Ci è riuscito il team guidato da Francesca Santoro, già nota per aver vinto il “Mit Innovators Under35 Europe” per la sezione Pioneers nel 2018, per un cerotto fotovoltaico che rigenera la pelle, che le permesso anche di fondare la neonata startup “Bryla”
Due anni fa il suo nome era rimbalzato sui media italiani per aver vinto il “Mit Innovators Under35 Europe” per la sezione Pioneers. Un prestigioso riconoscimento che la Mit Technology Review – rivista del ben noto Massachusetts Institute of Technology di Boston negli Usa – assegna ogni anno a 35 giovani innovatori under 35, come i più promettenti scienziati in tutta Europa. Francesca Santoro – la prima italiana a ricevere il riconoscimento – era stata scelta grazie a un progetto di ricerca su un cerotto fotovoltaico che rigenera la pelle, accelerando la guarigione delle ferite. Oggi Santoro, che come allora coordina il laboratorio di Tissue Electronics dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Napoli, ha concluso anche un secondo step del suo progetto quinquennale, che ha come obiettivo lo studio dell’interfaccia tra tessuti, organi e altre parti del corpo umano anche più estese, e dispositivi elettronici. Target del suo gruppo: pelle e cervello. Ed è proprio sui neuroni che si è focalizzato l’ultimo studio appena concluso e pubblicato su Nature Materials, in cui Santoro e il suo team, per la prima volta hanno costruito una sinapsi artificiale ibrida. La quale potrebbe rivelarsi utile per malattie neurodegenerative e non solo.
Il primo modello di sinapsi artificiale-ibrida
I neuroni del nostro cervello comunicano tramite segnali nervosi, cioè impulsi elettrici che vengono trasmessi da un neurone all’altro. Quando l’impulso elettrico arriva alla sinapsi – il luogo dove i neuroni si connettono – il neurone chiamato presinaptico libera i neurotrasmettitori, che vengono percepiti dal neurone successivo (detto postsinaptico), creando una variazione nella distribuzione delle cariche elettriche. In questo modo il segnale elettrico si propaga da un neurone all’altro. Il laboratorio di Santoro, in collaborazione con l’Università di Eindhoven in Olanda e l’Università di Stanford negli USA ha sviluppato il primo modello di sinapsi artificiale-ibrida, composta da un’interfaccia biologica – cioè cellule umane neuronali – e una piattaforma elettronica, in grado di simulare il comportamento delle sinapsi. In pratica, nel modello bioibrido, i ricercatori hanno messo insieme, in vitro, cellule in grado di rilasciare la dopamina (un neurotrasmettitore) e un chip neuromorfico organico.
Microchip impiantabili smart
“L’idea era creare microchip ‘intelligenti’ che possano essere impiantati nel cervello e interagire con i neuroni che li circondano, mantenendo memoria di questa interazione” spiega Santoro. “Per arrivare a questo ‘microchip impiantabile smart’, il primo step era capire come interfacciare cellule neurali umane e neuroni artificiali composti di una plastica intelligente e conduttiva, e non isolante come le tradizionali. Questa plastica intelligente è sensibile alla dopamina e alla sua concentrazione”. I ricercatori in pratica hanno costruito un chip che è in grado di individuare la dopamina rilasciata dalle cellule umane e di conservare nel tempo lo stato di eccitamento alterato raggiunto con l’esposizione al neurotrasmettitore. “Siamo riusciti a riprodurre lo stesso effetto memoria che si verifica in una vera e propria sinapsi biologica e a creare una connessione, come avviene tra i neuroni nel nostro cervello. Con la differenza che si tratta di una cellula biologica e una artificiale” precisa Santoro.
