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In collaborazione con Luca Stoppioni e Lorena Zerbin

Ogni generazione ride delle vecchie mode,
ma segue religiosamente le nuove.

Henry David Thoreau

Podcast Gener-azioni

Titolo della puntata: Sei un boomer: ne parliamo?

Partiamo dalla definizione, Boomer.

Deriva da Baby-Boomer, cioè chi è nato nel periodo del Baby Boom, a cavallo fra il 1946 e il 1964. Il boom dapprima demografico nel secondo dopoguerra (che voglia di riprendere a vivere!), diventato poi economico alla fine degli anni 50.

In senso ironico e spregiativo (Treccani), visto dalle generazioni successive i baby boomer – in Italia, circa 15 milioni di persone – sono portatori di modi di pensare e agire superati e perfino nocivi. 

Quel tono abituale dei podcast: supponente ma intrigante insieme, erudito ma condiscendente, saputello ma effettivamente utile. Si può dire enciclo-pop?

“Ok, boomer” è un’espressione usata da adolescenti e giovani per zittire o prendere in giro cose percepite come lamentele paternalistiche della generazione dei 50-60-70enni, ritenuta responsabile delle attuali crisi sociali, finanziarie e climatica. Fu coniata il 6 novembre 2019 dalla deputata neozelandese Chlöe Charlotte Swarbrick, allora 25enne, che durante un discorso in Parlamento, peraltro centrato proprio sul tema del rinnovamento generazionale delle posizioni di potere, interrotta da un collega più anziano, lo liquidò con due parole, ok boomer”, appunto, continuando poi a parlare.

Sulle parole del podcast discutono una voce matura e una giovane. Chiamiamoli per comodità B come Boomer e GZ come GenZ.

GZ -Ah, credevo che Ok, Boomer fosse solo una canzone dei Zen Circus. Dice così: I ragazzi di oggi una volta eravamo noi, Eravamo noi quelli sbagliati, maleducati, E adesso siamo noi che facciamo i nostalgici, patetici, … E adesso invece, lo dici tu che ‘sti ragazzi di oggi non li capisci più…

Nonostante qualche punzecchiatura, i toni sembrano permettere uno scambio aperto.

B – Lo vedi? Il mondo gira. Passano i decenni, e i comportamenti si ripetono. Comunque certe differenze restano evidenti. A me pare, per esempio, che per la vostra generazione il valore del sacrificio, nello studio e poi nel lavoro, non sia centrale. Sbaglio?

GZ -Guarda, lo so che voi boomer siete cresciuti con il culto del lavoro. E ci sta la vostra dedizione. E immaginiamo che anche per voi non sia stato facile. Ma è il senso del futuro che ci divide: la realizzazione nel lavoro per noi non è più una traccia così sicura. Dobbiamo reinventarci continuamente, e questo ci lascia spesso con più incertezze che certezze.

B -Oh, non è che per noi l’affermazione nel lavoro rappresentasse solo certezze, sai. Non aiuta mai idealizzare il passato. Anche noi abbiamo affrontato molte fasi d’instabilità, e abbiamo sempre dovuto reinvertarci (pensa a quando abbiamo cominciato a usare i computer), quella è una caratteristica umana, bisogna esserne forniti in ogni età. La questione delle età è complessa e in continua evoluzione, pensa solo a com’è cambiata la durata della vita.

Riprendono ad ascoltare il podcast.

Le tre dimensioni dell’età

Possiamo individuare tre modi d’intendere l’età.

Età anagrafica. È un numero, una data stampata sulla carta d’identità. Di solito quando si dice “età” si pensa a quella. 

Età psicologica. È il modo che si ha di percepirsi in rapporto all’età anagrafica; come ci si vede e ci si rapporta con la realtà e le altre persone. Ha molte sfaccettature: il primo aspetto è la percezione soggettiva, ci si può sentire più giovani o più maturi rispetto agli anni effettivi, anche in rapporto a situazioni e contesti diversi; il secondo è la maturità emotiva, ossia quanto si è capaci di gestire emozioni e relazioni o situazioni difficili: si può essere emotivamente più maturi rispetto all’età anagrafica o viceversa. Terzo aspetto, la vitalità: sentirsi energici e motivati fa percepire un’età più giovane. Ci sono poi le capacità cognitive, il saper coltivare pensiero, memoria e attenzione. E poi le esperienze di vita: situazioni che richiedono responsabilità precoci possono portare a una percezione di maggior maturità.

