Lavorare ‘Gomito a gomito’ per riaffermare la propria identità nella società. Il progetto di laboratorio sartoriale all’interno della Casa Circondariale Dozza di Bologna permette alle donne detenute di migliorare la propria professionalità, esprimere creatività e soprattutto avere un lavoro dignitoso e retribuito, con l’obiettivo di attrezzarsi per inserirsi di nuovo in società una volta scontata la pena. Ne parliamo con Anna Romani, presidente della cooperativa Siamo Qua, che promuove il progetto dal 2010. 

Alla Dozza di Bologna si creano prodotti di sartoria

La cooperativa Siamo Qua nasce nel 2003, ma si occupa di altre attività fino al 2010, anno in cui prende il via il progetto Gomito a Gomito, dedicato alle donne detenute della sezione penale femminile della Casa Circondariale Dozza di Bologna, impegnate nella realizzazione di prodotti artigianali di sartoria, fra i quali borse, pochette e grembiuli. Spiega Anna Romani: «Nelle carceri italiane avere una sartoria con materiali di riuso è un’attività abbastanza classica. Vengono realizzati accessori di varia natura, tutti pezzi unici, proprio perché il tema del recupero tessile prevede che si abbiano piccole quantità di tessuto».

La moda come creatività e identità

La presidente ne è convinta. Lei e tutti i membri della squadra credono che la moda possa essere uno strumento di «riappropriazione di immaginari», uno «strumento di formazione» e di riappropriazione della creatività. Insieme a Luca Padova e al rappresentante legale di un ente professionale, è subentrata alla precedente governance della cooperativa «con l’idea di traghettare la cooperativa da un modello più volontaristico a un modello più imprenditoriale che potesse passare anche da un rafforzamento delle competenze delle donne impiegate all’interno e all’esterno», in modo da ricreare identità professionale per le donne e l’identità di un lavoro che si sta perdendo. 

Già, perché non c’è solo un laboratorio all’interno del carcere ma anche all’esterno, in modo che le donne che abbiano i requisiti per accedere al lavoro esterno, possano avere anche un’opportunità di lavoro e che possano continuare anche una volta concluso il percorso di pena. Il tutto con l’obiettivo di far acquisire alle donne detenute «competenze spendibili sul mercato del lavoro». 

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Questione di genere

La questione delle competenze è centrale. Così come il tema del genere. Dati alla mano: «Sulla popolazione carceraria le donne sono circa il 4% a livello nazionale, mentre alla Dozza sono circa 85. Sono quindi numeri piccoli rispetto alla popolazione detenuta maschile». Continua Anna Romani: «Sull’intera popolazione carceraria solo il 32,9% lavora e l’84,4% è alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria. Inoltre, il 4,3% delle donne è impegnata in mansioni marginali e stereotipate, per esempio le pulizie. Le donne hanno quindi meno opportunità e meno professionalizzanti». 

Vale anche per il cucito, che nell’immaginario collettivo è una professione femminile ma che in realtà è un lavoro di alto livello. «La sfida è far emergere questa professione, che è un lavoro artigianale di grandissimo valore, sul quale è stato costruito il nostro Paese». L’obiettivo? «Recuperare le competenze di cui c’è bisogno, e che si stanno perdendo, attraverso l’accompagnamento di persone con fragilità».

Gomito a gomito”: il percorso

Il percorso è graduale. Prima di tutto c’è un corso di formazione che introduce alla sartoria, al quale si accede attraverso candidature e colloquio. Successivamente si passa alla selezione sulla base di criteri, quali per esempio la motivazione ma anche il fine pena. «I nostri corsi forniscono un’introduzione e permettono di osservare le persone in situazione, come le donne si approcciano al lavoro e come si relazionano tra loro. La questione del fine pena è importante perché per formare una sarta è necessario tempo», prosegue Anna Romani. «L’obiettivo è quindi lavorare su persone che in carcere devono trascorrere molto tempo, in modo che possano essere formate e che possa essere realizzato un percorso di crescita e accompagnamento verso l’esterno». Per esempio, «una donna è stata messa in semilibertà dopo molti anni e ora sta lavorando con noi all’esterno. Siamo molto contenti!». Dopo corso e tirocinio, si procede all’assunzione. La moda diventa quindi veicolo di inclusione e di professionalità. 

Prospettive per il futuro

Prospettive per il futuro? La squadra ha le idee molto chiare, da un laboratorio di sartoria anche per gli uomini a uno spazio vicino alla stazione di Bologna che sarà «un centro culturale, uno spazio di riflessione e formazione per le nuove generazioni e sui cambiamenti nel mondo del lavoro. All’interno di questo spazio stiamo anche prevedendo un punto vendita fisico», senza dimenticare il macro obiettivo di «portare a un ottimo livello le competenze delle persone che lavorano con noi, affinché possano avere delle chance concrete di autonomia nel mondo del lavoro».