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L’amore in fondo non è poi che un baratto
Dai, troviamo un riscatto
Di qualche cosa ti puoi anche privare
Dai, facciamo l’affare

Renato Zero, Baratto 

Fare l’affare: c’è chi il fiuto ce l’ha e chi no; c’è chi dalle situazioni ci guadagna e chi di qualche cosa si priva. Sarà quel “nego” in apertura. Fatto sta che a qualcuno viene negato qualcosa. Una storia d’amore, l’acquisto di una casa, un contratto di lavoro: mors tua, vita mea. C’è sempre chi perde. 

Vista così, la negoziazione ha il sapore dello scontro tra due parti che ambiscono a un vantaggio. Ma già riflettendo sulla parola binario abbiamo messo in discussione lo schema delle due parti contrapposte. Riuscissimo a guadagnare un nuovo senso al concetto di negoziazione, potremmo “uscire dai binari” e intravedere una direzione più vantaggiosa. 

Negoziatrici e negoziatori 

Non è solo l’impegno per evitare il maschile sovraesteso a farci considerare il ruolo delle donne nella negoziazione. È anche il riconoscimento del ruolo che hanno le donne, nella storia, nel costruire i tessuti di pace. Una storia fatta più di tradizione e di racconti popolari, per la verità, che di documenti, data l’esiguità della presenza femminile tra i capi di Stato e di governo nell’età contemporanea, e quindi di valenza statistica.

Tra il 1950 e il 2004, infatti, stando ai dati raccoltida Katherine W. Phillips, docente alla Columbia Business School, su 188 Nazioni, solo 48 donne sono state ai vertici del loro Stato, 18 Presidenti e 30 Prime ministre. Meno del 4% del totale. In due Paesi, Ecuador e Madagascar, le rispettive cape di Stato han servito per due soli giorni, prima di essere rimpiazzate da maschi. 

Ma è anche vero che Mary Caprioli, della University of Minnesota, analizzando diverse crisi militari nel XX secolo, ha rilevato che quando aumentano le donne in un Parlamento, è assai meno probabile che quello Stato ricorra alla violenza per gestire una crisi internazionale. Inoltre, secondo uno studio della no-profit Inclusive Security, su 182 accordi di pace firmati tra il 1989 e il 2011, è più verosimile che si giunga a una pace duratura dopo un conflitto se ci sono donne ai tavoli negoziali. 

Suggestiva anche la proposta della poetessa inglese Dorothea Hollins, all’inizio della prima guerra mondiale: formare una forza di spedizione fatta di 1.000 donne, e inviarla in una missione di pace attraverso i campi di battaglia europei, interponendosi tra gli eserciti in lotta nelle trincee (proposta che non si concretizzò, ma che sogno, persino nei folli giorni attuali!).

E poi se Steven Pinker, uno dei pensatori più influenti del nostro tempo, dice nel libro Il declino della violenza (2013) «Le donne sono state, e saranno, la forza pacificatrice», io gli credo.

Dalla bottega al conflitto

Apriamo la parola: nec-otium, “non ozio” in latino. Nell’antica Roma l’otium era il tempo privato, il luogo dove dedicarsi alle arti, al benessere personale (es. le terme), quindi era considerato un valore positivo. Gli veniva contrapposto il negotium, l’attività pubblica, prevalentemente quella politica (il lavoro, da quello nei campi alla bottega, non era cosa per le classe alte, quindi niente che fosse  neanche degno di questa definizione.) Vedi come cambiano, nel tempo, le scale dei valori? Oggi evitiamo l’ozio invece del lavoro, e la parola negoziare ha preso tutt’altro senso. 

Aggiungiamo ora un trattino per aprire una fenditura diversa, e illuminare gli altri possibili significati. Negozi-azione: letta così diventa l’azione di lavorare, proprio il contrario dell’evitarla.

Due significati secondo Treccani. Il primo è “esercitare un commercio”, da cui l’uso del termine negoziante, che da participio è diventato sostantivo. Il secondo è “fare oggetto di contrattazione per la compravendita”. Significato che, esteso anche al linguaggio diplomatico, politico e sindacale, indica l’azione di trattare, mediare, trovare un accordo. In questo caso, per mettere in atto una negozi-azione è necessaria un’interazione tra le parti che non si limita a uno scambio per raggiungere i reciproci obiettivi. Entra in gioco la contrattazione, cioè la capacità di trovare un compromesso soddisfacente per tutte le parti coinvolte. 

