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Aumenta la richiesta di professioni legate all’innovazione tecnologica. Assobiotec sigla accordo con Campus Biotech Digital
Nel prossimo decennio, il settore biotech sarà testimone di una crescita della domanda di lavoro che coinvolgerà il 53% delle professioni del comparto. Solo il 21% sarà in decrescita, mentre il 26% resterà stabile. L’incremento di questa domanda riguarderà soprattutto alcune professioni ad alta specializzazione, specifiche del settore eo legate all’area tecnologica, come i ricercatori bioinformatici (+10,2%), gli ingegneri AI (+9,5%) e i ricercatori esperti di machine learning (+9,2%).
È quanto emerge dalla ricerca “Quale futuro per le competenze nel settore biotech?“, realizzata da EY e Jefferson Wells, il brand di Executive Search di ManpowerGroup, in collaborazione con Frezza & Partners e Assobiotec, l’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica. La ricerca, che si inserisce all’interno dell’Osservatorio “Il Futuro delle Competenze” avviato nel 2019 da EY e ManpowerGroup, prevede come cambierà la domanda di lavoro nel comparto biotech nel medio-lungo periodo e analizza le dinamiche evolutive del set di competenze rilevanti (skillset) per i profili professionali indagati.
Lo studio ha messo sotto la lente di ingrandimento 122 professioni attraverso un approccio metodologico basato sull’analisi dei driver di cambiamento (megatrend) che impatteranno sul mercato del lavoro e sull’acquisizione di dati e analisi di esperti e operatori del settore, mediante workshop e un game digitale (chatbot Telegram). I dati raccolti sono stati poi elaborati grazie a complessi algoritmi di intelligenza artificiale, basati su tecniche di machine learning.
Tra le varie evidenze, l’analisi ha confermato che la transizione tecnologica in atto avrà un ruolo chiave nel futuro dell’occupazione, soprattutto come acceleratore dei processi di obsolescenza di professioni, competenze e mansioni. Per tutte le professioni indagate, lo studio indica importanti trasformazioni degli skillset che le compongono, mostrando alcune criticità. Il modello, ad esempio, stima un aumento della difficoltà di reperimento dei profili per oltre il 70% delle professioni per cui è prevista una crescita della domanda di lavoro.
“Il nostro obiettivo era comprendere con anticipo il mercato del lavoro per permettere alle imprese biotech, ma anche all’università e a chi si occupa di formazione, di prepararsi ai tanti cambiamenti in atto dal punto di vista occupazionale, al fine di fornire ai giovani un quadro di scenario e un’offerta formativa utili nella prospettiva del loro possibile futuro lavorativo”, spiega Riccardo Palmisano, presidente Assobiotec – Federchimica.
“E volevamo farlo partendo da analisi dettagliate e da dati oggettivi. Lo studio ci conferma che la programmazione, possibilmente fatta in collaborazione fra mondo accademico e industriale nell’ambito dei piani nazionali per la ricerca e l’innovazione è una priorità sulle quale è urgente agire. Lo sviluppo delle nuove professionalità deve necessariamente andare di pari passo con lo sviluppo di un settore che ha l’innovazione nel proprio DNA: se non prepariamo oggi il nostro futuro, fra 10 anni il settore rischierà di trovarsi senza le competenze necessarie, con una conseguente perdita di competitività del Paese in un settore cruciale per la crescita di PIL e occupazione”.
La tecnologia crea nuovi rischi e opportunità occupazionali
Mettendo in relazione la domanda di lavoro stimata per ciascuna professione con il numero di occupati nel settore, è stata realizzata un’analisi sintetica sia delle opportunità occupazionali che delle criticità emergenti per le aziende del settore biotech. In particolare, è emerso che il 20,5% della forza lavoro occupata fa capo a professioni con elevata domanda di lavoro, ma scarsa quantità di forza lavoro, rappresentando quindi una forte opportunità occupazionale. Al contrario, il 7,4% della forza lavoro è caratterizzata da profili con un’elevata occupazione, ma bassa crescita della domanda di lavoro in futuro, con conseguente rischio occupazionale.
Nello specifico, i risultati mostrano un elevato rischio occupazionale per le professioni a bassa qualifica della catena logistica (ad esempio, responsabili e operatori di magazzino, rispettivamente -7,3% e -7,1%) a causa dei potenziali effetti dell’automazione. Per queste figure, si consiglia l’avvio di azioni di mitigazione del rischio anche attraverso percorsi formativi di reskilling.
