È nata a Roma ma ha vissuto a Rieti fino a 18 anni, poi ha spiccato il volo (anzi, la corsa!). Prima a Bologna, dopo la laurea in Ingegneria gestionale alla volta dell’Inghilterra. Quella sarà solo la prima tappa di un lungo viaggio che la porterà molto lontano. Tra le scuderie della F1 e quelle della Formula E Cristiana Pace cerca sempre di mettere assieme tre pilastri che la guidano da tutta la vita: l’ingegneria, l’innovazione e la sostenibilità. E poi, nemmeno a dirlo, quello più importante di tutti: la passione. Non ne è mai mancato uno fino a oggi, che è alla guida di Enovation Consulting Limited, società di strategia e sostenibilità focalizzata sulla costruzione di strategie di sostenibilità per l’industria del motorsport e dello sport. Quella di Cristiana è la storia di una Unstoppable che è riuscita a sfondare in un mondo decisamente a prevalenza maschile e a fare la differenza in un intero comparto, quando di sostenibilità tra gomme da cambiare in millisecondi e motori rombanti nelle orecchie ben poco si parlava.

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Cristiana, quando hai scoperto la tua passione per l’ingegneria?
Direi molto piccola. Quando avevo 10 anni mio fratello rompeva le cose e io le aggiustavo. Allora già sapevo che sarei diventata un’ingegnere. A 12 anni ho avuto il mio primo pc e anche una connessione Internet, ho iniziato subito a metterci mano. A Rieti, dove sono cresciuta, c’era la Texas instrument che apriva le loro porte anche a ragazzi e ragazze incuriositi già negli anni 80-90. E così ho avuto modo di conoscere ancora più da vicino quel mondo.
E quando questa “verve” ha iniziato a concretizzarsi?
Dopo il liceo mi sono iscritta alla facoltà di Ingegneria gestionale all’Università di Bologna. Era un corso molto avanzato, si studiavano già materie come la microelettronica ma anche il comportamento umano. E sì, ero tra le pochissime donne a frequentarlo.
Come ti sei avvicinata poi al mondo dei motori?
Devo dire per caso, a Bologna ho fatto una tesi sul motorsport perchè la facoltà era strettamente connessa al circuito di Imola e poi con gli amici, da studenti fuori sede, ci andavamo perchè mangiavamo la pizza gratis! (ndr risata). Da allora, quella passione mi ha travolta. A Cranfield ho conseguito un Master in Motorsport Engeneering e, dopo un impiego part time come delegato tecnico, sono approdata in una startup che seguiva il mondiale in F1.
E così sei arrivata nel mondo della Formula 1…
Esattamente, ho trascorso i miei primi 10 anni come ingegnere di pista, dal 2004 al 2012, sviluppando machine system e sistemi di comunicazione di dati oltre alle safety car. In quegli anni sono anche entrata in contatto con il mondo della sostenibilità. Nel 2008 ho avuto il piacere di conoscere l’ex presidente FIA (ndr Federation Internationale de l’Automobile) che è un illuminato su questo settore. Sono entrata a far parte della Williams Advanced Engineering, una divisione della Williams F1, come Business Development Manager e mi è stato, poi, dato il compito di allargare la nostra visione di sostenibilità a vari stakeholder. Da quel momento, quel segmento è diventato una colonna portante di tutto il mio lavoro.

Tu sei stata anche una consulente della FIA..
Sì, un incarico che ho preso nel 2009, per la moto safety e sustainability. Si deve tenere presente che parlare di materiale sostenibile e certificazioni in quel periodo era tutt’altro che semplice perché non se ne capiva spesso l’importanza.
Poi hai avuto anche esperienze di tutt’altro tipo..
Si, anche nel campo del net-tech. Avevo messo a punto un sistema di telemetria bidirezionale per il monitoraggio nelle culle dei neonati durante il COVID19, in collaborazione con l’Oxford University Hospital. Ho sempre cercato di mettere a frutto quello che ho imparato nei motori anche in altri campi, perchè molte delle tecnologie che vengono adottate in un settore specifico poi possono avere sbocchi molto interessanti anche in altre branchie dell’innovazione.
Ma torniamo un attimo ai motori, in F1 poi che cosa hai fatto?
Ho sviluppato una a fornitura di batterie per il progetto FIA Formula E, che ho guidato dal 2013 al 2015, e che mi è valsa anche un riconoscimento importante. Per questo progetto e quello sviluppato con l’Oxford University Hospitality sono stata riconosciuta da WES e The Guardian come una dei Top 50 Engineering Heroes.
Poi che cosa è successo?
Stranamente – ma, si sa, la vita è imprevedibile – sono voluta tornare all’Università per un dottorato sulla sostenibilità. Volevo capire come questo tema fosse sempre più pervasivo anche in altri settori che non fossero quelli del motorsport per applicarla, poi, proprio nei motori. Pensavo che quando lo sport chiede sostenibilità, prima o poi sarà anche tutto il mondo del motorsport a richiederla. Così ho conseguito il mio dottorato all’Università di Coventry. L’idea era quella di finire il dottorato e tornare in Federazione, ma i tempi non erano ancora maturi, e mi sono dedicata ad alcuni progetti sempre in F1 che mettessero al centro la sostenibilità. E nel frattempo ho anche avuto 3 figli!