Età sociale. Indica la posizione di un individuo nella società in base ai ruoli, alle aspettative culturali e alle norme legate alle fasi della vita. Dipende dai ruoli assunti (figlia/o, genitrice/ore, studente, lavoratrice/ore, pensionata/o), dalle aspettative culturali (come vestirsi, come comportarsi, se e quando avere figli, quando entrare nel lavoro e quando uscirne ecc.), dalle transizioni di vita (un cambio di status familiare, un trasferimento) e dall’aspetto fisico, che non sempre riflette l’età anagrafica.

GZ -Interessante ’sta cosa delle tre età. In effetti l’abitudine di etichettare le generazioni prende quasi sempre in considerazione solo l’età anagrafica?

B – Eh certo, creando così una quantità di stereotipi, più o meno inconsapevoli. Racconta Valentina Di Michele nel suo Scrivi e lascia vivere

A 28 anni ero giovane per anagrafe e mi sentivo matura psicologicamente: a 47 sono considerata giovane nel mio contesto sociale anche se a livello fisiologico vedo sul mio corpo i segni del tempo. Per lo Stato sono troppo giovane per la pensione, ma nella mia cartella clinica c’è scritto persona di età matura.

GZ – Ecco, gli stereotipi. Torniamo al podcast, che ora propone quelli sui boomer, promettendo anche di smontarli uno per uno.

Stereotipi e confutazioni

1. Non capiscono la tecnologia. Davvero? Una ricerca di Hearts & Science del 2023 sfata questo mito. Molti boomer usano molto i social, fanno acquisti online e partecipano a discussioni digitali. Bill Gates, Steve Jobs e Jeff Bezos sono qui dentro: difficile considerarli tecnofobi. Spassoso, sul tema, il Protocollo boomer, l’idea del gruppo comico The Jackal, che spiega le difficoltà tecnologiche esibite da madri e padri come un pretesto per ottenere l’attenzione di figlie e figli.

2. Sono mentalmente rigidi e chiusi. Eppure hanno guidato grandi cambiamenti sociali e culturali, dal ’68 ai diritti civili, dalla rivoluzione sessuale alle prime battaglie ambientali. Sono stati i primi a ribellarsi ai padri e alle istituzioni, a quel modello di famiglia vecchio di secoli e a consegnarne uno nuovo ai figli, meno rigido, più fluido, tale da permettere a figlie e figli di criticare anche pesantemente i genitori.

3. Criticano sempre i giovani. Sebbene esista il cliché del boomer che rimprovera i giovani, in realtà molti sostengono figli e nipoti sia sul piano economico sia su quello emotivo. Dipingerli come sempre critici nei confronti delle nuove generazioni è una semplificazione che non tiene conto della complessità dei rapporti intergenerazionali.

4. Sono tutti benestanti. Se hanno vissuto un’epoca con maggiori opportunità, hanno affrontato anche crisi economiche, disoccupazione e difficoltà finanziarie. Il benessere è stato frutto di impegno e sacrifici. 

5. Non capiscono la cultura contemporanea. Questo è abbastanza vero: con la musica, le serie TV e i meme dei più giovane arrancano. Comunque spesso partecipano a eventi musicali, cinema e nuove forme di intrattenimento. Poi restano avvinghiati al rock 🙂 

6. Non s’interessano all’ambiente. Il luogo comune ambientalista accusa le generazioni passate di aver rovinato il pianeta a danno delle future. Questo contrasto ha radici ben più profonde e s’inserisce nella cosiddetta generational warfare, la spinta aggressiva dei giovani di ogni epoca, il desiderio di trovare dei colpevoli contro cui scagliarsi. Si veda il movimento di Greta Thunberg. Ma i movimenti ambientalisti odierni devono molto alle battaglie ecologiste iniziate decenni fa. Il primo Earth Day è stato celebrato il 22 aprile 1970, le leggi ambientali e molte organizzazioni ecologiste sono nate dall’attivismo dei boomer. 

7. Non sanno divertirsi. Proprio il contrario! Forti di migliori cure mediche e di una maggiore speranza di vita, viaggiano, fanno sport, partecipano a eventi sociali e culturali, s’innamorano. Mai scatenati come ora.

8. Non sono inclusivi. In realtà sono stati i principali sostenitori delle battaglie per i diritti civili, il femminismo e la parità di genere. Hanno fatto molto per aprire la strada alla cultura contemporanea dell’inclusione, a partire dalla rivoluzione sessuale.

9. Non sanno usare l’ironia e il sarcasmo. Altra semplificazione. Molti boomer sono cresciuti con forme di satira pungente (basti pensare a giornali come Il Male o Tango o Cuore) e hanno sviluppato un senso dell’umorismo spinto. È vero che a volte il linguaggio dei social può risultare meno immediato per loro. Nessuno è perfetto.