La situazione è diametralmente opposta per le professioni legate all’innovazione tecnologica, per le quali si prevedono elevate opportunità occupazionali. In questo caso, si suggerisce lo sviluppo di politiche di recruiting efficaci per ridurre lo skills mismatch (la differenza tra le competenze richieste e quelle effettivamente possedute dai lavoratori) e la difficoltà di reperimento, come per i cybersecurity manager (domanda di lavoro stimata, +11,3%), i business development manager (+10,7%) e i ricercatori bioinformatici (+10,2%).
Tra i due estremi, invece, si collocano professioni per le quali le aziende dovrebbero investire in azioni di monitoraggio e governo, volte ad osservare l’evoluzione della domanda di lavoro, che potrebbero portare all’attuazione di attività di reskilling oppure upskilling per aumentare l’efficacia produttiva delle imprese e la resilienza occupazionale dei lavoratori.
Le conseguenze della crescente complessità degli skillset
Un’ulteriore analisi è stata condotta sull’evoluzione delle competenze e degli skillset, da qui al 2030, che ha evidenziato una complessità crescente, con una serie di conseguenze sull’evoluzione stessa delle professioni. La prima riguarda la crescente difficoltà di reperimento dei profili professionali, che coinvolge il 70% delle professioni per cui viene previsto un aumento della domanda di lavoro, mentre per il restante 30% tale difficoltà risulta stabile nel corso del decennio. Esemplificativo è il caso del commercial excellence manager, per cui è previsto un aumento del 14,3% della difficoltà di reperimento, dal 2021 al 2030.
Un’altra conseguenza dell’aumento della complessità degli skillset è legata all’ingresso di nuove competenze e al relativo disallineamento (mismatch) tra le competenze degli occupati (o potenziali occupati) e quelle effettivamente richieste per svolgere una professione. In questo caso, il modello evidenzia come a soffrire maggiormente dello skills mismatch saranno le professioni specialistiche ad elevata complessità, come il robotic surgery engineer (+32,3%).
Infine, un’ulteriore conseguenza riguarda il contenuto delle competenze, che potrebbero subire processi di obsolescenza. Un fenomeno correlato al mancato aggiornamento delle conoscenze e competenze già presenti nello skillset, che mutano di contenuto nel corso degli anni. In questo senso, il driver chiave dell’obsolescenza è rappresentato dall’innovazione, intesa in senso ampio e non solo come, ad esempio, innovazione tecnologica, ma anche come innovazione di processo oppure di organizzazione del lavoro. Il modello ha stimato un rischio di obsolescenza per le professioni indagate che varia dal 15% per gli ingegneri esperti di realtà virtuale al 29% per i brand & customer experience manager.
La trasformazione delle professioni
Le traiettorie evolutive degli skillset hanno poi consentito di evidenziare tre processi trasformativi delle professioni, che prevedono la nascita di nuovi profili per distacco, fusione o ibridazione. Nello specifico, riguardo al primo caso, ci si riferisce alla creazione di una professione per distacco di competenze da una professione esistente: la nuova professione sarà così definita da un set di competenze che costituisce un sottoinsieme della professione di origine. Il modello ha identificato tre casi di professioni coinvolte: technology transfer engineer, patient advocacy specialist e medical advisor.
La creazione di una professione può avvenire anche per fusione di competenze da due o più professioni esistenti, con la conseguente distruzione delle professioni che si sono fuse: è il caso di esempi che coinvolgono lo shift supervisor e il facility manager, o il regulatory specialist e il regulatory manager. Infine, il modello evidenzia la mutazione di una professione per ibridazione, quando la professione si “evolve” attraverso la riproduzione di un sottoinsieme di competenze proprio di altre professioni. Al riguardo, in particolare, sono stati identificati i casi del digital pathology IT architect e dell’intellectual property manager.
Nel complesso, tali evoluzioni renderanno necessarie da parte delle imprese del settore azioni particolari di formazione (upskilling e/o reskillsing) per determinate professioni, che consentiranno la nascita di figure professionali altamente innovative in grado di fornire valore aggiunto alle aziende che le introducono nel proprio organico.
“Gli esiti della nostra analisi mostrano che le professioni del settore biotech andranno incontro a un’importante evoluzione da qui al 2030. Questo porterà alla trasformazione di numerosi profili professionali, con un aumento della complessità dei loro skillset e, conseguentemente, crescenti difficoltà da parte delle imprese nel reperire le competenze necessarie”, commenta Andrea D’Acunto, people advisory services leader di EY in Italia.
