Gloria Delfanti è una tra le ricercatrici premiate durante la 21a edizione del Premio L’Oréal – UNESCO “Per le Donne e la Scienza”, un prestigioso riconoscimento che è stato assegnato ad alcune scienziate italiane capaci di contraddistinguersi per l’alto potenziale delle proprie innovazioni. Da anni studia le funzioni antitumorali di un particolare tipo di globuli bianchi, chiamati cellule “natural killer T o NKT”, che possono potenzialmente rappresentare un prodotto universale per l’immunoterapia del cancro. Ma questo non è l’unico progetto di cui si occupa la brillante ricercatrice. La abbiamo intercettata per scoprirne di più.
Gloria, da quanto ti occupi di ricerca?
Dal 2015, anno in cui ho iniziato il dottorato in Immunologia e Oncologia, ma la mia passione nasce da molto tempo prima. Fin dalle scuole medie sapevo che avrei voluto diventare una ricercatrice: quello che mi spingeva era la curiosità di capire perché succedono alcune cose, per esempio perché sviluppiamo certe malattie. Ovviamente, il banco di prova è stato il tirocinio di tesi durante la magistrale in Biotecnologie mediche, grazie al quale ho potuto frequentare un laboratorio a tempo pieno e toccare con mano cosa significasse davvero fare ricerca. Ciò che mi affascina di più del mio lavoro è che studiando i meccanismi biologici che regolano alcuni processi, per esempio la risposta del nostro sistema immunitario ai tumori, possiamo sfruttare queste conoscenze a nostro vantaggio.
Su che cosa stai lavorando attualmente?
Sulla possibilità di sfruttare il sistema immunitario come arma per combattere le metastasi epatiche da carcinoma colon-rettale. In particolare, il progetto mira a sfruttare le funzioni antitumorali di un particolare tipo di globuli bianchi, chiamati cellule “natural killer T o NKT”, che possono potenzialmente rappresentare un prodotto universale per l’immunoterapia del cancro. L’obiettivo del mio progetto è quello di potenziare l’attività antitumorale delle cellule NKT mediante una modificazione genetica che consentirà loro di uccidere direttamente le cellule tumorali e, allo stesso tempo, bloccare la capacità del tumore di addormentare il sistema immunitario, superando così il principale ostacolo che hanno le terapie attualmente in uso. I dati raccolti forniranno una prova riguardo l’efficacia e la sicurezza dell’impiego delle cellule NKT per l’immunoterapia del cancro, con l’ambizione di gettare le basi per future strategie terapeutiche per i pazienti oncologici.
Cosa ti ha spinto a partecipare alla call di L’ORÉAL-UNESCO?
Il programma L’Oréal-UNESCO “For Women in Science” da anni sostiene l’aspirazione delle giovani scienziate a perseguire una carriera di ricerca indipendente. È un premio molto prestigioso e anche molto competitivo, e per me rappresentava una bella occasione per sostenere i miei studi di ricerca. Non mi sarei, però, immaginata di vincerlo davvero.
Cosa ha significato per te questa vittoria?
Grande stupore, gioia e anche un grande onore. Con questa vittoria mi porto anche a casa la soddisfazione di veder riconosciuti tanti anni di impegno e studio e una spinta a continuare in questo percorso che non è sempre facile. Inoltre, avere avuto la possibilità di conoscere altre
cinque scienziate di talento (ndr Arianna Renzini, Francesca Berti, Gloria Del Fanti, Martina Ilaria Fracchia e Alice Borghese) e condividere con loro una giornata bellissima a sostegno delle donne e la scienza è stato un traguardo per me molto importante.
Il tuo progetto è decisamente importante ma hai anche altro in cantiere che puoi raccontarci?
Nel laboratorio di Immunologia sperimentale dell’ospedale San Raffaele abbiamo molti progetti in corso, volti soprattutto allo studio di questi globuli bianchi definiti “non-convenzionali”, come le cellule natural killer T (NKT). Queste cellule riconoscono una molecola identica in tutti gli individui e ciò implica che le cellule NKT prelevate da un qualsiasi donatore siano in grado di funzionare in ogni ricevente, rappresentando una piattaforma cellulare applicabile in modo universale a qualsiasi paziente. Per poter arrivare a questo risultato dobbiamo, però, avere una buona conoscenza delle basi biologiche che governano queste cellule: scoprire a fondo quali sono le loro naturali funzioni e quali potrebbero essere le limitazioni nel loro utilizzo, per arrivare ad avere una sorta di “carta d’identità” dettagliata che ci permetta di poterle modificare e sfruttare come nuova terapia anti-tumorale.