Diciamo che in un mondo ipotetico e cavalleresco, nel quale i buoni trionfano e indicano la strada, una nuova criptomoneta basata sull’imprescindibile blockchain sarebbe dovuta uscire dal solito garage (un po’ la storia di bitcoin) per trionfare rapidamente nell’utilizzo dei cittadini: spianando i grandi potentati attorno, e non da un consorzio di soliti noti che oltre a Facebook comprende giganti come Visa, Mastercard e Paypal. Diciamo anche che le fiabe stanno bene nei libri di Gianni Rodari e quasi sempre noi siamo soliti sostituire un potere con un altro non troppo dissimile. Magari compiacendoci della grande innovazione e modernità che tutto questo produce.
“Ma abbiamo una banca?” chiese anni fa un politico italiano registrato in un’intercettazione che fece storia. “Abbiamo una banca?” si chiederanno nei prossimi mesi milioni di utenti di Whatsapp e Facebook quando la piattaforma offrirà loro un sistema semplicissimo e quasi gratuito per inviare e ricevere soldi e loro istintivamente si domanderanno perché mai continuare ad avere un conto in una costosa banca fatta di impiegati e mattoni e pessimi siti web.
Lo schema tecnologico di Libra e Calibra del resto è il solito. È già accaduto con la musica e con i viaggi, con gli alberghi e con i taxi. Dentro l’economia digitale il valore si sposta vigorosamente verso la piattaforma, l’intermediario vince. La sapienza della piattaforma diventa tutto ciò che apparentemente conta. Ovviamente non è quasi mai così. La piattaforma può creare disastri esattamente come quelli che c’erano prima di lei. Saranno disastri differenti. Disastri di nuovo tipo. Per provare ad evitarli e per stare alla larga dal tecnologo ingordo che aggiunge cose alle sue già moltissime cose, dovremo darci da fare noi. E no, non sarà semplice.