“Queste trasformazioni, tuttavia, se affrontate adeguatamente, potranno offrire alle aziende del settore un’importante opportunità per garantire la propria crescita nel medio periodo. In particolare, diventerà sempre più importante rafforzare e ampliare modalità di collaborazione con le Università e gli ITS per disegnare e implementare percorsi di alta formazione in linea con i processi evolutivi delle professioni, e al contempo immaginare percorsi di apprendimento permanente all’interno delle aziende secondo un modello di learning organisation. Nei prossimi anni sarà dunque prioritario agire sulla capacità e sulla tempestività di intervento nel produrre le nuove competenze che saranno richieste da parte dell’intero ecosistema istruzione-formazione-lavoro”.
“Il settore biotech in Italia è tra i comparti che più di altri sperimenterà una forte evoluzione nel prossimo decennio, sotto la spinta di trend come l’innovazione tecnologica, i cambiamenti climatici e ambientali, oltre alla trasformazione dei modelli lavorativi. Tendenze ulteriormente promosse da iniziative come il PNRR, che per la transizione digitale ed ecologica prevede investimenti pari a 110 miliardi di euro”, commenta Alessandro Testa, Jefferson Wells director.
“Questo comporterà un’evoluzione dei profili e delle competenze necessarie per gestire il cambiamento, ed è per questo che le aziende dovranno organizzarsi per fronteggiare la situazione, andando a colmare il gap tra domanda e offerta di lavoro attraverso efficaci strategie di recruiting, reskilling e upskilling, che consentano di colmare il divario di competenze attuale e futuro”.
La partnership europea per la formazione nel biofarmaceutico
La presentazione dei dati di questa ricerca è stata contestuale all’annuncio di un accordo europeo fra Assobiotec e Campus Biotech Digital, realtà pubblico-privata fondata da un consorzio di primarie aziende farmaceutiche europee, che ha l’obiettivo di far crescere le competenze in ambito biofarmaceutico, fornendo una formazione innovativa e costruita sulle specifiche esigenze del comparto.
L’accordo, in particolare, prevede una collaborazione di tre anni, durante i quali il personale delle imprese biotech aderenti e giovani laureati selezionati dalle imprese potranno accedere a percorsi di formazione nell’ambito della produzione biotecnologica, sviluppando uno specifico set di competenze, adeguato a rispondere alle necessità di un mercato in continua e rapida evoluzione.
Sono 13 i corsi attualmente previsti all’interno di un percorso di formazione triennale. Tra i principali focus: ecosistema della produzione biofarmaceutica, controllo di qualità, bioprocess data analyst e supply chain. La formazione sarà erogata in modalità digital, con una particolare attenzione all’individuazione delle soluzioni più indicate per consentire il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento, tra workshop digitali della durata di due ore, moduli immersivi e momenti di condivisione di esperienze e competenze.
Abbiamo firmato oggi un accordo con Campus #Biotech Digital, realtà pubblico-privata internazionale, per far crescere le competenze in ambito #biofarmaceutico, fornendo una formazione innovativa e costruita sulle esigenze del comparto. Per approfondimenti: https://t.co/2gCDb9USZg pic.twitter.com/VZeGtkTDIp
— Assobiotec News (@AssobiotecNews) May 12, 2022
“L’accordo siglato con Campus Biotech Digital rappresenta un contributo per la creazione di un tessuto produttivo nazionale sulla frontiera dell’innovazione”, ha dichiarato Riccardo Palmisano, presidente di Assobiotec-Federchimica. “Se il Paese vuole essere pronto a cogliere l’opportunità offerta dalle risorse del PNRR e a competere in questo settore – continua Palmisano – deve anche attrezzarsi affinché il capitale umano in esso impiegato sia pronto ad affrontare tutte le sfide che i rapidi cambiamenti in atto ci porteranno ad affrontare. Un ulteriore passo concreto per migliorare l’ecosistema italiano delle scienze della vita e rendere più autonomo e indipendente il sistema produttivo del nostro Paese”.
“Con questa partnership, il comparto biotech acquisisce una formazione ultra innovativa e competenze specialistiche, rafforzando così la rete di esperti che possono mettere a frutto il proprio talento lungo l’intera catena del valore della bioproduzione, a livello internazionale”, ha sottolineato Karim Vissandjee, ceo di Campus Biotech Digital.