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Quanto conta il merito? Quanto la capacità di essere docili e dire sempre di si? In azienda la strada per la carriera è a ostacoli ma l’approccio Agile può cambiare la situazione
Questa settimana ha fatto giustamente il giro dei social l’articolo apparso sul Fatto Quotidiano dal titolo “Il tuo obiettivo è la carriera? Ok, devi sembrare un idiota” in cui Paolo Dimalio riprende la ricerca di due professori universitari, Matt Alvesson e Andre Spicer (rispettivamente docenti presso l’Università Lund in Svezia e la Cass Business School di Londra), culminata nel libro “The paradox stupidity, power and Pitfals of Funtional Stupidity at Work”.
Perchè vincono gli yesman
La sintesi della ricerca è presto detta: in azienda pagano affidabilità, docilità e assenza di pensiero critico. Così come la disponibilità a credere che “andrà tutto bene”, un ottimismo definito “cieco” dai due autori. Risultato? Gli yesman guadagnano i favori dei piani alti, mentre i più capaci “mettono l’intelligenza nel cassetto” e si adeguano. Alvesson e Spicer, ci dice Il Fatto, hanno analizzato per lo più aziende inglesi e americane, ma tengono a precisare che i principi generali valgono anche per l’Europa. Un esempio per tutti, il caso Nokia. Emblematico di come l’incapacità di osservare la realtà con spirito critico abbia di fatto messo una intera azienda nel cassetto. E dall’altra parte dell’Oceano il crollo di Wall Street rappresentò un caso di “stupidità funzionale”.
La tesi secondo cui nelle grandi aziende ad un certo punto si prediligono figure più docili ed esecutive rispetto a leader disruptive ma efficaci non è nuova. Ricordo un po’ di anni fa il libro “Bonjour Paresse”, di Corinne Maier. Scalò le classifiche francesi e poi quelle degli altri Paesi invitando al disimpegno e alla disillusione in quanto dirigenti e manager sono votati a un’obbedienza cieca e totale al sistema.
Il problema del merito in Italia
Ma torniamo in Italia: di merito e talento si è parlato proprio recentemente, martedì 19 marzo, in occasione della serata organizzata da Aldai dove Paola Poli e Maria Cristina Origlia hanno sottolineato come la strada da parte delle organizzazioni per premiare il merito sia ancora lunga, nonostante il riconoscimento del suo valore strategico e di empowerment per i dipendenti. Soprattutto quando si parla di parità di accesso uomo donna.
Insomma, è probabile che un po’ di verità nella ricerca dei due professori da cui siamo partiti ci sia, pur con le dovute differenze tra Paesi, aziende e leader. I sistemi man mano che si sale tendono a ridurre la distribuzione della autorità, a ricercare una minore complessità e a fuggire il contraddittorio. Ma la differenza la fanno sempre le persone e i sistemi si possono rompere.
Il ruolo dell’organizzazione in azienda
Personalmente ho sempre avuto la fortuna di lavorare in contesti che mi hanno consentito di “pensare” e agire profondi cambiamenti, anche quando non sembravano possibili. Come fare allora? Disimpegnarsi e disilludersi, come suggeriva la Maier, o forzare la strada del cambiamento? E magari provare la soddisfazione di aver scritto una pagina nuova di storia aziendale? Sono profondamente convinta che il modo in cui le aziende sono organizzate abbia un ruolo importante nel determinare – o no – i comportamenti. Una strada lunga, ma potente.
Dobbiamo trovare il coraggio, anche nel nostro piccolo, di buttare giù la piramide e iniziare a lavorare per team, con ampia delega in termini di autonomia di gestione e organizzazione. Energie e talento emergeranno. E nessuno verosimilmente metterà il cervello nel cassetto. Questa opportunità ci arriva dalle nuove forme di organizzazione del lavoro agili e circolari sostenute dalla cosiddetta “wholeness”, cioè la capacità di integrare il sistema in se stessi e se stessi nel sistema grazie ad una comprensione attiva del proprio ruolo. Parleremo anche di questo nella nostra rubrica “Agile Friday”.