Che non sia facile creare un emulo di Zelda lo sanno bene le innumerevoli startup videoludiche che ci hanno già provato. I cloni, dueddì o 3D, non si contano. Come per esempio Anuchard, sviluppato dalla startup indonesiana stellar-Ø o stellarNull che aveva preceduto di qualche mese Ocean’s Heart firmato Nordcurrent. Final Sword Definitive Edition (qui la nostra recensione) da Zelda aveva perfino preso le musiche, tanto che ha dovuto sostituirle in fretta è furia per non incorrere in seri guai legali. Resta comunque un dolore atroce, tanto alla vista, quanto per il nostro ego videoludico. Stategli lontano.
È andata meglio a Oceanhorn 2 (qui la nostra recensione), che ha deciso di scopiazzare un capitolo in particolare, almeno per lo stile grafico, cioé Skyward Sword (che nel frattempo è arrivato su Switch, come The Legend of Zelda Skyward Sword HD ). Non male, ma il titolo originale resta su altri livelli. Rogue Heroes: Ruins of Tasos (qui la recensione) si è invece ispirato allo spin-off multiplayer Zelda: Four Swords Adventures, ma è sicuramente andata meglio a Ary and the Secret of Seasons (lo abbiamo testato qui) che, nonostante i limiti, ha saputo divertirci.
Bocciato su tutta la linea, invece, il noiosissimo Windbound (lo abbiamo recensito qui). Pure diversi team italiani si sono cimentati nell’impresa: da un lato abbiamo Baldo: The Guardian Owls (qui la recensione), che non si è rivelato proprio all’altezza delle aspettative, ma è senz’altro tra i cloni che sono riusciti a distinguersi, dall’altro Racoonie (qui l’anteprima), un titolo tuttora in via di sviluppo che speriamo possa far parlare bene di sé.
Alla scoperta di Astor Blade of the Monolith
Dalla Colombia arriva ora Astor Blade of the Monolith, che è un vero e proprio gioiellino, sia da vedere sia da giocare. Intendiamoci: non è affatto perfetto. In più occasioni si avverte l’impressione che i ragazzi di C2 Game Studio abbiano fatto il proverbiale passo più lungo della gamba, aprendo una infinità di parentesi ludiche e contenutistiche senza però riuscire a chiuderle tutte.
Ne è una prova, per esempio, il fatto che l’ultima arma (il sistema di combattimento verte sull’uso di spada, lancia, martello e guanti) venga rinvenuta a breve distanza dalla battaglia finale, come se nei progetti originari il gioco non dovesse invece concludersi tanto rapidamente. E in effetti Astor Blade of the Monolith non dura molto, specie se affrontato a difficoltà normale.
Anche i combattimenti sulla carta presentano una antologia di mosse utili a mettere in campo la strategia d’azione prediletta ma i nemici non offrono tutte queste variabili e alla fine per uscire vivi dagli scontri è sufficiente attaccarli a testa bassa, ricordandosi di tanto in tanto di schivare i loro attacchi. Stesso discorso va fatto purtroppo pure per i boss, grandi e cicciottelli come piacciono a noi ma privi del dovuto mordente.
Se il sistema di combattimento di Astor Blade of the Monolith non va insomma a fondo come ci saremmo attesi, il medesimo discorso, un po’ da pronostico, può essere fatto anche per ciò che concerne le fasi esplorative. Il mondo di Gliese non è infatti particolarmente vasto e l’esplorazione risulta sempre piuttosto guidata. Anche le side-quest sembrano messe lì giusto per fare numero e annacquare un po’ la formula.
Gli enigmi ambientali in compenso sono carini. Intendiamoci, nulla che Nintendo non abbia proposto nell’arco degli ultimi trent’anni o quasi, da The Legend of Zelda – Ocarina of Time in poi, incluso quello, ormai immancabile, che chiede di giocare con fasci di luce da riflettere e proiettare sulle superfici adatte.
Ecco, forse il peccato principale di Astor Blade of the Monolith è aver osato troppo poco, finendo così per porsi come un prodotto eccessivamente derivativo e pure un pochino pavido. Un vero peccato, perché quest’opera colombiana come si diceva è tanto bella da vedere quanto divertente da giocare. Per questo speriamo in un seguito, ma dovrà osare decisamene di più se vuole uscire dal cono d’ombra di The Legend of Zelda.