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Di fronte alle richieste di un mondo del lavoro che evolverà molto in fretta, la formazione nell’ambito delle biotecnologie dovrà puntare ad ampliare competenza e discipline, ricerca e innovazione, rapidità e flessibilità. Vediamo cosa ne pensano alcuni esperti in formazione
Il laureato in biotecnologie sarà una figura molto richiesta nel mondo del lavoro. E non saranno necessari tanti anni per assistere a tale trasformazione. Nei prossimi dieci anni, vedremo una profonda trasformazione delle professioni ad alta specializzazione e legate a particolari aree tecnologiche. È quanto rilevato dall’Osservatorio Il futuro delle competenze in Italia, di EY e Jefferson Wells, in collaborazione con Frezza & Partners e Assobiotec – Federchimica.
In particolare, la ricerca ha preso in considerazione sei settori professionali caratteristici: agricoltura, ambiente, bioindustria, farmacologia, medicina e diagnostica, veterinaria e zootecnia. In tali settori assisteremo alla comparsa di nuove professionalità e alla scomparsa di altre figure. Di certo tutti i ruoli professionali assisteranno a importanti trasformazioni delle loro competenze.
Alcuni trend di forte impatto daranno un forte impulso ad alcune professioni. L’innovazione tecnologica è un fattore che influenzerà per il 25,2%. Ad essa si aggiungono i cambiamenti climatici e il degrado ambientale (21,9%) o la scarsità delle risorse naturali (19,9%). Ma anche il cambiamento dei modelli lavorativi avrà un peso (14,1%).
Andiamo dunque a vedere quali fenomeni avranno un impatto sulle professioni del futuro e a considerare gli interventi nell’ambito della formazione per rendere i giovani preparati al cambiamento.
Formazione ampia e flessibile per il lavoro del futuro
È il momento di ripensare alla formazione? La domanda nasce in modo spontaneo. L’analisi Il futuro delle competenze in Italia riporta che più del 70% delle professioni la cui domanda di lavoro è prevista in crescita assisterà anche a un aumento della difficoltà di reperimento delle figure professionali.
“La formazione universitaria italiana nell’ambito delle biotecnologie offre l’opportunità di sviluppare una preparazione buona e ampia” ha raccontato Antonio Marzocchella, Presidente della Conferenza Nazionale dei corsi di studio in biotecnologie. A una formazione generale tipica dei corsi di Laurea si associano approfondimenti formativi più specialistici offerti dalla Laurea Magistrale. “Una formazione metodologica di questo tipo prepara i futuri professionisti ad adeguarsi al mondo del lavoro. La preparazione acquisita dai laureati magistrali, infatti, permetterà di non essere sprovveduti di fronte al cambiamento”.
Ma se l’impostazione della formazione sembra essere solida, che ruolo avranno i docenti nel formare i professionisti di domani? “Oggi il nostro compito di docenti universitari risiede nell’insegnare agli studenti a distinguere ciò che è autorevole rispetto a ciò che non lo è”, sostiene Danilo Porro. Il Direttore dell’Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare del CNR, professore ordinario presso l’Università Milano Bicocca e rappresentante nazionale della commissione “Food, Bioeconomy, Natural Resources, Agriculture and Environment” di Horizon Europe 2021-2027 dice: “Dobbiamo insegnare loro a essere critici, a leggere un grafico e a capire e interpretare il dato”.
Un antidoto al fenomeno del mismatch tra formazione e lavoro
Le professioni del settore biotech dovranno ampliare lo spettro di competenze necessarie al mondo del lavoro. Quindi aumenterà la complessità dell’insieme delle abilità possedute. Saranno le professioni specialistiche ad elevata complessità soffrire maggiormente del fenomeno di mismatch. Assisteranno cioè a una mancata corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro. “I corsi di laurea estremamente specialistici permettono di preparare persone eccellenti. Il rischio però è che tali figure professionali poi debbano affrontare revisioni più impegnative in caso di richieste differenti da parte del mondo del lavoro”, spiega Marzocchella.
Oggi è impossibile sviluppare un corso di laurea in cui siano fornite tutte le potenzialità di sviluppo, ad esempio, della bioeconomia”, aggiunge Porro. “Ai giovani studenti dobbiamo fornire gli strumenti per sviluppare la multidisciplinarità e le soft – skills che consentono di aprire un dialogo e spaziare tra una disciplina e l’altra”. Le competenze trasversali si spendono anche in ambiti esterni al mondo dell’industria, intesa secondo la definizione tradizionale, e costituiscono comunque una possibilità di impiego. Ad esempio, nel settore che si occupa della salvaguardia della biodiversità.
