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#SIOS22 Summer | Layla Pavone: “Il Made in Italy oggi non basta più”

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#SIOS22 Summer | Layla Pavone: “Il Made in Italy oggi non basta più”

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Secondo i dati diffusi da StartupItalia, gli investimenti in startup sono cresciuti nei primi 6 mesi dell’anno. Il commento di Layla Pavone

Secondo i dati diffusi da StartupItalia, gli investimenti in startup sono cresciuti nei primi 6 mesi dell’anno. Il commento di Layla Pavone

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Chiara Buratti
8 lug 2022

Secondo i dati emersi dal paper diffuso da StartupItalia in occasione di #SIOS22 Summer Edition lo scorso 30 giugno, gli investimenti in startup italiane nei primi sei mesi del 2022 si sono aggirati attorno al milione di euro. Abbiamo chiesto un commento e una panoramica generale dell’ecosistema italiano a Layla Pavone, coordinatrice del board Innovazione Tecnologica e Trasformazione Digitale del Comune di Milano.

 

Leggi anche: Investimenti e startup, sfiorato il miliardo nei primi 6 mesi. Tutti i round. Scarica il report aggiornato

 

Investimenti in startup: cosa ne pensa Layla Pavone

StartupItalia: Come vede in questo momento l’ecosistema startup in Italia in questo particolare momento storico?

Layla Pavone: «Sono molto felice di leggere questi dati. E’ un bellissimo indicatore di ripresa ed è anche un segnale di un’inizio di maturità del settore. Diciamo che siamo arrivati, metaforicamente parlando, alla maggiore età; siamo usciti dall’adolescenza che porta con se cambiamenti e crescite graduali, ma a mio avviso ci manca ancora quel “quid” che è dato dal fare ancora più esperienza per consolidare tutto ciò che in questi ultimi dieci/quindici anni abbiamo imparato e sperimentato. Questa maturità è quella che consentirà l’ingresso, che peraltro stiamo già iniziando a vedere, e lo sviluppo degli investimenti che arrivano dall’estero. Una maturità che deve anche significare la capacità da parte delle nostre startup e PMI di non rimanere piccole ma di essere capaci di aggregarsi e di fare rete, perchè uno dei peccati originali del nostro Paese è stato, ed è ancora in parte, proprio quello di “coltivare il proprio orticello ponendo degli steccati, senza pensare che invece unendolo quello del vicino il risultato potrebbe essere più grande e migliore”».

Layla Pavone

 

StartupItalia: Su quali comparti merceologici si punterà maggiormente nei prossimi anni?

Layla Pavone: «Sicuramente il Fintech continua ad essere mainstream, ma ritengo che tutto ciò che rappresenta i temi dell’Agenda 2030 e dei suoi obiettivi e degli ESG sarà determinante. Greentech e Sostenibilità sono le parole chiave e, in questo senso, il nostro ingegno e talento non mancherà di farsi sentire ed emergere a livello globale. Sappiamo quanti italiani all’estero nel mondo della ricerca e dell’innovazione tecnologica nel settore energetico e della chimica ad esempio hanno fatto la differenza».

 

 StartupItalia: La fiducia nel crowdfunding ha visto una battuta d’arresto significativa, come interpreta questo dato?

Layla Pavone: «Io credo che il crowdfunding richieda una maggiore consapevolezza e profondità di conoscenza uscendo un po’ dalla connotazione di “investimento per gioco”. Credo che in questo senso manchi una prospettiva quali- quantitativa di competenza nella diversificazione degli investimenti da parte dei singoli investitori. Certamente questo non è il momento più favorevole per fare esercizio in termini di diversificazione di piccoli investimenti anzi, come sappiamo il contesto geo-politico ha causato una sorta di retromarcia data dal ritiro dei propri capitali dal mercato degli investimenti che ha generato una paura diffusa. Ed è proprio questa sua connotazione ancora un po’ ludica che lo ha penalizzato nell’ultimo anno».

Leggi anche: #SIOS22 Summer | Anna Amati: “Siamo distanti dal mercato globale”

 

StartupItalia: In Italia bisogna portare le PMI a fare innovazione, a investire nelle start up per poi magari acquisirle. Come incentivare questo circolo virtuoso? Cosa vede nel prossimo futuro?

Layla Pavone: «Le PMI devono obbligarsi a fare rete, e imparare a lavorare con un modello operativo di di filiera o di distretto. Purtroppo, in questa arena globale il concetto di piccolo ma bello comincia a vacillare o meglio, è chiaro che il nostro successo come sistema Paese nasce dal nostro talento, riconosciuto in tutto il mondo, il Made in Italy nasce da un’eccellenza artigianale e da una ricerca maniacale del dettaglio e della perfezione, ma tutto questo oggi non basta più. Bisogna essere anche più grandi per competere in un’arena globale, quindi bisogna unire le forze e capire che le startup innovative e il digitale possono essere una straordinaria risposta, fornendo soluzioni “disruptive” che, se unite alla nostra tradizione, possono costituire per il futuro, ancora una volta, quella “marcia in più” o quella, per dirla col gergo del marketing, “unique selling proposition” che ci ha resi unici e inimitabili e così ambiti in passato».

 

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