E salta fuori, di nuovo, un riferimento allo scontro. Negoziare è dunque andare oltre il conflitto? 

Relazione in cui le parti riceverebbero un vantaggio dalla cooperazione, ma sono in conflitto sul modo in cui suddividere i vantaggi. (John F. Nash, The bargaining problem)

Relazione, vantaggio, cooperazione: ci voleva uno tra i più brillanti matematici del Novecento, John Nash (quello della teoria di giochi, premio Nobel per l’economia nel 1994) per capire che un equilibrio stabile tra le persone si fonda su reciprocità/scambio, quindi su accordo/dialogo? 

Negoziazione min

Negoziare è con-vincere?

Un famoso aneddoto, diffuso dalla Harvard Negotiation School – scritto però circa un secolo fa dalla politologa Mary Parker Follet (1868-1933) – è riportato da William Ury nel libro Getting to Yes: Negotiating Agreement Without Giving In (significativo il sottotitolo: negoziare senza cedere): 

Due sorelle si contendono l’unica arancia rimasta in frigorifero. La mamma cerca di porre fine al loro litigio, dividendo l’arancia a metà. Ma ottiene un ulteriore aggravio della lite per l’insoddisfazione di entrambe. S’inserisce la nonna, saggia e pacata, e chiede alle due sorelle a quale fine volessero l’arancia. Una voleva spremerla per berne il succo; l’altra voleva grattuggiare la buccia per farne una torta. Spremuta la polpa per l’una e consegnata la buccia all’altra, la nonna le soddisfa entrambe.

Una soluzione ideale per entrambe, ottenuta grazie all’ascolto e al dialogo.

Abbiamo tutti esperienza del concetto di “convincere”, nonostante la parola sia spesso associata all’idea di manipolare le persone. Se sappiamo astenerci da giudizi etici, possiamo ribaltare la prospettiva. I genitori convincono i figli e le figlie a far qualcosa, e viceversa. Tra fratelli e sorelle ci si convince per prestarsi questa cosa o quell’altra. Succede tra amanti, nel lavoro, nell’amicizia, che si tenti di negoziare qualcosa. È ascolto, è ricerca di un accordo, è dialogo.

Nella negoziazione “non si tratta di dominare, non è una guerra con vincitori e vinti, è più come una danza in cui ci si muove insieme. Ruchi Sinha, docente di psicologia alla University of South Australia, racconta nel suo TED 3 mosse utili per negoziare:

  1. Fai la tua ricerca  assicurati che ciò che chiedi sia qualcosa di realistico: osserva e infòrmati;
  2. Preparati mentalmente  immagina come superare i possibili ostacoli, soprattutto quelli che coinvolgono le nostre emozioni più negative (rabbia, ansia, paura), e tieni a mente che l’esito della negoziazione non definisce il tuo valore;
  3. Mettiti nei panni dell’altra parte  pensa ai bisogni e alle sfide dell’altra persona, immagina il suo punto di vista e gli effetti che potrebbe avere la tua richiesta.

E conclude:

Molti dei nostri errori di negoziazione non nascono da disaccordi ma da fraintendimenti. Quindi è importante ascoltare bene, chiedere perché e perché no? Così troverai opportunità inaspettate in soluzioni vantaggiose per tutti.

Nel racconto dell’arancia, la nonna chiede alle bambine cosa vogliono ottenere davvero, mentre la mamma, senza fare domande, aveva proposto una soluzione di per sé buona, ma non soddisfacente. L’obiettivo quindi è cercare una mediazione e un punto comune. E se, dopo aver ascoltato e indagato i reali bisogni altrui, l’altra persona è disposta a dialogare è perché si sarà con-vinta del vantaggio che viene a tutti dalla soluzione. Significa prendere una decisione che non è necessariamente perfetta, ma è la più efficace per tutte le persone coinvolte. 

Adam Smith ha detto che il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé, giusto? Incompleto. Incompleto! Perché il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo farà ciò che è meglio per sé e per il gruppo! 

(Russel Crow che interpreta John Nash, A beautiful mind) 

Ecco un ulteriore senso del negoziare: una strategia con la quale tutte le parti ottengono qualcosa con un dialogo che con-vince, nel significato di “vincere con”, “vincere insieme”. 

Per “con-vincere”, poi, è possibile anche un altro etimo, se possibile ancora più affascinante: del tutto slegato dal senso della vittoria, fa ricorso a “vincire”, ossia legare. Avvolgere, cingere, legare insieme. Con-legare, collegare. Due o più parti che si connettono, senza entrare in gara per vincere.

