«Ho sofferto di bulimia per più di 8 anni. A 19 anni sono stata ricoverata e ho seguito un lungo percorso psicologico che mi ha aiutata a liberarmi di quel mostro. Tutto questo è stato possibile grazie al supporto, essenziale, di professionisti che mi sono stati vicini e mi hanno seguita a 360 gradi. Ora di anni ne ho 27 e la mia missione è quella di aiutare altri e altre che, come è successo a me, non riescono a vedere una via d’uscita in un tunnel completamente buio». A raccontarci la sua storia è Giorgia Bellini, CEO di Corabea, una community con sede a Perugia composta da un’equipe di professionisti esperti nel trattamento dei disturbi alimentari che, attraverso un modello multidisciplinare, aiuta coloro che soffrono di queste malattie.
Come è nata Corabea
A rappresentare un punto di svolta nella vita di Giorgia è stata la pandemia. «Quando è arrivato il Covid, io iniziavo a stare meglio, ma leggevo che i casi di disturbi alimentari si stavano impennando, arrivando persino a un aumento del 40%. Così decisi di iniziare a sfruttare il potere dei social per raccontare la mia storia», spiega Giorgia. E la sua pagina Instagram ha cominciato a riprendere vita. «Ho iniziato a raccontare il mio vissuto: gli anni della malattia, il ricovero, la via d’uscita – spiega – Ho sempre dato molta importanza ai professionisti grazie ai quali sono riuscita a liberarmi da quel male che pensavo inguaribile. Dopo che la mia casella di direct ha iniziato a riempirsi di messaggi da parte di persone, più o meno giovani, che stavano vivendo tutto quello che ho dovuto passare io, ho deciso che era giunta l’ora di fare qualcosa di più concreto». E così ha preso forma quella che oggi è Corabea, un nome che non è stato scelto a caso e che per Giorgia porta con se un grande significato: «Quando ero ricoverata, tra le attività che facevamo c’era anche quella del decoupage e nella palestra dove svolgevamo i nostri lavoretti c’era un grande cartellone con scritto “Cor habeo” che significa “avere e agire con cuore”. Così ho pensato di declinarlo al femminile e di utilizzare proprio questo nome per la mia “creatura”».
Dall’idea all’azione
«A livello assistenziale in Italia ci sono pochi centri che si occupano di gestire questi problemi, e spesso si viene ricoverati per un periodo che non è sufficiente per la guarigione totale. Inoltre, per decidere chi ricoverare e chi no, dato che i posti sono limitati, ci si basa sul peso della persona: se sei più sottopeso rispetto a un altro, avrai più chance di essere accettato. Ma la malattia non funziona così», spiega Giorgia, e aggiunge: «L’anno scorso mi sono ricordata di questa situazione che ho sofferto anche io ed è stato l’input che mi ha convinta a dare vita a Corabea». Lavorando sodo, a fianco di sviluppatori e professionisti del settore, oggi in Corabea lavorano 35 persone e il 15 marzo, in occasione della Giornata dei disturbi alimentari, è stata lanciata l’app. «Si tratta della prima applicazione in Italia che si occupa di disturbi alimentari».
Entrando più nel dettaglio, la CEO ci ha spiegato come funziona: «Dall’app ci si può prenotare per una call conoscitiva. Una delle difficoltà più grandi per chi soffre di questi disturbi, infatti, è proprio quella di chiedere aiuto. A seguito del colloquio, al richiedente sarà assegnata un’equipe, composta da uno psicologo e un nutrizionista e la persona sarà seguita passo dopo passo, a 360 gradi, sia da un punto di vista alimentare che psicologico». Un servizio che si svolge in fully remote e che può, davvero, cambiare la vita di certe persone.
L’unione fa la forza
Secondo Giorgia, quello che fa la forza è proprio la sinergia che in Corabea è riuscita a creare tra il team degli psicologi e quello dei nutrizionisti. «Nella nostra squadra c’è un approccio integrato che, spesso, a cose normali manca, perché ci si rivolge solo al nutrizionista o solo allo psicologo. Nell’app, invece, si segue un percorso in sinergia con queste due figure che passa anche per la fase motivazionale, la mindfullness, gli incontri online, il supporto per i familiari». E il lancio dell’app è solo il primo step per coloro che decidono che è giunta l’ora di cambiare vita. «Tra le novità che abbiamo da poco inserito in piattaforma c’è la possibilità di prenotare gli appuntamenti, appunto, tramite l’app, chattare direttamente con l’equipe di riferimento, accedere a una sorta di “cassetta degli attrezzi” in cui gli esperti caricano il materiale utile a coloro che seguono e i vari strumenti per lavorare tra un colloquio e l’altro. Inoltre, abbiamo inserito percorsi di mindfulness e mindflueating ed è attiva anche la fatturazione automatica tramite l’app». Il target a cui si rivolge Corabea è molto variegato: «Sono passata da aiutare una bambina di 11 anni a una ragazza di 19 che tutt’ora non toglie mai la mascherina per paura, fino a una signora di 67 anni. Ma a fare richiesta sono state anche persone che vivono fuori dall’Italia, come ragazze alla pari che mi hanno contattata da Londra, New York, dalla Germania, dalla Spagna. Chiaramente questo percorso non può andare bene per tutti, perché c’è anche chi ha bisogno di essere ricoverato, ma il messaggio più importante che con il mio team ci teniamo a trasmettere è quello di rompere il muro della vergogna».
Consigli pratici per coraggiosi
«Se pensassi alla Giorgia di anni fa, le direi di trovare il coraggio di chiedere aiuto perché più teniamo dentro di noi questo peso, più diventa logorante – spiega la CEO di Corabea – E vorrei dire a tutti quelli che non riescono a pensare che varrebbe la pena di fare questo salto che dovrebbero capire che c’è sempre un’altra possibilità, un’altra vita e non esiste un “momento giusto” per cominciare, quel momento è adesso. Se ce l’ho fatta io, ce la possono fare tutti». Insomma, Carpe Diem. «I disturbi alimentari sono la punta di un iceberg di una grande sofferenza – conclude Giorgia – E non si deve pensare che ci siano problemi più o meno grandi: se qualcosa ci fa stare male, per noi è un grande problema. Quello che noto nei tanti incontri che faccio è che la maggior parte delle persone che si rivolgono a Corabea hanno tanti punti in comune come la mancanza di affetto in famiglia, la mancanza di dialogo, la separazione dei genitori, aver sofferto di bullismo. In questo lavoro serve, prima di tutto, empatia».