Che Facebook da qualche tempo a questa parte abbia grossi problemi di identità e strategia è chiaro a tutti. Così come è molto evidente che anche Internet non se la passa troppo bene: basterà guardare le molte inascoltate grida di allarme lanciate nelle ultime settimane da alcuni padri storici della Rete, Tim Berners Lee su tutti, a riguardo della nuova normativa europea sul copyright.
Ma che il fondatore della principale piattaforma sociale al mondo, quella che in un decennio ha saputo raccogliere qualche miliardo di utenti in ogni continente e che per anni ha progettato ogni suo passo per sostituirsi a Internet, fornendo alla propria clientela un luogo che replicava funzione per funzione ogni ambito di rete, venga oggi a spiegarci cosa i governi dovrebbero fare – secondo lui – per salvare Internet, beh questo è almeno paradossale.
Il fatto poi che alcune dei suggerimenti offerti, da parte di un signore che ha raccolto a strascico i dati di chiunque passasse dalle sue parti per rivenderli al miglior offerente, siano del tutto ragionevoli e inattesi (per esempio la portabilità dei dati e maggiori opzioni di riservatezza) complica ancora di più il giudizio e aumenta lo spaesamento.
Chiunque conosca la storia di Internet sa che la Rete in sé non ha bisogno di nuove regole: è nata ed è cresciuta proprio perché aveva meno regole di ogni altro ambito. E che tutte le volte che qualcuno si alza e invoca nuove regole (in Italia siamo maestri) andrà guardato con il necessario sospetto. Così saremo felici se Facebook deciderà di impadronirsi un po’ meno dei dati dei suoi clienti e consentirà loro di portarli con sé quando decideranno di andarsene: ma la morale su come si salva Internet in tempi tanto tristi forse sarà il caso di affidarla a qualcun altro. Abbiamo molti padri nobili a cui affidarci. Mark Zuckerberg non è uno di loro.