Seguiamo da tempo i ragazzi della startup videoludica milanese 3DClouds e abbiamo incontrato più volte il loro Ceo, Francesco Bruschi. Dopo il loro ultimo videogioco a bordo di galeoni pirati da potenziare e battaglie navali da ingaggiare, King of Seas, speravamo tornassero sul tema con un’avventura ancora più profonda e variegata. Siamo stati accontentati con Trident’s Tale.
Trident’s Tale: chi non s’avventura, non ha ventura
Un po’ Zelda the Wind Waker, un po’ Assassin’s Creed Black Flag e forse persino un po’ Tomb Raider: tanto King of Seas, dal punto di vista ludico, era piuttosto scarno e ripetitivo quanto il nuovo Trident’s Tale dimostra non solo di voler esplorare più meccaniche di gioco, ma anche di rifarsi a diversi titoli importanti della storia videoludica. Un gioco ambizioso, insomma, alla portata della giovane startup italiana?

Sì, lo diciamo subito. Non solo. A nostro avviso Trident’s Tale rappresenta il loro titolo migliore: quello più ricco di sfaccettature, profondo e variegato, dall’ottimo level design (le mappe terrestri sono molto articolate e ben pensate, per quanto gli enigmi piuttosto semplici e banali) e foriero delle trovate migliori. Non tutto è perfetto: la versione Switch – quella che abbiamo testato per questa recensione – di Trident’s Tale cigola parecchio sul fronte tecnico, tra scatti e improvvise sparizioni di vascelli in mare, ma le buone idee ci sono tutte.

In massima sintesi, il gameplay di Trident’s Tales si scinde in due parti: sulla terra ferma siamo dalle parti di Tomb Raider o di Zelda, con piccoli (ma sempre intriganti) isolotti da esplorare evitando trabocchetti, azionando leve, saltando da una piattaforma mobile all’altra e raccogliendo tesori. Tesori e oggetti lasciati dai nemici dovranno essere utilizzati per potenziare il proprio armamentario o le parti della navi. Salpando, il gioco assume le fattezze dei già citati Black Flag e Wind Waker: ci si ritrova in una mappa aperta da navigare a piacimento, ingaggiando furibonde battaglie navali.

Il proprio vascello si comanda proprio come nel gioco Ubisoft: si può scegliere tra tre velocità (che corrispondono al numero di vele issate) e si può far fuoco da ogni lato della nave, ma varierà il numero di cannoni. Le bocche da fuoco vengono selezionate muovendo la telecamera che governa la visuale: una scelta insolita che se da un lato rende tutto molto intuitivo (guardando a sinistra spareremo a babordo, guardando a destra a tribordo, ecc) dall’altro di fatto ci impedisce di sapere dove si stia dirigendo la nostra nave e non di rado capiterà di scontrarsi contro qualche scoglio perché avevamo la telecamera fissa sulle navi nemiche.
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Quando il galeone avversario starà per colare a picco potremo abbordarlo per ottenere un più ricco bottino. A differenza di Black Flag, comunque, qui si resterà sulla propria nave e il tesoro negli scafi dell’avversario sarà trasferito automaticamente sulla nostra imbarcazione. Nonostante, come si diceva, le battaglie navali di Trident’s Tale zoppicano un po’ per la scelta di legare la visuale ai cannoni, sono comunque molto divertenti e spesso viene voglia di lasciar perdere l’avventura solo per lasciarsi andare a scorrerie piratesche. Decisamente meno, purtroppo, sono i duelli all’arma bianca nelle sequenze terrestri.

Qui Trident’s Tale mostra tutti i limiti di un sistema di combattimento caotico e raffazzonato con un lock-on tipicamente zeldiano che non funziona mai altrettanto bene. La difficoltà complessiva del gioco è medio alta e nelle battaglie tocca i limiti massimi tra compenetrazioni sballate, una visuale che fatica a stare dietro all’azione e un sistema di schivate che molto spesso ci porta in braccio al nemico o che comunque fa schizzare un po’ ovunque la giovane pirata.
Se a tutto ciò si aggiunge che i nemici possono attaccare tutti assieme (l’ideale è “svegliarne” uno alla volta e farsi seguire in angolini appartati in cui avviare il duello) e che i boss sottraggono porzioni generose della barra vitale (quello finale uccide persino al tocco), soprattutto nelle prime ore si potrebbe essere tentati dall’idea di lasciare lì il gioco.

Non fatelo: perché al netto di queste sbavature che sporcano innegabilmente l’esperienza (e che speriamo saranno sanate da qualche patch provvidenziale, migliorando magari al contempo anche la veste grafica della versione Switch, assai lontana dalla qualità delle immagini a corredo della recensione), Trident’s Tale è davvero un’avventura che merita di essere vissuta a fondo, accompagnando la giovane eroina alla costituzione di una propria ciurma. Uno degli aspetti migliori di questo videogioco meneghino è proprio la sua durata: molte idee sono derivative e alcune sequenze sono state pensate al solo scopo di allungare il brodo ma a parte questo ci si diverte dall’inizio alla fine. Insomma, levate l’ancora perché i sette mari vi attendono.