De-scalation: il valore dell’aspettare 

Vincere insieme. Facile a dirsi, meno a farsi, quando in campo ci siamo noi con le nostre convinzioni, le emozioni, i pensieri e il nostro modo di esprimerci. A volte, tutto questo può portare a un cortocircuito nella relazione che, se non disinnescato, può generare un’escalation esplosiva.

Scena in ufficio. Due colleghi si accusano a vicenda perché il report è stato consegnato in ritardo. 

X: Sei stato tu, è colpa tua!

Y: No, è colpa tua. Oltre a colpevole sei anche bugiardo!

X: Io bugiardo? Sei tu che non mi hai avvisato in tempo: il lavoro l’avrei già consegnato da un pezzo.

Y: Sì certo… potevi muoverti, e non stare in pausa caffè così tanto. Sei sempre il solito!

Le parole sottolineate sono attacchi diretti all’individuo, non al suo modo di fare. La differenza nel dire “sei un bugiardo” o “hai detto una bugia” è banale solo in apparenza. Nel primo caso stiamo giudicando la persona: sei fatto così, è il tuo essere, non puoi farci niente; e sarai sempre bugiardo. Nel secondo caso valutiamo il comportamento: il fatto è contestualizzato, specifico, accaduto in quel tempo e in quel luogo, e quindi lascia spazio alla possibilità che ci sia rimedio. 

Secondo il linguista Robert Dilts, si tratta di spostarci dal mondo dell’essere al mondo del fare, dove c’è più disponibilità a discutere, a trovare un accordo e anche ad accettare un NO.

Se la reazione dell’altra persona è di attaccarci o minacciarci, il nostro primo impulso può essere di contrattaccare ed entrare nel suo mondo dell’essere. Una strategia ben più efficace è neutralizzare l’impatto del suo comportamento, usando il fattore tempo:

Sospendi la tua reazione quando hai voglia di contrattaccare. Ascolta quando hai voglia di rispondere. Costruisci un terreno comune quando senti di voler spingere la tua opinione. Mantieni la calma quando stai per entrare in escalation. (William Ury, docente di negoziazione ad Harvard, co-fondatore del Program on Negotiation (PON))

Strategia usata con grande efficacia nella crisi dei missili a Cuba nel 1962, quando gli americani misero in atto un piano che, anziché sull’attacco, mirava a fermare i sovietici ed evitare la terza guerra mondiale. Il piano, messo a punto per guadagnare tempo e raggiungere un accordo, prevedeva per Cuba un blocco navale che avrebbe fermato le navi russe che trasportavano i missili nucleari. In altre parole, Kennedy e il suo entourage tolsero ai sovietici la possibilità di attaccare, senza cedere alla tentazione del contrattacco che invece avrebbe portato a un’escalation che oggi non saremmo qui a ipotizzare (molto fedele la ricostruzione del fatto nel film Thirteen Days).

Pensa, prima di sparare, pensa / prima di dire e di giudicare, prova a pensare
Resta un attimo soltanto, un attimo di più / Con la testa fra le mani

(Fabrizio Moro, Pensa)

Allenare il metodo CRG 

Studiando la parola accordo abbiamo già incontrato il metodo linguistico definito C.R.G., Calibrazione-Ricalco-Guida, molto utile per aprirsi alla persona con cui stiamo discutendo, ridurre la temperatura, disinnescare il contrasto. Il metodo ci aiuta a calibrare chi abbiamo di fronte, cioè ascoltare senza giudizio; a ricalcare alcuni aspetti del suo comportamento, per creare empatia e fiducia; e poi a guidare verso un obiettivo comune.

Un paio di esempi: colloquio di lavoro e normale dialogo d’ufficio:

Marco: per caso ha intenzione di diventare madre e di avere figli?

Sabrina: la mia unica intenzione è quella di lavorare bene in questo team

Dopo la richiesta inappropriata di Marco, Sabrina calibra la richiesta e ricalca la parola intenzione. Poi guida e sposta il pensiero dalla sfera privata (famiglia, avere figli) a quella professionale. 

Aldo: ma che vuoi saperne tu che sei nato ieri, lascia fare a chi ha esperienza!

Giovanni: proprio perché sono nato ieri sono pieno di energie, e poi dovrò pur imparare no?

Giovanni calibra e ricalca un dato di fatto, l’essere giovane, guidando Aldo a considerare che sia le persone adulte sia quelle giovani possono avere valore. Nel primo caso è l’esperienza, nel secondo è l’avere più energie e voglia di imparare. Giovanni non nega di essere giovane o che Aldo abbia più esperienza, ribalta semplicemente la prospettiva e trasforma un aspetto negativo in positivo. 

