Non ha scelto una carriera facile (purché esistano “carriere facili”, ma forse alcune lo sono più altre). Enrica Priolo, 49 anni, di Cagliari, è un’avvocata che da anni si occupa di nuove tecnologie e diritti umani. «Ho iniziato a specializzarmi sul tema della Protezione dei Dati Personali quando era appena uscita la GDPR nel 2004 e da allora non ho mai smesso». Dopo l’impiego al TAR, dove Enrica ha dovuto fare i conti con certi colleghi che, neanche guardandola in faccia, le dicevano: «Oh bimba, spostati», di strada ne ha fatta tanta. «Anziché buttarmi giù, sono stata sempre più determinata. Mi sento femminista nei valori nella parità di genere e se poi sarò più brava di uomo sarà che lo sono più di tutti, e non di un “uomo”». Per la nostra rubrica Unstoppable Women, l’intervista a una delle protagoniste del nostro prossimo appuntamento con SIOS25 Sardinia: Next Edge.

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Enrica, durante la tua carriera hai vissuto episodi di gender gap?
Nonostante oggi si siano fatti molti passi in avanti per abbattere la barriera del gender gap, sì. Io ho iniziato il mio percorso lavorativo al TAR (ndr il Tribunale Amministrativo Regionale) in un ambito prettamente maschile e machista. Ricordo alcuni episodi in cui i colleghi mi dicevano: “Oh bimba spostati”, ma anziché buttarmi giù sono stata sempre più determinata e ho sempre puntato in alto. Mi sento femminista nei valori nella parità di genere, se poi sarò più brava di uomo sarà che lo sono più di tutti, e non di un “uomo”. Purtroppo, però, c’è ancora tanta strada da fare. Inutile dire che il trattamento economico tra uomini e donne è diverso. Queste disparità le avverto molto forti ancora, è ora di dire “basta”.
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Credi che le nuove generazioni accusino meno queste discriminazioni?
Indirettamente le vivono, anche se non sulla propria pelle, su quelle dei genitori, ma confido molto nei ragazzi di oggi, sensibilizzati anche dal fatto che Internet ha anche una funzione informativa. D’altro canto, credo che a fare la differenza non debbano essere solo gli uomini. Anche le donne devono fare la loro parte e questo molto spesso non accade. Evitare, dunque, i vittimismi ma essere consapevoli di quello che ci troviamo a dover affrontare. Io ho sempre studiato tanto e, nonostante tutto, oggi faccio esattamente quello che mi piace e sono esattamente dove vorrei essere. Nel corso degli anni ho avuto la mia rivincita e la cosa che più di tutte mi fa sorridere è che oggi i miei fan più “accaniti” sono proprio uomini.
Quindi l’antidoto al gender gap qual’è?
Credo che passi soprattutto per la sensibilizzazione. Da qualche anno uso i social per fare divulgazione, prima ero spaventata da questi nuovi strumenti, pensavo che fossero un po’ privi di contenuti, ma ho capito che utilizzandoli nel modo giusto si riesce, invece, a far passare messaggi importanti. Prima non mi sentivo pronta, poi mi sono affacciata su LinkedIn e ho visto che c’erano idee e scambi di pensiero. È allora che ho dato valore al contesto, e quel mezzo mi ha persino aiutata a trovare lavori anche per commesse significative.

Nella tua comunicazione, quali sono state le linee guida che hai seguito?
Il mio mantra è “semplificazione”. Il diritto può apparire noioso e io ho ho cercato di trasmettere alcuni concetti a quante più persone possibili. Credo, inoltre, nell’autenticità e nella genuinità: secondo me, premiano sempre. Inoltre, non parlare di cose che non si conoscono ma studiare, studiare e studiare. Prima mi occupavo di diritto pubblico, col tempo mi sono appassionata a quello digitale. Ricordo il primo caso che ho trattato di pedopornografia: non riuscivo ad andare avanti perché non capivo che cosa dicesse l’informatico che seguiva la vicenda. Allora mi sono messa a studiare programmazione, ho imparato le basi di Piton, svariati software, mi sono circondata di nerd e ingegneri e mi sono innamorata del fatto che riuscissi a instaurare un dialogo con persone così lontane dal mio ambito.
Quali sono, secondo te, le minacce (se ci sono) a cui ChatGPT come altri software di AI ci mettono davanti oggi?
La pigrizia mentale è quella più seria, di conseguenza la mancanza di sviluppo di un pensiero critico e la capacità di essere creativi. Io ho un mio ChatGPT, che si chiama “Priscilla” e che è pensato per aiutarmi, me lo sono personalizzato. La vera questione da chiedersi oggi è se abbiamo capito che ci stiamo omologando con l’AI.
Come sei entrata nel campo del diritto digitale?
Ho avuto il mio primo approccio con la Protezione dei Dati nel 2004, quando è uscita la prima GDPR. Ho dovuto studiare la materia e ho capito che c’era tanto da imparare. Oggi seguo le aziende nella tutela della privacy, che va calcolata in tutti i processi aziendali. La gestione del rischio è una cosa complessa da mettere in pratica, ma se ognuno fa la sua parte, tutta l’organizzazione funzionerà bene. Io mi faccio affiancare da esperti di cybersecurity e collaboro con una software house sarda perchè, chiaramente, non sono un’esperta di informatica ma una fedele sostenitrice del networking e della mescolanza di competenze. E poi sono dell’idea che alla base di tutto ci debba essere la condivisione e saper riconoscere che c’è qualcuno più bravo da cui imparare. In questo, penso che i social creino degli ostacoli: non rendono le persone umili ma ognuno deve essere un numero 1. In realtà si è bravi anche a scegliersi i colleghi giusti con cui lavorare.
Contro la pigrizia mentale c’è, quindi, lo studio?
Assolutamente. ChatGPT rende più pigro il cervello mentre tutti dovrebbero studiare gli LLM per capire come funziona la macchina. L’omologazione mi terrifica e l’AI generativa è pericolosissima quando si perde l’autenticità di cose: le informazioni e le fonti sono sempre le stesse e così manchiamo di creatività. Non vorrei, un domani, avere davanti dei pigroni, ma degli studiosi. Solo così non crederemo più alle fake news. Istruirsi e studiare è l’antidoto, altrimenti a comandare, un domani, saranno davvero le macchine.