La sentenza in Virginia è una sentenza pericolosa perché mina alle basi uno dei principi fondanti della libertà di espressione in Rete: quello dell’autoregolamentazione dei contenuti in Rete. Ed è contemporaneamente una sentenza ragionevole perché tutela un numero molto ampio di persone che dei meccanismi distribuiti e partecipativi della Internet dei primordi non saprebbero che farsene, visto che non li conoscono e non sanno maneggiarli.
Logica vorrebbe che ai cittadini sia garantito libero accesso, eventualmente anche in scrittura, alle pagine istituzionali del Governo, delle amministrazioni e perfino dei movimenti politici, ma che le pagine personali restino nella libera disponibilità di cui le gestisce. Vero è che – come è accaduto in Virginia – spesso il confine fra questi due ambiti si è fatto indistinto e incerto.
La tutela di questo discrimine sembra essere allora il vero punto di discussione. Distinguere con maggior chiarezza ambiti pubblici da ambiti privati. Internet dovrebbe essere tutto questo assieme. Accedere liberamente alle risorse pubbliche, essere bloccato su Twitter da Maurizio Gasparri, scrivere che Gasparri ti ha bloccato, scriverlo sul proprio profilo Twitter o da un’altra parte.
E lasciare che gli altri si facciano un’idea.