E alcuni esempi raccolti in luoghi dove spesso il conflitto, dato il livello di tensione, è ben più che metaforico: le sale d’attesa dei Pronto Soccorso.

– Quando tocca a me? >>> Quando tocca a lei la chiamiamo. 

Voi fate passare sempre prima gli stranieri! >>> Facciamo passare prima quelli che hanno bisogno. 

Per essere visitato devo morire? >>> Deve aspettare il suo momento, per morire c’è tempo… 

Lei non sa chi sono io! >>> Io non so chi è lei, ma so chi è il suo parente: una persona che ha bisogno di cure, e io sono qui per dargliele.

Lo lascio qui, mio padre, torno dopo >>> Vuole che lo lasci qui anch’io e torni dopo? Meglio che gli restiamo entrambi accanto, così lo aiutiamo a stare meglio. 

Insomma, si tratta di trovare un baratto, una forma di scambio per restare in equilibrio. 

C’è una scena (un po’ estrema, ok) dal film  Il negoziatore che descrive molto bene come funziona il metodo CRG. Da una parte c’è un uomo che ha sequestrato la propria figlia e minaccia di ucciderla se non ottiene di parlare con la moglie che lo ha tradito; dall’altra c’è il negoziatore professionista, che per fargli cambiare idea può contare solo sulla propria abilità relazionale. Una lezione di ascolto finissimo, di paziente orditura della trama negoziale, ricca anche di ribaltamenti imprevisti, e di un preciso e coerente lavoro linguistico. Se ne trova l’analisi in questo articolo

Negoziare anche per la cultura DEI

Ma tutti noi, che non negoziamo ostaggi o accordi tra eserciti, se crediamo nella cultura DEI – Diversity Equity & Inclusion – possiamo applicare il metodo anche per gestire le resistenze che incontreremo da chi non sa o non vuole disporsi a questo cambiamento. Pensiamo a frasi come:

  • Oh ma non si può più aprire bocca! 
  • Ma che ci frega? sono solo parole! I problemi sono altrove, ci son questioni ben più importanti.
  • Ma certo, dicendo tutti gli uomini sono uguali s’intende anche la donna! 
  • Oh, ma sei stressata? Hai le tue cose?
  • Oh, ma quella deve farsi aiutare da uno bravo!
  • Quello l’hanno assunto perchéè disabile!
  • Ma che avvocata o sindaca! s’intende il ruolo, mica la persona. E poi suona male!
  • È troppo vecchio per quel ruolo, non capisce

Se le additiamo come sessiste, discriminatorie, irrispettose, se le combattiamo con rigore, rischiamo d’indurirle, e magari amplificarle. Conviene re-incorniciarle, inserirle in un contesto diverso, magari contaminarle con un dubbio, ammorbidirne la rigidità. Per esempio, su «È troppo vecchio per quel ruolo, non capisce», si potrebbe rispondere «Intendi per “vecchio” in senso anagrafico o per la molta esperienza? (occhio all’intonazione, che non risulti polemica). Oppure la frase «I problemi sono altrove» si può re-incorniciare dicendo «È vero, ci sono molti problemi altrove, e potremmo affrontarli insieme, proprio partendo dall’attenzione al linguaggio». 

Evitare di accentuare le differenze, e dare risalto ai punti di contatto, aiuta a trasformare i significati, e quindi i comportamenti, attraverso le parole.

 “Perché si vada avanti” 

Nelle sue memorie, Nelson Mandela racconta del suo primo dibattito televisivo con il presidente de Klerk, poco prima delle elezioni democratiche in Sudafrica. Resosi conto di essere stato troppo duro nei confronti dell’uomo che comunque sarebbe stato suo collega, gli si rivolse così:

Gli scambi tra il signor de Klerk e me non devono oscurare un fatto importante. Io penso che noi siamo un esempio luminoso per tutto il mondo di persone provenienti da diversi gruppi razziali che hanno un comune vincolo di fedeltà e di amore verso la loro patria comune (…). Nonostante le mie critiche al signor de Klerk, lei, signore, è una delle persone sulle quali faccio affidamento. Noi affronteremo insieme i problemi di questo paese. Sono fiero di stringere la sua mano perché si vada avanti.

Negoziare l’utilità reciproca, guardare all’obiettivo comune. È questo il vero affare.