I due prodotti sono in buona parte sovrapponibili per efficacia, sicurezza e tecnologia. La differenza sostanziale è che il vaccino di Moderna è più maneggevole perché può essere conservato a temperature più basse. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università statale di Milano
Sono arrivate nella mattina del 12 gennaio presso la sede dell’Istituto superiore di sanità (Iss) le prime 47mila dosi del vaccino anti-Covid sviluppato da Moderna (mRNA-1273). Il secondo a essere approvato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e a essere somministrato in Italia dopo quello sviluppato da BioNTech e Pfizer (BNT162b2, Comirnaty) disponibile nel nostro Paese dallo scorso 22 dicembre. La copertura del vaccino di Moderna arriverà a 764mila dosi in due mesi, con altre tre consegne suddivise tra il 25 gennaio (66mila dosi) e l’8 e il 22 febbraio (163mila e 488mila dosi rispettivamente).
Si tratta dei primi due vaccini anti-Covid di una lista più lunga che comprende cinque differenti tipologie: vaccini a Dna e Rna, vivi attenuati, inattivati, a subunità e con vettore virale. Gli occhi – almeno per ora – sono puntati soprattutto sui vaccini a Rna (Moderna e BioNTech-Pfizer appunto) e su quelli con vettore virale (Astrazeneca-Oxford) in fase più avanzata di sviluppo clinico o già sul mercato. E sebbene non si potrà scegliere quale vaccino ricevere viene spontaneo chiedersi se esitano delle differenze tra i primi due vaccini che alcuni italiani stanno già ricevendo.
Conservazione
La risposta è che i due prodotti sono simili in termini di tecnologia: entrambi infatti utilizzano uno stampo di Rna messaggero o mRNA (che si degrada subito dopo l’utilizzo) per far sì che l’organismo di chi riceve il vaccino, produca le proteine spike del Sars-cov-2, stimolando così il sistema immunitario a produrre anticorpi.
“La differenza sostanziale però è che il vaccino Moderna è più maneggevole” spiega a Startupitalia Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università statale di Milano. “Si può tenere a -25 °C fino a 7 mesi (mentre il vaccino BioNTech e Pfizer si conserva per 6 mesi tra -90 °C e -60 °C ndr) e poi addirittura in un frigorifero tra 2° e 8°C per 30 giorni (contro un massimo di 5 giorni e fino a 2 ore a una temperatura non superiore a 30 °C per il competitor ndr). Il che lo rende più facile da utilizzabile se saranno coinvolti medici di famiglia e per la manipolazione successiva”.
Il flaconcino multidose del vaccino Moderna inoltre non richiede diluizione ed è già pronto all’uso, mentre il corrispettivo va ricostituito con sodio cloruro al 0,9% prima dell’uso e usato entro 6 ore a una temperatura compresa tra 2 e 30°C una volta preparato.
Efficacia e popolazione
In termini di efficacia invece i due vaccini sono comparabili come ricorda ancora Pregliasco che aggiunge: “l’unica differenza riguarda la popolazione target: il vaccino Pfizer-BioNTech è indicato per le persone di età pari o superiore a 16 anni, mentre Moderna sopra i 18 anni”. (Sebbene entrambe le aziende pare che di recente abbiano iniziato a testare il vaccino tra i 12 e i 17/18 anni).
I dati dei trial clinici che hanno portato all’approvazione dei due vaccini hanno dimostrato un’efficacia sovrapponibile ed essenzialmente equivalente almeno nelle prime fasi dopo la vaccinazione. Se infatti il vaccino Pfizer-BioNTech si è dimostrato efficace al 95% nel prevenire l’infezione da Covid-19 sintomatica misurata a partire da sette giorni dopo la somministrazione della seconda dose, quello di Moderna non è stato da meno, con un’efficacia del 94,1% ma a partire da 14 giorni dopo la seconda dose. Entrambi sembrano essere più o meno ugualmente protettivi nei diversi gruppi di età, razziali ed etnici e sembrano ridurre il rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19. Quello che non è ancora noto invece, è se possano prevenire anche l’infezione asintomatica da Sars-cov-2 e quindi prevenire la diffusione del virus oltre alle forme gravi della malattia.
Somministrazione e immunità
Un’altra differenza riguarda l’immunità, raggiunta dopo due settimane dalla seconda somministrazione nel caso del vaccino di Moderna e dopo 7 giorni dalla seconda somministrazione nel caso del vaccino Pfizer-BioNTech. Entrambi vengono somministrati nel braccio (muscolo deltoide) ma mentre la schedula vaccinale del prodotto di Moderna prevede due somministrazioni a distanza di 28 giorni, quello di Pfizer-BioNTech conta 21 giorni.
Sicurezza
Come riporta l’Aifa inoltre, in base ai dati attualmente disponibili il profilo di sicurezza del vaccino Moderna appare sostanzialmente sovrapponibile al suo predecessore, come conferma anche Pregliasco. Gli effetti collaterali più comuni registrati finora sono stati: dolore al sito di iniezione, affaticamento, mal di testa, dolore muscolare e dolore alle articolazioni. Alcune persone negli studi clinici hanno segnalato febbre. La maggior parte di questi effetti indesiderati si sono manifestati soprattutto dopo la seconda dose e in prevalenza nelle persone giovani che hanno un sistema immunitario più forte. Il che secondo gli esperti indicherebbe che il sistema immunitario si sta attivando e non che il vaccino non sia sicuro. Tra gli episodi più gravi segnalati nel caso del vaccino Pfizer-BioNTech alcune reazioni allergiche, per ora non ancora osservate con il prodotto di Moderna.
Donne in gravidanza o in allattamento
Per ora nessuno dei due vaccini è stato testato in sperimentazioni cliniche su donne in gravidanza e allattamento come conferma anche Pregliasco: “Non ci sono dati ma in allattamento si può valutare anche in base al rischio della mamma se riceverlo”. Per entrambi i vaccini studi condotti sugli animali non hanno mostrato effetti dannosi in questa popolazione, ma mancano ancora dati sugli esseri umani da parte di entrambe le società, come riporta anche Epicentro dell’Iss.
Durata della protezione
Resta da sciogliere il nodo della durata della protezione da parte di entrambi i vaccini. Al momento infatti gli scienziati non sanno ancora dare una risposta e serviranno prelievi di sangue periodici da parte di alcuni volontari per monitorare i livelli di anticorpi (anche se va sottolineato come un calo dei livelli di anticorpi non equivalga necessariamente alla perdita di protezione).