GZ -Oh, ma da ’sto podcast sembra che non abbiate uno straccio di un difetto. Chissà che età hanno gli autori ☺ Almeno del modo in cui parlate vogliamo dire qualcosa? Dal campacavallo per esprimere sfiducia (poi con quello sventolìo di una mano nell’aria) al caspita che va bene per tutto, stupore, meraviglia, impazienza, risentimento; dal fusto che non si sa perché dovrebbe indicare un maschio aitante di gran bella presenza al golfino da tenere anche sulle spalle in caso tiri “un po’ di arietta”; quel nisba che mette in ridicolo anche il più secco dei “no”, o il piantare per intendere l’atto dello scaricare un/a partner, e la reclam, e i telefilm… dai, roba che non si può più sentire.

Reciproci apprezzamenti

B -Ok, prendi pure in giro il nostro linguaggio. Ma c’è qualcosa che apprezzate della nostra età? 

GZ – Sì, la visione positiva della vita. Non parlo di ottimismo, che è l’attitudine a vedere con favore il corso degli eventi, anche a costo d’illudersi, e non mi pare sia stata mai tanto vantaggiosa. Intendo la capacità d’impegnarsi in qualcosa che abbia un orizzonte lontano, un lungo termine. Voi avete messo in atto la mentalità del “se vuoi qualcosa, con la fatica puoi guadagnartelo”. Questo atteggiamento, pure un po’ schematico, ha il suo valore. Noi, con la nostra ricerca di risultati istantanei, tendiamo spesso ad arrenderci o a cambiare strada se qualcosa non funziona subito. Ma lasciami ribaltare la domanda: c’è qualcosa che voi apprezzate della nostra età? 

B -Certo. Anzitutto l’impegno a far in modo che il lavoro non debba divorare tutto il tempo e le energie disponibili, che lasci spazio per la crescita personale, le relazioni, la salute mentale, il work-life balance, come lo chiamate. Però, anche qui, non vi sembra che l’espressione work-life balance sia un po’ assurda? Si possono paragonare work e life? Non sono due insiemi coerenti: il lavoro è una parte della vita. Se lo polarizziamo contro la vita, per forza diventa una cosa da cui difendersi.

GZ -Ok, ma non fermiamoci alle definizioni. Voi siete cresciuti con l’idea che il lavoro fosse il centro attorno al quale costruire il vostro futuro: stabilità, mutuo, casa, famiglia. Il mondo oggi è più fluido, sfuggente, in ogni istante ci costringe a rivedere i piani. Genera ansia, e una vista più corta. Quando cerchiamo un lavoro, ormai lo concepiamo sempre in una dimensione di precarietà. Servono mille skill diverse, e gli stipendi non sono quasi mai proporzionati al costo della vita. Non è il rifiuto della fatica o della responsabilità, è un cambio di prospettiva: vogliamo che il lavoro abbia senso, ma anche che ci lasci anche spazio per altro. 

B -E su questo siamo d’accordo. Il cinema ha spesso esplorato questo tema, anche in modo ironico, e anche collegando il rapporto tra generazioni a quello della conciliazione tra carriera e famiglia. The Intern, per esempio, dove un 70enne (Robert De Niro) viene assunto come stagista in una startup per affiancare la giovane fondatrice della società (Anne Hatheway). Oppure, in prospettiva inversa, Younger, serie TV in cui la 40enne Liza si finge più giovane per ottenere un lavoro in una prestigiosa casa editrice.

Ma, ancora, dello smart working che possiamo dire? Voi lo amate tanto, ma non vi pare che abbia danneggiato, più che agevolato, le relazioni professionali e anche quelle personali? 

GZ -Sarà, magari, ma per noi è importante anche il  poter lavorare da remoto, il poter fare lavori diversi, non ripetitivi. Vogliamo poter adattare il lavoro a un mondo veloce, mutevole, frenetico. 

La puntata del podcast Gener-azioni intanto si sta concludendo. Ultime battute:

Riprendendo le nostre tre età, potremmo concludere che il concetto di generazione è una convenzione arbitraria. Nonostante ciò, è un potente mezzo di costruzione identitaria collettiva, che permette di elaborare il passaggio fra passato e presente, fra genitori e figli, fra vecchio e nuovo. Lo scontro generazionale è fondamentale per diventare adulti.

B e GZ vanno a prendere un caffè insieme. 

Sembra che lo spirito del “ne parliamo?” li appassioni ancora.