Monica Gori, 40enne ricercatrice nelle neuroscienze, è una delle vincitrici degli Starting Grant concessi dallo European Research Council (ERC). Un milione e mezzo di euro andranno per un progetto che porterà a dispositivi per migliorare l’orientamento nello spazio dei piccolissimi con disabilità visiva
“La ricerca mi ha condotto lì”, a cercare di correggere la disabilità visiva nei bambini: spiega così Monica Gori, 40 anni, ricercatrice a capo dell’Unità per le persone con disabilità visiva dell’Istituto di tecnologia di Genova, il suo percorso verso il campo delle neuroscienze e in particolare della riabilitazione. “Non ho vissuto nessuna esperienza in prima persona”, racconta a StartupItalia, “ma nei miei studi mi sono sempre concentrata sulla visione, chiedendomi cosa succedesse qualora mancasse”. In particolare nel caso dei bambini, “analizzandone lo sviluppo nei primi anni di vita”.
Aiutare i bambini con problemi di vista a orientarsi nello spazio
Oggi con il suo team lavora negli ospedali per supportare la riabilitazione visiva pediatrica. A settembre scorso è stata insignita di uno dei massimi premi nell’ambito della ricerca, lo ‘Starting Grant’ dello European Research Council (ERC) destinato ai più promettenti progetti scientifici. La cifra è consistente: un milione e mezzo di euro. L’obiettivo, prosegue Gori, “è creare dispositivi per aiutare i più piccoli con deficit visivi a non perdere aspetti della crescita come il gioco, il camminare o il correre”. Metterli nelle condizioni di muoversi nello spazio pur non disponendo della vista, e intervenendo quando lo sviluppo del cervello è ancora embrionale. La vista “fa da colla tra udito e tatto verso lo spazio che ci circonda”, ad esempio per prendere un cellulare che sta squillando. Esistono mappe cerebrali, “ma nei non vedenti dalla nascita non è chiaro come le coordinate fornite da udito e tatto possano essere messe insieme”. Ed è questo che si andrà a studiare, a partire da giugno.
Oltre tre milioni dall’Europa
La ricercatrice non è nuova a progetti europei nell’ambito della disabilità visiva. Ne ha già coordinati due per un totale di 3,5 milioni di euro. Il primo è Abbi, che ha consentito di testare la funzionalità di un braccialetto sonoro per non vedenti dai 3 agli 8 anni. Anche qui lo scopo era potenziare l’orientarsi nello spazio, specie nel gioco, e migliorare la socialità. E poi WeDraw, “per imparare la matematica attraverso la multisensorialità” fa sapere Gori. Un sistema che ha attivato la De Agostini, “ma al momento rallentato a causa della pandemia”.
All’estero per soli cinque mesi
Quello di Gori non è stato un percorso da classico ricercatore in fuga dall’Italia: “Sono stata solo cinque mesi a Berkley” fa sapere. Anche se la ribalta internazionale a un certo punto è arrivata grazie a una pubblicazione che dimostrava come “i bambini fino agli otto anni di età non sapessero mettere insieme le informazioni che gli arrivano dai sensi”. L’articolo fu premiato nel 2008 dalla commissione internazionale F1000 che valuta i migliori lavori sulle scienze.
Tutto è partito dalla psicologia
E pensare che tutto è iniziato con la psicologia, “più esattamente una branca sperimentale chiamata psicofisica, all’Università di Firenze” ripercorre Gori. “Si occupa di studiare i modelli cerebrali per poi applicarli ai robot e sviluppare nuove tecnologie per la riabilitazione”. Alle neuroscienze si avvicina con un PhD in tecnologie umanoidi al Cnr di Pisa. “Con l’ingegneria potevo applicare con più facilità ciò che studiavo” commenta. In seguito il trasferimento a Genova. Nel percorso conosce i professori Giulio Sandin e a David Burr, “i mentori che mi hanno insegnato a ragionare”.
Il premio europeo dopo anni di ricerca
Il premio Erc è il coronamento di anni di ricerca. Un lavoro non semplice perché Gori è anche mamma di tre bambini rispettivamente di 13 mesi, 5 e 7 anni. “Conciliare tutto è stato possibile anche grazie a mio marito, di mestiere ingegnere robotico” riconosce. “Ci vuole tanta organizzazione, ma noi ci diamo manforte, siamo intercambiabili nei nostri ruoli”. Nessuna discriminazione neppure al lavoro, “anche se cerco di non far pesare le mie esigenze”. E non c’è stato nessuno in famiglia a fare da apripista: “Sono stata la prima laureata in famiglia, i miei sono fotografi”. Da loro ha però ereditato l’attitudine all’arte: “Ho frequentato il liceo artistico e tuttora dipingo”. E anche nella scienza “continuo a cercare l’arte”.