E poi è arrivata Enovation Consulting…
Si, la mia creatura. Siamo partiti in 4, poi 7 e ora siamo a 17 nel team. Ci ho messo 7 anni per realizzarla ma ero convinta che sarebbe stata una realtà ad alto potenziale. Oggi tra noi c’è anche l’AS Roma che ha seguito le orme della sostenibilità e così, dopo il calcio hanno iniziato a interessarsi a noi anche il tennis, la vela e il team di Sebastian Vettel. Oggi contiamo clienti in tutto il mondo, dall’Arabia Saudita al Middle East fino al Canada, Giappone, America, Australia.
In sostanza, di che cosa si occupa Enovation Consulting?
Nata nel 2018 con sede a Silverstone, dove vivo dal 2001 (a pensarci oggi ho vissuto di più in Inghilterra che in Italia!), ci dedichiamo al tema della consulenza sulla sostenibilità applicata, appunto, in più settori. Stiamo anche aprendo un ufficio a Roma.
Ma tu hai mai accusato il gender gap in un settore prettamente a guida maschile?
Ricordo ancora che al liceo alla mia professoressa di Italiano dissi che avrei voluto fare l’ingegnere. Mi guardò in faccia e mi disse: “Ma al massimo potrai fare l’insegnante di matematica”. Sono tornata da lei molti anni dopo con la mia laurea in Ingegneria in una mano e il mio master in Motorsport nell’altra. Devo dire, invece, che in F1, nonostante fossi l’unica donna ingegnere i colleghi mi hanno sempre supportata, anzi spesso ci scherzavamo sopra, ma sempre con sarcasmo. Per me la F1 è come una grande famiglia che ha avuto l’intelligenza di cambiare le cose.

Oggi ti occupi anche di abbattere il muro del gender gap nelle più giovani?
Si, sono vicepresidente del primo club motoristico per sole ragazze presso la Truro High School for Girls e coordino un progetto iniziato nel 2011 che oggi si chiama “Girls on track“. In particolare, andiamo nelle scuole a parlare con le ragazze per incoraggiarle allo studio delle Stem e a fargli capire tutte le opportunità che il mondo del motorsport offre. In particolare, ricordo una ragazza che mi disse: “Ma io dopo la scuola voglio sposarmi”. L’ho sempre supportata. Oggi, con quel ragazzo non si frequentano più ed è un ingegnere.
Ma qual è il “trucco”?
Soprattutto avere accanto le persone giuste. Per fare un esempio, ho conosciuto mio marito sui campi di gara, era un meccanico Redbull. Quando abbiamo avuto il primo figlio, lui si è dimesso perchè io volevo tornare in pista, poi ci siamo dati il cambio. Oggi lavora con me.
Cosa ti porti dietro dalla F1 nella tua società?
L’approccio all’innovazione, prima di tutto. Da una settimana all’altra poteva cambiare tutto, avevamo tanti progetti e dovevamo sempre restare su un livello altissimo. E poi, il data driven, che ho completamente trasportato nella mia azienda. Credo che il futuro sia green e donna, abbiamo una marcia in più anche sul multitasking, ma in Italia c’è ancora tanto lavoro da fare, soprattutto sul gender gap. In Inghilterra oggi noi parliamo già con le bambine delle elementari e vogliamo portare la best practice che abbiamo imparato qui anche in Italia. Si tratta di un processo molto lento, ma sta succedendo.