Scena 1: siete una software house con una discreta esperienza nel settore dei videogiochi strategici, a sfondo bellico e storico. Scena 2: squilla il telefono, e dall’altra parte un uomo si presenta come un generale dell’esercito americano che vi chiede se potete potenziare un vostro titolo in particolare da utilizzare a scopo di addestramento dalla Marina e dall’Esercito statunitense. Scena 3: il vostro Ceo pensa a uno scherzo telefonico. Slitherine, software house UK con una divisione anche in Italia, ha proprio questo aneddoto che custodisce nella propria storia. «Una parte dell’azienda fa wargame: sono la cosa più vicina alla simulazione del conflitto bellico, accurati come Football Manager per il calcio, con un database ipercurato».
Marco Minoli, che nell’azienda è entrato come socio nel 2007 e oggi ricopre il ruolo di Director of Publishing, lavora da più di 20 anni nel mondo dei videogiochi. Lato business però. Ha un approccio senz’altro meno creativo di uno sviluppatore e forse proprio per questo la sua testimonianza è utile per far il punto sul settore, travolto dal fenomeno dei licenziamenti di massa e interessato dai cospicui investimenti che provengono da Arabia Saudita e Cina.
Classe 1976, di Milano, Marco Minoli ha trascorso dieci anni della propria infanzia in Francia. «Ho iniziato a lavorare nel settore nel ’97, quando ero ancora in università. Sono partito da un’azienda di distribuzione, la Leader. Era ai tempi una delle tre più grandi in Italia, stavo nella parte marketing». A differenza dei profili solite intervistiamo sul magazine – graphic designer, creativi, sviluppatori e startupper – il suo è verticale su una parte fondamentale in qualsiasi azienda. Quella che si occupa di marketing e business.
Come è sviluppare videogiochi per il Pentagono
«Questo settore deve essere mosso dalla passione, ma bisogna spiegare anche che si tratta di aziende. E devono funzionare con piani di sviluppo e di crescita». Prendete appunto i wargame e simulatori che Slitherine mette a disposizione in licenza per il Pentagono, gli eserciti e i ministeri della Difesa di decine di Paesi Nato. «Il nostro fatturato è di 100 milioni di dollari l’anno. Il 30% deriva da quel reparto».
Sono tre i videogiochi riadattati per scopi di addestramento per la Difesa. Command: Modern Operations è un simulatore operazionale che permette di simulare qualsiasi scontro terrestre, navale e aereo dalla Seconda Guerra Mondiale al periodo contemporaneo; Combat Mission è un simulatore sofisticato e a turni; Flashpoint Campaigns è simile a Command ma focalizzato maggiormente sugli scontri terrestri.
Slitherine ha un etichetta, Matrix Pro Sims, che produce questi titoli professionali destinati non soltanto alla parte militare, ma anche industriale (tra i clienti ci sono anche Boeing e Lockheed Martin). «Viviamo un momento in cui c’è che il tripla I (dove I sta per indie, ndr) vale come il tripla A. Giochi indipendenti hanno chance di introdurre innovazioni e di competere con gioconi. Si è ridotto il gap tra chi ha i soldi e il panorama indie».
La passione per le nicchie
Lavorando sul fronte business e marketing Marco Minoli ha un approccio chiaro all’industria. «I videogiochi sono il punto di incontro tra ingegneria e creatività. Hai un ambiente molto giovane, dove la maggior parte dei manager di studi di sviluppo parte dal prodotto, da una cosa creativa e bisogna trasformarla in una value proposition per il mercato. Quello è il vero momento di confronto: se dall’altra parte la persona vede il proprio lavoro solo come opera d’arte è un problema».
Non si tratta ovviamente di piegarsi all’aspetto commerciale o svilire ingegno e originalità. Ma occorre fare i conti con un comparto estremamente competitivo, con software house che competono a livello mondiale. «Le cose sono cambiate molto da quando ho iniziato a fine anni Novanta. All’epoca in Italia c’era solo la distribuzione. Arrivavano scatole e andavano messe sugli scaffali. Il business, in sostanza, era muovere scatole ai tempi». Le cose sono cambiate, tanto che stando ai dati di IIDEA il giro d’affari supera i 2 miliardi di euro con circa 13 milioni di gamer attivi.
Di fronte a una platea così vasta si possono compiere diverse scelte, seguendo strategie. Cercare di sfidare i tripla A (auguri), individuare studi più grandi per potenziali acquisizioni. Oppure rimanere fedeli all’impianto di partenza e coltivare un rapporto di fiducia con la propria fanbase. «Mi piacciono le nicchie di mercato, dove c’è un rapporto quasi uno a uno con chi compra. La mia passione, in realtà, sarebbero i trenini elettrici. E in effetti noi con gli strategici lavoriamo su un qualcosa confinante con l’hobbistica».
Licenziamenti nel gaming: cosa sta succedendo
Secondo Minoli il videogioco oggi è finito con il farsi contaminare dal mondo social, inevitabile con i titoli più mainstream. «Preferisco la parte di community, di aggregazione attorno a interessi verticali. Per questo mi ha affascinato uno studio come Slitherine, che usciva con pochissimi giochi l’anno. L’idea era rivolgersi a un pubblico di persone da poter chiamare per nome alle fiere».
Nel frattempo, come scriviamo da tempo su StartupItalia, il mondo gaming è investito da polemiche e cambiamenti. Ad esempio proseguono i licenziamenti di massa e i tagli alle software house. Un po’ come era successo nel 2023 con le Big Tech. «C’è stato uno sviluppo del settore irresponsabile – argomenta Minoli -. Hanno assunto in modo selvaggio senza curarsi delle conseguenze. Si sono riversati capitali provenienti da aziende cinesi, saudite, gente che voleva investire in un settore per le sue opportunità. Il mercato si sta spostando ancora su mobile, ambito dove assumere il triplo delle persone non avrebbe senso».