Anno 2329, New York. La Grande Mela è un canyon di grattacieli le cui cime si perdono nel buio della notte. Giù, per le strade, si fatica a scorgere che tipo di umanità abiti i bassifondi. James Carra è un detective navigato, ha risolto casi, si è fatto un nome, ma ha metodi non proprio ortodossi. Mentre assiste a un film in un drive-in che è un misto tra anni Cinquanta e distopia cyberpunk dialoga con una donna, seduta in auto al suo fianco.
Inizia così Nobody Wants To Die, titolo indie molto ambizioso della software house polacca Critical Hit Games, che abbiamo testato sulla next gen di Xbox, nella speranza che la mascella cadesse di fronte alle meraviglie dell’Unreal Engine 5.
Nobody Wants To Die, la recensione
L’obiettivo di Nobody Wants To Die è anzitutto raccontare una storia, in un mondo distopico che richiama i mostri sacri del genere, come Blade Runner. Da anni discutiamo sugli scenari prossimi dettati dall’intelligenza artificiale. Simili produzioni ci spingono, come insegnano i maestri del genere, a spingerci ancora più in là nel futuro, quando neppure la morte potrebbe essere un limite per l’uomo.
In un filmato cartoon che richiama quanto visto in Fallout prendiamo coscienza di cosa è successo al mondo nel 2329. La morte non è più un problema: grazie a una particolare tecnologia le persone possono trasferire la propria coscienza in un corpo più giovane e vivere il miracolo della vita eterna. Lo scenario però ha tratti di biopolitica angoscianti: è vietato morire. Il potere in mano a corporazioni invisibili e spietate obbliga le persone a un’assicurazione e vieta a chiunque di danneggiare il proprio corpo.
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Si capisce alla svelta che il dono dell’immortalità si è trasformato in un’ennesima catena che schiaccia le libertà individuali. In mezzo a questo scenario James Carra è un detective che sa il fatto suo. I dialoghi in Nobody Wants To Die sono doppiati in inglese in maniera convincente (ci sono i sottotitoli in italiano). C’è la netta sensazione che la nostra scelta nelle risposte e nelle azioni, in alcuni bivi narrativi, influenzi il corso degli eventi.
Sarebbe stato ancora più bello se in Nobody Wants To Die gli sviluppatori avessero introdotto più dinamiche action. Ma lo sforzo narrativo ne avrebbe senz’altro risentito dal momento che non siamo di fronte a una produzione tripla A. Il team ha condensato l’esperienza in un videogioco che dura poco più di 5 ore (il prezzo è davvero competitivo).
Il lavoro di James Carra consiste nell’indagare su vari crimini e casi. Il rapporto con colleghi e superiori forse scade in certi cliché da serie tv poliziesche, ma nel complesso non si cede mai alla battuta banale per smorzare i toni. La violenza, la crudeltà e la sete di potere pulsano nelle vene cyberpunk di New York. Per risolvere i casi abbiamo un marchingegno davvero particolare, il ricostruttore.
Questa sorta di bracciale tech ci consente di attivare una macchina del tempo e assistere allo svolgersi del crimine davanti ai nostri occhi. Come dite? Che noia aver un simile potere e risolvere i casi in pochi secondi. Fermi: non vi abbiamo mica detto che è facile. Il bello di Nobody Wants To Die sta nell’esplorare le stanze, raccogliere oggetti, fare congetture e aggiungere i tasselli mancanti.
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Nobody Wants To Die è un’avventura narrativa che fa della sceneggiatura e della grafica i suoi capisaldi. I frutti dell’Unreal Engine 5 su Xbox sono un piacere per gli occhi, seppur con qualche imperfezione. Giocando in prima persona, esploriamo ambienti ricchi di punti di interesse, in cui è possibile interagire e scoprire dettagli in più sulla lore. Non è un titolo da giocare in fretta, ma da gustarsi come un romanzo avvincente.
New York è splendida, un mostro verticale con macchine iper tecnologiche che si mescolano a un clima post guerra fredda, con auto d’epoca che volano e un qualche richiamo – seppure con molto più realismo – alla città cyberpunk di un’altra startup (ci riferiamo al videogioco Cloudpunk). Un titolo che merita (la prosecuzione).