia si colloca al secondo posto in Europa per il numero di donne nei Cda, pur rimanendo ancora molto indietro per la leadership femminile nelle posizioni direttive apicali: solo il 17% contro il 33% della Norvegia e il 25% del Regno Unito11. Fra il 2011 e il 2019, secondo dati Consob e Banca d’Italia, la presenza femminile nelle posizioni di vertice delle imprese italiane è rimasta nel complesso limitata, nonostante si siano registrati progressi significativi soprattutto nelle società sottoposte all’obbligo delle quote di genere. La percentuale delle donne nei consigli di amministrazione nel 2011 era il 22% nelle società di capitali e significativamente inferiore nelle società quotate e nelle banche, dove si attestava rispettivamente al 7 e al 6%. Nel corso di questo decennio, la quota delle donne con incarichi negli organi di amministrazione e di controllo è risultata in costante crescita fino a portare la presenza femminile ai massimi storici.
La moltiplicazione degli incarichi e l’interlocking La presenza delle donne nei Cda si caratterizza per la carica di amministratore indipendente. Le donne ricoprono questo ruolo in tre casi su quattro13. Una volta entrate nelle stanze dei bottoni, poi, moltiplicano gli incarichi: nel 30% dei casi le donne sono titolari di più di una funzione di amministrazione (interlockers), circostanza che si verifica con maggiore frequenza rispetto agli uomini. Un dato in flessione sia rispetto all’anno precedente sia al massimo raggiunto nel 2019, quando il 34,9% di donne aveva contemporaneamente un incarico, a seguito di una crescita significativa nel periodo 2013-2018. L’interlocking non è considerato un fenomeno positivo perché le donne titolari di più di incarichi di amministrazione non riescono a fare esperienza di tipo executive. Nei Cda aumentano le donne laureate in materie Stem Un’indicazione che fa ben sperare per il futuro emerge dall’analisi dei curricula degli amministratori. Secondo dati Consob rielaborati da Valore D14, le donne rappresentano il 20% dei consiglieri in possesso di una laurea in discipline Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics). Un trend che, se confermato, potrà contribuire a eliminare le distorsioni di genere che ancora vedono una sotto-rappresentazione delle donne nello studio di discipline scientifiche e tecnologiche, una minore occupazione e una retribuzione inferiore rispetto agli uomini anche a fronte di un rendimento scolastico migliore. Dirigenti: nel 2020 le donne guidano la crescita.
Nel 2020, in controtendenza con il resto dei lavoratori dipendenti, il numero dei manager è cresciuto seppure in misura lieve. A guidare l’incremento dei dirigenti, secondo un’analisi realizzata da Manageritalia su dati Inps15, sono state le donne (+1.031 pari a +4,9%), confermando una corsa in atto già da alcuni anni e che la pandemia non ha assolutamente fermato. Corsa che le ha portate a essere il 19% del totale. Infatti, dal 2008 al 2020, a fronte di un calo dei dirigenti del 2,4%, le donne sono cresciute del 56,3% e gli uomini sono diminuiti del 10,3%. Un fenomeno spiegabile con il maggior peso che le donne hanno nei gruppi di dirigenti più giovani (33% tra gli under 35 e 27% tra gli under 40) rispetto al totale (19%) e tra i quadri, e quindi nel peso che assumono nel ricambio che vede uscire soprattutto manager in fasce d’età più alta ed entrare quelle più giovani. A livello territoriale, le donne dirigenti sono cresciute in tutte le regioni tranne che in Valle d’Aosta, Friuli Venezia-Giulia e Molise. Tra le province più rosa spicca Milano con 8.705 donne dirigenti, seguita da Roma (4.405) e Torino (1.132) a chiudere il podio. Nei primi dieci posti ci sono solo province del Nord. Se invece si considera il peso percentuale delle donne dirigenti, prevalgono alcune province del Sud, spesso caratterizzate da un bassissimo numero di dirigenti in assoluto e quindi facilmente influenzabili da vari fattori. In questo caso, al primo posto c’è Enna con le donne dirigenti (56,7%) che superano addirittura gli uomini.