Per un breve periodo, l’intervallo fra l’istante in cui Rupert Murdoch decise di acquistare la piattaforma dai suoi fondatori per la bella cifra di 580 milioni di dollari e la sua silenziosa liquidazione qualche anno dopo a 35 milioni di dollari, Myspace è stato, insieme ad altre cose meno importanti, l’archivio di tutta la musica mondiale. Chiunque a quei tempi avesse un progetto musicale, da quelli della propria band condominiale ai grandi gruppi rock, finiva archiviato da quelle parti.
Una piccola parte dell’intelligenza musicale collettiva che MySpace ha così sbadatamente cancellato, circa l’1% di tutti i brani musicali perduti, è stata recuperata attraverso l’Internet Archive: progetto enciclopedico bellissimo al quale anch’io religiosamente ogni anno verso qualche euro di sostegno economico.
Ma se l’Internet Archive con la sua fascinosa Wayback Machine è una goccia nel mare delle cose meravigliose che sarà possibile fare in Rete, la parabola di MySpace è invece utile per fare mente locale sul restante oceano di dati: che a dispetto di quanto abbiamo creduto per alcuni lustri, quando immaginavamo Internet come il luogo dell’archivio universale e dell’eterno indelebile ricordo, tendono sempre per una ragione o per un’altra per distrazione o per volontà umana a scomparire. Trasformando la Rete, da sogno progressivo di una documentalità assoluta, nel luogo assai meno mistico della nostra usuale tendenza a dimenticare tutto.