“Gli unicorni da noi sono effettivamente come le creature mitologiche, tutti ne parlano ma ancora non ne abbiamo visto uno, escludendo i due casi di Yoox e Depop. Questo però non deve trarre in inganno né farci perdere le speranze”
Tutti i giorni sentiamo parlare di cloud, blockchain e bitcoin, ma qual è la portata della rivoluzione in atto nel contesto capitalistico, causata proprio dalle nuove tecnologie? Ne abbiamo parlato con Massimo Tortorella, presidente e fondatore di Consulcesi nonché autore del libro “Il Capitale digitale” (Paesi Edizioni). Con lui abbiamo discusso anche dell’importanza delle startup nell’innovare tutti i settori della nostra economia: “L’Italia – ci ha detto – ha grandi talenti riconosciuti nel mondo, basti guardare ad esempio alla startup Kong, unicorno negli Stati Uniti ma dal cuore italiano. Serve lavorare da un lato sulla cultura digitale degli investitori italiani e dall’altra è necessario ridurre e rendere trasparente l’enorme burocrazia che pesa come un macigno sui mercati, facilitando l’accesso agli investitori e ai fondi esteri”.
StartupItalia: Proprio in questi giorni, il MEF con un decreto ha regolamentato il mondo delle criptovalute: quali sono i pregi e quali i limiti della novella?
Massimo Tortorella: Finalmente il governo, anche se in forte ritardo, batte un colpo sul complesso e sempre più grande mercato delle criptovalute. La creazione di quello che può essere definito un censimento degli operatori di criptovalute è un primo segnale a indicare l’intenzione di regolamentare il settore. Ma temo che l’intervento del Mef crei anche alcune criticità da non sottovalutare. Intanto, il censimento riguarderà i clienti e le loro operazioni, con tanto di dati personali consultabili dalla Guardia di Finanza. Questo potrebbe indurre gli utenti a trasferire i loro portafogli su piattaforme estere, e questo si ricollega a una seconda problematica. Quasi la totalità delle operazioni svolte dagli italiani avviene su piattaforme con sede all’estero. Mentre il decreto del Mef coinvolge esclusivamente gli operatori che operano sul territorio nazionale. Il risultato sarà che le imprese italiane dovranno affrontare nuovi e maggiori costi della concorrenza, creando così una disparità difficilmente compensabile.
SI: Non crede che regolamentare solo a livello nazionale un fenomeno per sua stessa natura internazionale abbia un effetto boomerang sugli imprenditori nazionali, che dovranno adeguarsi alle normative?
MT: E’ certo che gli operatori che lavorano a livello nazionale si troveranno ad avere costi maggiori per poter adempiere ai doveri previsti dal decreto. Per cui, è evidente come detto prima che saranno favoriti quelli esteri. Sicuramente, per evitare di creare tensioni nei rapporti, i più grandi attori mondiali del settpre aderiranno alle richieste italiane, ma il mercato è fatto da migliaia di piccoli operatori che, con tutta probabilità, non si porranno il problema.
SI: Nel libro parla di Rinascimento tecnologico italiano: pensa che coi fondi del PNRR potremo dar vita a questo periodo di trasformazione? Qual è il suo giudizio sulla misura?
MT: L’Italia ha davanti a sé una grande opportunità, soprattutto sul fronte delle tecnologie dove oggi siamo ancora indietro rispetto alla media europea se guardiamo alla cultura digitale della popolazione e alle infrastrutture. Ma il nostro Paese ha un problema, che non è quello di essere in grado di ricevere i fondi dalla Ue, visto anche l’importante lavoro svolto dal Governo nella presentazione del Piano a Bruxelles, quanto quello di saperli spendere e spenderli soprattutto bene. Serve una pianificazione che non sia il solito navigare a ‘vista’ ma che sia di medio e lungo periodo. Per farlo ci sarà bisogno di una collaborazione tra le istituzioni e tutti i player coinvolti. Il Pnrr ha al suo interno molteplici interventi che interessano la tecnologia e il suo sviluppo, anche in chiave di attenzione all’ambiente e contrasto al cambiamento climatico. Ma solo un lavoro svolto in maniera sinergica e con una visione prospettica potrà portare dei risultati.
SI: Ci stiamo accorgendo solo ora che la transizione ecologica senza un adeguato piano industriale rischia di creare disoccupazione (pensiamo all’automotive col passaggio dall’endotermico alle auto EV): il medesimo fenomeno può verificarsi anche con la transizione digitale?
MT: Probabilmente l’industria del futuro porrà questioni legate all’occupazione. Il sempre maggiore ricorso alle tecnologie in alcuni rami, come quello delle fintech, sta effettivamente riducendo la necessità di assumere personale nelle società. Algoritmi sempre più sofisticati e big data stanno sostituendo molte operazioni che fino a poco tempo fa dovevano essere necessariamente svolte, o controllate, da esseri umani. E’ però vero che la transizione digitale sta aprendo le porte a nuove professionalità, forse alcune ancora sconosciute oggi, che necessariamente dovranno essere coperte da persone formate e qualificate. Proprio questo, secondo me, è il punto. La formazione, che, come Consulcesi, promuoviamo nel nostro settore attraverso programmi ad hoc, è essenziale per evitare rischi occupazionali nel futuro e per poter intraprendere la strada della transizione digitale in maniera giusta, sostenibile e socialmente equa.
SI: Nel libro si sofferma sul ruolo delle startup e sul fiorire di unicorni: come giudica la situazione italiana?
MT: Nonostante gli investimenti importanti effettuati nel nostro Paese in questi ultimi anni, rimaniamo ancora indietro per capitalizzazione e investimenti nelle startup. Gli unicorni da noi sono effettivamente come le creature mitologiche, tutti ne parlano ma ancora non ne abbiamo visto uno, escludendo i due casi di Yoox e Depop. Questo però non deve trarre in inganno né farci perdere le speranze. Per il nostro Paese tratta di un mercato ancora inesplorato e dalle immense potenzialità. L’Italia ha grandi talenti riconosciuti nel mondo, basti guardare ad esempio alla startup Kong, unicorno negli Stati Uniti ma dal cuore italiano. Serve lavorare da un lato sulla cultura digitale degli investitori italiani e dall’altra è necessario ridurre e rendere trasparente l’enorme burocrazia che pesa come un macigno sui mercati, facilitando l’accesso agli investitori e ai fondi esteri. Le potenzialità ci sono, sono l’impianto normativo e la scarsa conoscenza del settore a frenare l’esplosione del fenomeno anche da noi.