«Una volta un’amica, confidandosi, mi ha detto: “Avrei preferito avere un maschio piuttosto che una bambina. La vita sarebbe stata più semplice per lui”. Volevo dirle: “No, ti sbagli”, ma allo stesso tempo, aveva ragione. In quel momento ho pensato: “Devo fare qualcosa per provare a cambiare questa idea”». A parlare a Marie Madeleine Gianni, 52 anni, nata in Francia e cresciuta in Europa. Oggi risiede a Montreal, in Canada, da dove dirige BET SHE CAN, un’organizzazione non profit che si rivolge a bambine e ragazze tra gli 8 e i 12 anni accompagnandole nel loro percorso di crescita con strumenti di supporto allo sviluppo della consapevolezza di quello che sono i loro talenti e potenzialità. Marie è fermamente convinta di una cosa: «Investire sui più giovani è la strada giusta per cambiare in meglio il futuro». La abbiamo intervistata per la nostra rubrica Unstoppable Women.

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Marie, quale è il tuo background?
Sono nata in Francia e ho studiato a Parigi e a Monaco di Baviera, conseguendo due lauree: in Economia e Commercio e in Giurisprudenza. Per diversi anni ho lavorato in Francia, prima nel retail poi come consulente aziendale per Decathlon. Nel ’97 mi hanno trasferita a Milano, dove sono rimasta fino al 2015. Oggi vivo a Montreal con la mia famiglia e faccio ancora la consulente ma mi occupo anche di startup e sto seguendo alcuni progetti sociali tramite gli incubatori sul tema dell’empowerment femminile. In passato, ho lavorato come project manager per diverse aziende fino a diventare direttrice commerciale di un’impresa di consulenza e SaaS.
Quando hai iniziato a pensare a BET SHE CAN?
Più o meno 10 anni fa ho sentito il bisogno di ridare indietro quello che avevo ricevuto. E quell’incontro già citato con la mia amica è stato al tempo stesso scioccante e illuminante. Inizialmente volevo prendere parte a qualche progetto esistente, mi interessava in particolar modo l’ambito dell’empowerment femminile, poi ho pensato che l’ideale sarebbe stato lanciare un’iniziativa che coinvolgesse, in primis, le bambine affinché non si consolidino già gli stereotipi che appaiono lampanti durante l’adolescenza. Io, che ero sempre stata nel mondo profit, ho tirato su una non-profit investendo i miei risparmi. Mi sono scelta la mia squadra, ciascuna ha competenze complementari e dal 2015 ho cominciato una doppia vita: come consulente attenta alle startup e, in parallelo, le attività con BET SHE CAN.

In particolare, di che cosa si occupa BET SHE CAN?
Portiamo avanti percorsi di empowerment nelle scuole primarie e medie, nei luoghi di aggregazione, in particolare nelle biblioteche, e nelle aziende con attività dedicate a figlie e figli dei dipendenti. La nostra mission è quella di far emergere le potenzialità dei più giovani, guardando all’inclusione con un focus sia personale che sociale. Con questa vision, organizziamo i progetti, raccogliamo fondi per finanziarli e lanciamo iniziative di sensibilizzazione nelle istituzioni, in azienda e nella pubblica amministrazione per superare gli stereotipi sin da piccoli. Lavoriamo a 360 gradi non solo su progetti STEM ma anche per far sì che queste ragazze abbiano sempre più fiducia in se stesse e sviluppiamo formule progettuali che rendiamo scalabili in un approccio pragmatico con l’idea di valorizzare quello che già esiste.
In questo lavoro come ti ha aiutata la tua esperienza da manager e consulente?
Le competenze che ho maturato in vent’anni di consulenza mi sono state molto utili in particolare nella gestione di progetti complessi e delle risorse e nel coordinamento trasversale, oltre che allo sviluppo delle attività. A oggi abbiamo realizzato 67 percorsi con 12.900 partecipanti tra bambine, bambini, ragazze, ragazzi coinvolgendo 15.200 le persone tra famiglie, tutor, docenti, partner e collaboratori anche in Italia. Tra i nostri partner ci sono anche le scuole e abbiamo messo a punto un indice di misurazione dei nostri progetti, così da avere sott’occhio, in termini numerici, l’impatto che creano. Ma lavoriamo anche con le aziende che credono nella nostra mission, dando alle bambine strumenti per attuare le loro scelte in piena libertà. Scelte che sono anche legate ai loro interessi e alle loro passioni, in un progetto totalmente inclusivo. Rendendo partecipi i più piccoli di un cambiamento nella società, cambiano anche gli insegnanti e le famiglie.

In particolare, di che tipo di progetti si tratta?
Per fare un esempio: abbiamo collaborato con un istituto tecnico che ha portato avanti un’iniziativa della durata un anno sullo sviluppo di un programma informatico. In questo percorso, i piccoli hanno imparato cosa significa fare team e hanno sviluppato alcune soft skills che gli saranno utili nel mondo del lavoro. Tra queste, ad esempio, la capacità di gestire un progetto, l’importanza della squadra, il trasferimento di know-how. In questo modo hanno anche approfondito alcuni strumenti che gli faciliteranno l’ingresso nel mondo del lavoro.
Tu hai girato mezzo mondo, perché proprio 10 anni fa hai iniziato a pensare a BET SHE CAN?
Già, ho 52 anni ma me ne sento 25. Sono nata a Limoges, nella città francese della porcellana, mamma e papà sono di origine rumena e si trovavano in Francia perchè erano fuggiti dalla dittatura di Ceaușescu. Io durante la mia vita ho davvero girato mezzo mondo e mi sono spostata in tanti Paesi. Oggi ho una figlia di 16 anni e credo che, in realtà, il momento in cui mi sono sentita di dover cambiare qualcosa è stato proprio quello della maternità, che mi ha dato una visione diversa sulla responsabilità.

Quali sono i valori che più di altri vuoi trasmettere alle giovanissime oggi?
Sono sempre stata molto sensibile alle ingiustizie e consapevole di essere più fortunata di altre donne, sia per la mia educazione che per il mio percorso personale. Mi alimento di energie positive e mi “diverto” a risolvere problemi. Ogni tanto mi ricordo di quando studiavo a Parigi, lavoravo in quartieri disagiati come tutor durante il doposcuola a titolo volontario. Quell’esperienza è stata fondamentale perché mi ha dato modo di capire che a quell’età c’è la possibilità di cambiare. Per questo ho voluto iniziare da questo target, poi più si cresce e più diventa difficile. Con BET SHE CAN vogliamo anche comunicare l’importanza del conoscersi a fondo e di togliere tutte quelle etichette che gli altri ci mettono addosso o che noi mettiamo addosso agli altri. Si devono creare ponti e passerelle, farlo non è sempre facile ma mai impossibile. Noi abbiamo lavorato a lungo con l’università La Sapienza in un progetto che è nato un anno e mezzo fa e che adesso è stato allargato a diverse facoltà dell’ateneo. Crediamo che queste iniziative possano crescere sempre di più e che contribuiscano realmente a cambiare in positivo la nostra società.