Le applicazioni della sinapsi artificiale-ibrida
I risultati dello studio gettano le basi per nuove ricerche utili per esempio nell’ambito delle malattie neurodegenerative, come Parkinson e Alzheimer, in cui si assiste alla perdita di comunicazione tra neuroni e dove i dispositivi bioibridi potrebbero introdurre o ripristinare le connessioni neuronali danneggiate. Ma questo approccio potrebbe tornare utile anche nell’ambito delle amputazioni, dove questi dispositivi potrebbero fare da ponte tra le terminazioni nervose biologiche preservate e i circuiti delle protesi artificiali robotiche di nuova generazione. “Il nostro chip può ricreare collegamenti sinaptici” aggiunge Santoro. “Il limite dello studio per ora è che nel nostro cervello ci sono miliardi di sinapsi, mentre noi ne abbiamo riprodotto solo una per ora. Il prossimo passo sarà ricreare in un chip 10-100 sinapsi. Per capire quali sono le connessioni chiave all’interno del nostro cervello e poi agire su di esse”.
Prossimi step
Un altro obiettivo su qui il gruppo di Santoro sta già lavorando, è andare oltre la dopamina e utilizzare anche altri tipi di neurotrasmettitori (come la serotonina, l’acetilcoline ecc.). La piattaforma bioibrida inoltre, una volta messa a punto, potrebbe essere usata anche per testare nuove molecole farmacologiche utili per le malattie del sistema nervoso centrale. E permettere così una selezione delle più promettenti, prima di passare alle ricerche successive.
La startup “Bryla”
Ma non solo, in parallelo Santoro sta portando avanti anche il primo progetto, quello del cerotto fotovoltaico. “Chip for skin regeneration” – questo il nome del dispositivo indossabile usa e getta, che è valso il premio alla giovane ricercatrice nel 2018 – è un cerotto fatto di un materiale plastico biocompatibile, economico e flessibile. Ricava energia elettrica dai raggi solari, per stimolare la proliferazione delle cellule della pelle due volte più velocemente dei metodi tradizionali. Ora Santoro insieme alle due colleghe, Ottavia Bettucci e Valeria Criscuolo, ha fatto partire un progetto di startup, proprio per far avanzare il progetto verso una reale applicazione. “La startup si chiama Bryla – racconta la ricercatrice – da 6 mesi stiamo facendo un percorso di spinoff con l’IIT e stiamo buttando giù il primo concept. Siamo all’inizio, ma andiamo veloci”.
Un lungo percorso
Appena tre anni fa Santoro vinse il bando dell’IIT che le permise di allestire il laboratorio di Tissue electronics e far partire il gruppo di ricerca per lavorare sui microchip impiantabili nel cervello e contemporaneamente arrivare a un prototipo del cerotto entro cinque anni. Prima di raggiungere questi importanti traguardi e tornare a Napoli, la sua città natale, Santoro è stata prima in Germania, presso RWTH Aachen, poi negli Stati Uniti alla Stanford University. “La mia scelta è stata dettata principalmente dalla voglia di poter creare un progetto di ricerca competitivo lì dove mi sono formata accademicamente” sottolinea. “Il ‘give back’ americano è un concetto che mi ha sempre affascinato, per questo motivo tornare lì dove sono nata mi è sembrata la cosa più giusta da fare. Insieme a IIT abbiamo avviato un progetto di ricerca interessante e competitivo a livello internazionale, che dà la possibilità a me e a giovani ragazzi di lavorare un ambiente stimolante e di alto livello”.
La prova Covid-19
Sebbene l’attività di ricerca sia l’impegno primario per la ricercatrice napoletana, l’attività di ‘mentorship’ per i ragazzi più giovani è una delle attività a cui dà più importanza. “Riuscire a guidarli, consigliarli e accompagnarli nelle loro scelte scientifiche sono probabilmente gli aspetti più soddisfacenti del mio lavoro” conclude la ricercatrice. Un’attività quella di mentorship che Santoro ha messo alla prova durante la pandemia di Covid-19, cercando di mantenere alti gli stimoli del suo gruppo, nonostante la lontananza forzata dal laboratorio. Mesi che hanno rallentato il lavoro sì, come conferma anche lei, ma che non lo hanno fermato, come dimostrano i risultati raggiunti.