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“Ho attraversato il mondo e il mondo ha attraversato me”: Eleonora Goio, 65 anni, ex insegnante di educazione fisica, oggi viaggiatrice curiosissima, libera, avventurosa, ha trovato nel suo viaggiare e nei racconti che gli dedica il gancio per rimontare la sua disabilità. Quando sta ferma – il che non capita di frequente – vive in un piccolo paese della provincia di Pesaro-Urbino, in una casa in paglia e canapa combinata che abita nel silenzio, ma che apre al mondo e dove costruisce (anche) progetti di turismo accessibile e inclusione sociale. Eleonora si racconta così.

Eleonora Goio, “nomade nel corpo e nell’anima”

“Sono una nomade nel corpo e nell’anima, cresciuta in una  famiglia di viaggiatori, dove lo erano pure due zie che, da donne, sono andate per il mondo pur essendo nate cento anni fa. Quando erano bambini, caricavo i miei figli in macchina e partivamo contenti verso vacanze in campeggio libero che erano tutte da inventare, con la tenda sopra il tetto dell’auto. Il viaggio senza organizzazione e mappe predefinite è da sempre la mia felicità e la mia dimensione autentica: significa partire senza sapere bene cosa ne verrà, ma con la consapevolezza che la vita riserva sorprese incredibili a chi ha la libertà d’animo per vederle e godersele. “Chi vive vede molto, chi viaggia vede di più”, recita un proverbio arabo. 

A bordo di una Mehari, nel 2008, ho fatto Italia-Kazakistan e poi ho girato Pechino insieme a un uomo, un medico, incontrato per caso qualche mese prima durante un viaggio in treno; l’anno dopo, sempre su quella vecchia Citroen, abbiamo esplorato i Paesi Arabi del Mediterraneo. Niente flirt, niente amore, solo un’eccezionale sintonia elettiva tra un medico con sei lauree e un’insegnante di educazione fisica, sportiva incallita, che parlava quattro lingue: io a vent’anni mi ero messa a girare l’Italia in autostop, lui l’Europa in moto. Il terzo anno – era il 2010 – puntavamo alla Mongolia, e invece la vita mi ha destinato una carrozzina a rotelle: con un intervento chirurgico che sapevo rischioso, avevo voluto operare un angioma al cervello con cui avevo convissuto da sempre e l’esito era stato una emiparesi. Immobile a letto e temporaneamente muta, scrivevo bigliettini per dire come stavo e cosa mi serviva. Bene!, mi sono detta in quei tre mesi in ospedale, questa è una prova: va accettata e attraversata per intero, da qualche parte mi guiderà. Uscita da lì, ho chiesto ai miei figli di accompagnarmi a Barcellona, in un viaggio con un tutore a tutta gamba che rappresentava la celebrazione di una ripartenza esistenziale. 

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Photo credit Eleonora Goio

Lo sport? Una personale forma di salvezza

Ho seguito una fittissima fisioterapia, tuttora è un impegno obbligato e costante e oggi cammino appoggiandomi ai bastoncini da Nordic Walking. Cammino con i miei ritmi e i miei tempi, ogni panchina è l’occasione per sostare e, poi, riprendere. Praticare sport continua a essere una mia personale forma di salvezza. Ne ho sempre fatto molto, anche dopo la disabilità: vela, cavallo, canoa, bicicletta… Alla bicicletta ho rinunciato dopo che a Cuba, pedalando lungo una spianata disabitata, per seguire con lo sguardo un airone cenerino ne ho perso il controllo e ho fatto una caduta rovinosa, battendo a terra la testa. Mi ha salvata un ragazzo che per miracolo ha assistito da lontano a quella scena e si è precipitato a soccorrermi. Viaggiare come lo faccio io è una forma assoluta di libertà, e i rischi sono parte di questa condizione straordinaria. Ho subìto un’aggressione fisica in Tanzania, ho scampato non so come una violenza sessuale alle Canarie, ma in Siria e in Turkmenistan sono stata accolta nelle case di persone sconosciute come una di famiglia. 

Gli ostacoli peggiori sono quelli che ci creiamo, da soli, nella mente. In fondo, è la nostra mente che ci apparecchia l’esistenza: è capace di fermarci o, al contrario, regalarci avventure incredibili. Io amo farmi sorprendere dalla vita, e per questo accetto in maniera empatica e istintiva le incessanti opportunità che di volta in volta la vita mi riserva: magari al momento non colgo il senso vero o la finalità di un incontro e di un’esperienza, ma nel tempo il disegno si chiarisce e il significato si perfeziona, sempre. La condizione perché accada è aprirsi all’universo, cercare, sperimentare, incontrare, emancipandosi dalla nicchia di comfort che le paure costruiscono, a partire dalla paura del diverso, di chi è sconosciuto e di tutto quanto non rientri nella routine. 

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L’acqua è una terapia, il mare è cura

Durante un viaggio ai Caraibi con amici su un’imbarcazione governata da una skipper svedese – un’ex ballerina professionista che a quarant’anni aveva mollato tutto, attraversato l’Oceano Atlantico in solitaria e si era stabilita ai Caraibi -, mi sono innamorata della vela. Del resto da giovane, all’università, facevo kayak fluviale, poi sono diventata istruttrice di nuoto, subacquea e assistente di salvataggio. Oggi la mia vita è il mare. L’acqua è una terapia, la scrittura dei miei viaggi è una terapia: il mare è cura, svuota i pensieri del loro peso, ci salda in armonia con il tutto. Il mio ultimo libro, Infinitamente acqua, una visione romantica del navigare, racconta di me e Mercurio, un’imbarcazione a vela di dieci metri, amatissima e dal forte spirito arcaico e anticonformista, che oggi è tra Atene e Corinto e che mi sta aspettando. 

Navigo per cinque, sei mesi all’anno. In questi ultimi cinque anni di navigazione prima lungo le coste italiane, poi attraverso le isole greche – delle 227 abitate, ne ho mancate appena una trentina – ho imbarcato – perché da sola non potrei proprio farcela –  una sessantina di assoluti sconosciuti, che oggi sono diventati una grande famiglia: skipper, ex armatori, insegnanti di karate, scrittori, spiriti liberi e i loro cagnolini, Nino, Sem, Rosi, Sandra, Giovanni… La vela è così, costruisce legami tenaci. La prossima estate sarò con Mercurio e un sempre nuovo, improvvisato equipaggio nel mar Egeo. Per gli anni successivi progetto di tornare in Siria, Libano, Israele via mare, quindi scendere nel Mediterraneo e risalire, infine, verso le Baleari. In cinque, sei anni dovrei farcela. Finora ciò che ho sognato l’ho realizzato: io ho attraversato il mondo e il mondo ha attraversato me”.

eleonora goio libro