Un’immersione nelle tumultuose trasformazioni attraversate dalle donne, lungo il tratto di storia che più di tutti ha cullato l’emancipazione femminile, ovvero i decenni dagli anni Quaranta a oggi. Women Power, l’universo femminile nelle fotografie dell’Agenzia Magnum dal dopoguerra a oggi celebra la forza, la bellezza, la resilienza di donne – quelle dietro l’obiettivo e quelle che gli si sono mostrate – che in contesti intimi o estremamente pubblici, in realtà geografiche e temporali molto diverse tra loro, hanno interpretato l’idea del potere o del suo opporsi a lui, così come quello della potenza del crescere, dell’espressione di sé e del corpo o l’energia dell’autodeterminazione e dell’empowerment.
Realtà femminili in trasformazione
Allestita e aperta fino al 21 settembre al Museo Villa Bassi Rathgeb di Abano Terme, in provincia di Padova, la mostra, curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, si compone di più nuclei tematici, ciascuno dei quali tocca una dimensione cruciale in cui si è giocata l’esperienza femminile: il contesto familiare, la crescita e la formazione dell’identità, i miti della bellezza e della fama, le battaglie politiche per i diritti e la rappresentazione della donna anche in aree di guerra.
In ogni situazione, viene messo in scena il duplice protagonismo: da un lato, infatti, ecco le fotografe della grande agenzia americana, che hanno posato il loro sguardo documentale sulle realtà femminili in trasformazione, interpretandone ogni volta la singolarità con uno sguardo intimo e profondo. Intanto, rompevano il soffitto di cristallo, bucando con la loro presenza una dimensione professionale che a lungo la cultura del tempo ha associato agli uomini. Tra le artiste spiccano figure autorevoli del mondo della fotografia, accanto a nomi più giovani, vedi Myriam Boulos, Olivia Arthur, Inge Morath, Eve Arnold, Bieke Depoorter, Nanna Heitmann, Susan Meiselas, Lúa Ribeira, Alessandra Sanguinetti, Marilyn Silverstone, Newsha Tavakolian.

Women Power: le donne protagoniste
Dall’altro lato, ecco invece le protagoniste degli scatti, donne che hanno percorso il loro tempo assorbendone il fermento e interpretandone le mutazioni, sempre consapevoli della complessità che si trovavano ad affrontare. Così le icone del jet set americano, una per tutte Marilyn Monroe, fotografata al culmine del suo glamour da Eve Arnold, Inge Morath ed Elliott Erwitt (sì, c’è anche qualche grande nome maschile della fotografia in mostra), dialogano nella mostra con le spogliarelliste dei circhi itineranti che folgorarono la giovanissima Susan Meiselas appena laureata ad Harvard, che cominciò la sua carriera alla Magnum proprio ritraendo quei corpi femminili e gli sguardi maschili dirottati su di loro.
Ecco, poi, l’attivista irachena e Premio Nobel per la Pace Nadia Murad, sopravvissuta alle violenze sessuali dell’Isis, fotografata da Cristina De Middel; le donne libanesi che manifestano tra il 2019 e il 2020 raccontate da Myriam Boulos, che ha detto che proprio documentare quella rivoluzione è stato per lei il modo di parteciparci; le donne che, in Polonia, nel 2020 sono scese nelle strade per protestare contro le restrizioni alla legge sull’aborto, sotto l’occhio fotografico di Rafal Milach, mentre la foto della locandina scelta per la mostra documenta la rivoluzione del 1979 che cambiò l’Iran per sempre.
La rivoluzione che cambiò l’Iran
Si tratta dell’immagine di una giovane donna interamente vestita di nero, con il capo coperto e guantoni da boxe di un arancio vitaminico alle mani, al centro di una grande strada deserta: è un ritratto del progetto Listen, della fotografa e documentarista iraniana Newsha Tavakolian, che ha lavorato per The New York Times, Time, Le Figaro, National Geographic con reportage in diverse parti del mondo, ma ha anche voluto raccontare l’Iran agli Iraniani, per come è, per come lei lo vede. Listen denuncia le restrizioni sulle cantanti, a cui le norme islamiche in vigore dal 1979 impediscono di cantare da soliste e di produrre CD. “Per me la voce di una donna rappresenta un potere che, se messo a tacere, squilibra la società e deforma ogni cosa. Il progetto Listen fa eco alle voci di queste donne messe a tacere. Ho lasciato che le cantanti iraniane si esibissero attraverso la mia telecamera, mentre il mondo non le aveva mai ascoltate”, dice la fotografa.
La dimensione domestica e familiare
Ma Women Power non poteva non posare lo sguardo anche sulla dimensione domestica e famigliare, che è stata e continua a essere luogo di ridefinizione degli equilibri tra i generi e spazio intimo dove proprio l’occhio femminile sa raccontare dove le parole non possono: così, ad attivare il percorso della mostra sono le foto di un parto e dei primi cinque minuti di vita di un neonato scattate da Eve Arnold e lasciano, poi, il testimone alle fotografe – per esempio Susan Meiselas, Alessandra Sanguinetti, Nanna Heitmann – che hanno seguito attraverso il loro obiettivo le evoluzioni esistenziali della ragazze mentre, crescendo, lanciavano la loro sfida al mondo.