Esattamente un anno fa su StartupItalia pubblicavamo la recensione di Tomb Raider I-III Remastered, dodici mesi dopo i ragazzi di Aspyr chiudono il cerchio pubblicando il restauro della trilogia più recente. Com’è noto, Lara Croft è apparsa in molte altre avventure, ma è di fatto è con The Angel of Darkness che si esaurisce la spinta propulsiva delle origini, per colpa anche di un team originale – Core Design – ormai in piena crisi esistenziale, costretto a portare avanti un brand senza però apportare reali migliorie alla formula di gioco.
Tomb Raider IV-VI Remastered, un vero saliscendi
Più che una giostra di ricordi, Tomb Raider IV-VI Remastered è un vorticoso saliscendi qualitativo, con lo spirito originale che va via via deperendo avanzando da un titolo all’altro. In diverse occasioni è evidente come l’iper sessualizzazione dell’eroina, le cui forme giunoniche vengono strette in mise sempre più attillate, fosse il solo aspetto attorno cui ruotassero avventure prive di fascino e di mordente.
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Tomb Raider: The Last Revelation è con ogni probabilità il capitolo più godibile perché ancorato alla trilogia classica. All’epoca questo rappresentava uno svantaggio, dal momento che la serie aveva iniziato a invecchiare precocemente, ma oggigiorno è senza dubbio il titolo che può far felici maggiormente i fan di vecchia data.
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Tomb Raider: Chronicles aveva dalla sua un salto temporale che provava a offrire una nuova prospettiva, mentre Tomb Raider: The Angel of Darkness è l’avventura meno amata dai fan, quella più semplice, guidata e scontata. Ma forse potrebbe vivere una seconda giovinezza in questa Remastered dal momento che è il titolo più affine ai gusti dei palati odierni.
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Discorso inverso va fatto a livello grafico. Se sul fronte ludico la decrescita, progredendo coi capitoli, è netta, dal punto di vista tecnico sarà via via più difficile distinguere gli originali dagli interventi grafici apportati dal team texano che, nei fatti, si basano proprio sul motore grafico “da PlayStation 2” del vecchio The Angel of Darkness, di cui più che incicciottirne i poligoni si limitano a dare nuova risoluzione alle texture. La possibilità di saltellare da una grafica all’altra comunque fa sempre piacere e permette di ammirare l’ottimo lavoro svolto soprattutto con l’illuminazione – statica – delle varie ambientazioni.
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Allo stesso modo, è apprezzabile l’opzione che permette di scegliere se sfruttare i comandi classici o, in alternativa, quelli rivisti. Pad alla mano, entrambe le tipologie non funzionano mai davvero bene, ma quella recente è senza dubbio più assimilabile per coloro che non avessero mai giocato prima alle avventure classiche di Lara Croft.
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Il risultato è una remastered che, indipendentemente dalla qualità dei singoli capitoli – invecchiati di gran lunga peggio rispetto ai primissimi tre – è sorretta da una cura per i dettagli a dir poco certosina. Chissà se tra un anno di questi tempi qua recensiremo il restauro che include Legend, Anniversary e Underworld…