Abbiamo intervistato Antonia Verna, partner dello studio legale Portolano Cavallo, per ripercorrere norme e tappe
La storia delle startup è un elenco che potrebbe non finire mai. Ogni giorno le novità abbondano nell’ecosistema ed è anche per questo che teniamo conto dei round e di tutti gli avanzamenti degli attori coinvolti. Call che aprono, acceleratori e incubatori che presentano le proprie startup, imprenditori che chiudono exit milionarie e, di recente, società che evolvono e diventano unicorni. Su StartupItalia tanto è stato scritto negli ultimi anni: il magazine è nato con l’obiettivo di raccontare le storie, tutte, quelle di successo e quelle che parlano di errori e ispirano la community. Nel 2012, dieci anni fa, il decreto legge 179 dell’allora Governo Monti ha introdotto novità importanti, in un paese che ancora non conosceva il termine startup. Il Sole 24 Ore lo spiegava così. «Noi vogliamo far diventare l’Italia più amica delle startup, aziende innovative che non sempre sono state aiutate nel nostro Paese», diceva l’ex ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera. Per fare un bilancio di tutti questi anni ci siamo rivolti ad Antonia Verna, partner dello studio legale Portolano Cavallo e responsabile dell’area Startup & Venture Capital.
«Il decreto Crescita 2.0 è stato importante anche dal punto di vista legale – ci ha spiegato – .Per la prima volta il legislatore ha cominciato a pensare in maniera sistematica a come normare la figura della startup. Governo e Parlamento volevano dare un boost alla nascita di startup nel mondo tecnologico». In quegli anni Riccardo Luna scriveva di una generazione di startupper che avanzava, disillusa ormai rispetto alla false certezze del posto fisso, crollate dopo la crisi del 2008.
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Se è vero che l’ecosistema è ora chiamato a una prova di maturità, vale la pena dare qualche numero sulla nicchia del 2011 per rendersi conto dell’innegabile avanzamento. In quell’anno le operazioni sono state 44, per un totale di circa 27 milioni di euro investiti; nel 2013 la cifra raccolta saliva a 52 milioni di euro; nel 2019, come calcolavamo in uno dei nostri periodici report, abbiamo raggiunto i 723 milioni di euro; nel 2021 oltre 1,3 miliardi di euro. Non siamo a livelli francesi o di altri distretti europei, ma a dieci anni di distanza la macchina ha macinato.
Anno dopo anno i fondi raccolti aumentavano e startup prima sconosciute iniziavano a diventare parte integrante della nostra quotidianità, per prodotti e servizi innovativi messi a disposizione. In dieci anni è cambiato anche il panorama normativo, con la costruzione di un framework. «Nel 2013 è stato emanato il Regolamento Consob sulla disciplina di equity crowdfunding – ha ricordato Verna -. Nel 2015 è stata introdotta la figura della PMI innovativa; nel 2017 è stato esteso il crowdfunding a tutte le PMI, anche non innovative; e poi si è arrivati alla costituzione online delle startup».
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Antonia Verna, esperta in ambito legale per il mondo startup, ha aggiunto: «In Italia siamo passati da una media di 1,2 milioni di euro per investimento a una media di 7,4; da 1477 startup nel 2012 alle 14mila attuali». Dopo due anni dallo scoppio della pandemia, con centinaia di startup che hanno fatto pivot (un modo più tecnico per indicare la resilienza), ancora molto c’è da fare. Nel frattempo il dibattito continua, tra entusiasti e scettici. Sullo sfondo, infine, la politica, ancora chiamata a sostenere l’ecosistema. «Il governo può intervenire su vari fronti: ad esempio sui grant – ha concluso l’avvocato -. Bisogna continuare sugli investimenti per creare più centri di formazione e aiutare così le startup ad acquisire competenze tecniche. Son ancora pochi i luoghi come incubatori e acceleratori».