Ha studiato Alte Energie al CERN, poi Cosmologia a Roma. Ma ha vissuto anche a Torino, Stoccolma, Parigi. Infine, è tornata in Italia, prima a Padova poi a Verona. Oggi Lidia Pieri, fisica, imprenditrice, mamma, vive a Milano con la sua famiglia ma di fermarsi (da un punto di vista almeno mentale) non ci pensa proprio. A fine gennaio 2025 è stata anche eletta nel consiglio direttivo di Italian Tech Alliance. «Ho lavorato dove l’innovazione si toccava con mano. Tra il 2000 e il 2010 sono stati anni incredibili per chi, come me, stava studiando la materia oscura, perché stavano arrivando i primi dati condivisi e sapevamo che la prossima “ondata” ci sarebbe stata 15 anni dopo – racconta Lidia Pieri – Sono stata fisico delle Alte Energie, poi cosmologa. Mi sono sempre occupata di cercare la verità delle cose non tralasciando la bellezza di quello che ci circonda e la fisica dell’universo, ma essendoci stati, sino a quel momento, pochi dati sperimentali c’è stato bisogno di mettere a terra questo abisso. Nel frattempo, mi sono sposata». Lidia, divisa tra lo spazio e la terra, il lavoro e la famiglia, la carriera e un bambino piccolo, ha sempre cercato e trovato un equilibrio soprattutto grazie alla sua spalla destra: «Mio marito». In occasione della Giornata internazionale della donna la abbiamo intervistata per la nostra rubrica Unstoppable Women.

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Lidia, come ti sei avvicinata al mondo della fisica?
Mi ha sempre affascinato andare a caccia di temi che siano d’ispirazione per trovare risposte a domande importanti come, per esempio, da che cosa è composto l’universo, e scoprire i “misteri” che ci ci circondano. Dopo la laurea in Alte Energie e il dottorato in Cosmologia, ho lavorato 10 anni per l’Europa. Tra il 2000 e il 2010 sono stati anni incredibili per chi, come me, stava studiando la materia oscura, perché stavano arrivando i primi dati condivisi e sapevamo che la prossima “ondata” ci sarebbe stata 15 anni dopo. Quindi ho cavalcato l’entusiasmo di quella grande innovazione finché, a un certo punto, quell’ondata si è interrotta e mi sono dedicata a tutt’altro: ho messo in piedi un’accademia di tango argentino.

Come è stato questo passaggio cruciale?
Eh, non facile perché non sapevo che cosa aspettarmi ma, allo stesso tempo, è una passione che ho da sempre e mi ha molto divertito creare qualcosa di mio. Nel frattempo, però, sono venuta a conoscenza di un’importante novità che stava per nascere all’interno dell’università di Trento da una collaborazione tra l’Istituto nazionale di fisica nucleare, la stesso ateneo e quello di Perugia. Oggi quel progetto è uno spin-off che si chiama Sybilla e lavora sulla ricerca di malattie da prioni e disturbi neurodegenerativi trasmissibili che causano una morte terribile nei pazienti. Il nostro fine ultimo è quello di salvare vite umane da una diagnosi di malattia grave sollevando sia i pazienti che le loro famiglie, in particolar modo in campo oncologico. In Sibylla crediamo in un impegno sociale che la scienza non dovrebbe mai fallire e siamo impegnati in programmi collaborativi che possono aiutare pazienti sfortunati su larga scala o piccola scala.
Oggi a che punto siete con la ricerca in Sibylla?
Inizialmente abbiamo studiato il ripiegamento della proteina, riproducendolo in Sybilla. Il team ha avuto un’intuizione: la matematica della fisica quantistica poteva essere d’aiuto in questo caso, e così è stato. Lavoriamo anche su malattie che a oggi non hanno una cura e abbiamo sviluppato un protocollo sfruttando questo nuovo paradigma che abbiamo chiamato “Pharmacological Protein Inactivation by Folding Intermediates Targeting” ( PPI-FIT ). Così Sibylla può identificare e sviluppare piccole molecole che agiscono su target coinvolti in diversi tipi di malattie e applicabili a qualsiasi area terapeutica.
Quale è, quindi, la vostra specialità?
Senza alcun dubbio, avere aperto una nuova dimensione e possibilità nello spazio terapeutico. Siamo l’unica azienda a fare il tipo di lavoro di cui ci stiamo occupando. Adesso servono risorse per portare avanti le idee. La mia grande sfida – che è sempre stata anche quella che mi ha guidato negli studi di cosmologia – è che è tutto è ancora da verificare perché nessuno ha mai lavorato su un ambito intermedio in campo farmacologico come quello che stiamo studiando noi.
Una curiosità.. Perchè il nome “Sybilla”?
Sibilla è l’oracolo greco nome che prevedeva il futuro, così come noi prediciamo le proteine che stanno cercando di migliorare il futuro. Oggi siamo arrivati a una prima validazione sugli animali, il prossimo step è preparare il clinical trial.

Tu sei una mamma, oltre che una scienziata e un’imprenditrice. Come sei riuscita a conciliare questi ambiti?
In Sybilla Biotech oggi siamo in 30, di cui più del 60% donne, anche nelle parti computazionali – una di queste è appena tornata dalla maternità. Penso che questi dati, più che altro, possano raccontare di un successo a cui raramente si assiste. Nel mio caso personale, devo dire un grandissimo “grazie” a mio marito, che mi ha sempre appoggiata nelle mie scelte non tralasciando mai la famiglia né il suo lavoro. Certo, non è stato facile: noi abbiamo vissuto per molti anni a Verona e i miei genitori a Roma. Pertanto, quando è nato mio figlio abbiamo dovuto obbligatoriamente scegliere di mandarlo all’asilo nido, ma con una giusta organizzazione si riesce a fare tutto.
Hai mai avuto paura di non farcela?
No, ho sempre pensato che avremmo trovato una soluzione ai nostri problemi – e di nuovo – soprattutto grazie a mio marito. Quando io sono rimasta incinta, tra l’altro, ero una partita IVA, con tutte le difficoltà del caso che consistono anche nel dover lavorare praticamente fino al giorno prima del parto e riprendere il giorno dopo. Ci vuole, senza dubbio, tanta forza di volontà, ma con lo spirito giusto si riesce ad affrontare ogni problema. Con calma, senza fretta. Oggi mi rendo conto, quando vedo il mio bambino tranquillo, che tutta quella fatica ne è valsa la pena.
Oggi, quindi, ti ritieni soddisfatta?
Assolutamente si, da tanti punti di vista. Se penso a come è nata Sybilla: io andavo a caccia di aziende farmaceutiche che potessero essere interessate al progetto ma, puntualmente, venivo rimbalzata perchè mi rispondevano che non avrebbero potuto finanziare una realtà che ancora non era una società, anche se credevano molto nel progetto. Così, da un giorno all’altro, con il team ci siamo detti: dobbiamo costituirci come società. Di imprenditoria noi non ne sapevamo veramente niente, ma non abbiamo esitato neanche per un solo istante. È stata una scommessa, ma l’abbiamo vinta. Poi nella vita non c’è solo il lavoro: sono contenta della mia bella famiglia e anche della città dove oggi vivo, Milano. Io non sono una tipa da “paese”, ho bisogno della grande metropoli. Alla tranquillità ho sempre preferito il caos.