All’annuncio di qualche settimana fa seguono i fatti: entro Natale al via UberTaxi, un’app parallela sulla falsariga di myTaxi. Ma dalle auto bianche arriva un “no grazie”
Neanche il tempo di annunciarlo – è accaduto su Repubblica, una ventina di giorni fa, per bocca del Ceo
– che Uber tiene fede agli impegni e porge un ramoscello di pace ai taxisti italiani. Invitandoli a usare la sua applicazione per prendere le corse, un po’ come accade in altri posti del mondo in cui la regolamentazione stringente ha ridotto i margini di manovra della piattaforma. Esattamente in scia a quanto fa myTaxi, l’app di Daimler che conta 4mila tassisti aderenti fra Torino, Roma e Milano, arriverà anche da noi UberTaxi. Si parte, lo svelava ieri Carles Lloret alla Stampa, proprio dal capoluogo piemontese.
Come funzionerà Uber Taxi
Il modello dovrebbe funzionare sulla falsa riga di myTaxi: l’app tratterrà il 7% del prezzo pagato dal cliente sia via carta che, a quanto pare, anche in contanti. In cambio, ovviamente, della piattaforma tecnologica, di un aumento dei flussi e di una gestione di marketing e comunicazione ben più attenta, versatile e curata di quella dei comuni servizi radiotaxi. Che pure hanno a disposizione un’app fatta in casa in realtà mai del tutto decollata, ItTaxi.
Dunque, dopo cinque anni di proteste, anche durissime, manifestazioni, attacchi indecenti e personali contro i responsabili nazionali dell’applicazione ma anche di sconfitte in tribunale per la società americana, come quella che bloccò il servizio UberPop nel 2015, arriva il primo passo per un nuovo corso, in qualche modo già impostato dalle maniere soft dell’ex country manager Carlo Tursi (fra l’altro, la casella di responsabile nazionale risulta ancora vacante dopo la “call” lanciata lo scorso agosto).
Ai taxisti non sta bene neanche questa
Le premesse non sembrano strepitose: “Non ci fidiamo, Uber ci ha fatto patire troppo. Diremo no anche ad accordi vantaggiosi” ha spiegato Federtaxi Piemonte a Repubblica. Ma c’è da scommettere che se il modello si accomoderà appunto su quello di myTaxi, e se la piattaforma continuerà il suo impegno sulla mobilità a 360 gradi, non rimarrà ragione per tirarsi indietro. Si partirà nelle prossime settimane: “Uber – spiegano dal colosso californiano nel tentativo di recuperare un rapporto positivo col contesto italiano – vuole essere un partner di lungo termine per le città italiane, lavorando insieme alle diverse alternative di trasporto, compresi i taxi, per costruire insieme città più smart e più pulite”.
Il problema, con il gruppo che si prepara a sbarcare in Borsa nel 2019, sembra appunto il passato: “A oggi lavoriamo con una cooperativa e due srl – ha spiegato Massimo Zappaterra, presidente del comitato Federtaxi Piemonte – una di queste è Mytaxi che chiede una percentuale sulla corsa pari al 7 per cento. Anche nel caso in cui Uber abbassasse la percentuale io e altri miei colleghi continueremmo a rifiutare qualsiasi collaborazione. Le promesse può farle chiunque, ma il passato non si cancella. Chiedere scusa ora ha poco senso, abbiamo perso molti soldi tra scioperi e cause”.
La rendita rimane
La realtà è che forse Uber avrà sbagliato qualcosa nell’approccio, negli anni passati, ma il vantaggio ingiustificato di una posizione di rendita, quella dei taxisti che ancora non accettano le carte di credito e fanno fatica perfino con myTaxi, rimane intonso. Legato a una (mancata) riforma del settore e di una legge – la n.21 del 1992 – del tutto sorpassata dai tempi e dagli sviluppi tecnologici, oltre che dai desiderata dei passeggeri e dalle necessità dei centri urbani. Prova ne sia il fatto che più che fornire i propri servizi Uber si piega, per riconquistare qualche posizione in un mercato da cui rischiava di essere tagliata fuori, a portare viaggiatori ai suoi nemici storici.