Secondo Giorgia Iegiani, Presidente Biotecnologi Italiani, il percorso di studi in biotecnologie già rispecchia questo spirito: “Il percorso formativo in biotecnologie insegna agli studenti a sviluppare il pensiero critico e il problem solving. I laureati in biotecnologie hanno un forte background scientifico-biologico e un’attitudine a guardare ai risultati della ricerca per ottenere un prodotto o un servizio. Per questo sono importanti gli esami di economia e sulla proprietà intellettuale, presenti nei corsi di studio”.
Una formazione rapida e snella per un mondo in evoluzione
Un aspetto critico del mondo universitario è senz’altro la difficoltà a stare al passo con i tempi. Il mondo del lavoro sta assistendo a un’evoluzione assai rapida. Il rischio è che le stesse persone che già sono occupate si trovino nel prossimo futuro prive delle competenze altamente specializzate che richiederà il mercato del lavoro.
“L’università è rallentata dai tempi amministrativi, ma anche dalla durata del percorso di formazione, che impiega cinque anni per preparare una persona al mondo del lavoro”, spiega Marzocchella. “In alcuni casi c’è la possibilità di adeguamento in corsa di alcuni corsi di laurea, ma nella maggior parte dei casi abbiamo un tempo di adeguamento più lungo”.
Esistono strumenti più snelli per garantire una formazione rapida, sia per i giovani laureati che per le persone già occupate che hanno bisogno di aggiornare le proprie competenze. “Ad esempio, esistono i master, che possono anche essere condivisi o supportati dalle aziende”. A questi si aggiungono i minor, che sono corsi equivalenti a circa un semestre, interdisciplinari e complementari al corso di laurea/magistrale. I minor permettono di arricchire il proprio ambito di formazione prevalente con competenze trasversali. “Sono strumenti che consentono allo studente di potersi impegnare in vari contesti lavorativi con un bagaglio formativo che va oltre la laurea magistrale frequentata”. E poi Marzocchella conclude: “Queste sono proposte formative snelle, ma per essere efficaci richiedono collaborazione tra imprese e università”.
Dalla teoria alla pratica
Questo è un altro punto critico della formazione in Italia. Una delle critiche più pesanti riguarda lo scarso contatto con il mondo reale.
“Il numero programmato con cui si accede a oltre il 90% dei corsi di laurea in biotecnologie è dettato dalla possibilità di assicurare a tutti gli studenti la formazione pratica con strumentazione avanzata e personale qualificato”, spiega Marzocchella. “Fortunatamente i gruppi di ricerca presenti in Italia offrono diverse opportunità per svolgere tesi significative presso i loro laboratori. Ciò si traduce in un momento di formazione importante”.
E in merito alle carenze formative Iegiani aggiunge: “Alcuni corsi di studio sono poco pratici e alcuni danno poca importanza agli esami di economia e a tematiche come la creazione di startup o la proprietà intellettuale, nozioni fondamentali per approcciarsi a molte realtà aziendali.”
Poi avere contatto con il mondo esterno significa anche poter entrare in contatto con carriere diverse rispetto a quelle universitarie, che sono in genere ben note. “Il biotecnologo neolaureato fatica ad avere accesso alle posizioni lavorative fuori dall’accademia e dall’Università perché non le conosce o non ritiene siano occupazioni da biotecnologo”, osserva Iegiani.
Gli strumenti necessari per far dialogare formazione e lavoro
Il momento in cui l’Università trova linfa e ispirazione per istituire nuovi percorsi universitari è quello in cui entra in contatto con il mondo dell’impresa.
“Abbiamo numerosi momenti di confronto con esperti del mondo del lavoro e collaborazioni scientifiche con il mondo imprenditoriale, e sulla base di questi confronti si individuano le esigenze del mondo del lavoro”, racconta Marzocchella.
Dal lato degli studenti è invece fondamentale creare contesti in cui l’incontro con l’impresa possa avvenire in modo diretto. “Per gli studenti e i neolaureati sono fondamentali le giornate di orientamento e quelle di incontro con le imprese per comprendere cosa cerca un’azienda in un neolaureato, come avviene la selezione, quali hard e soft skills sono richieste”, aggiunge Iegiani. “In questo, l’Associazione Biotecnologi Italiani svolge un ruolo chiave nell’organizzare incontri con gli studenti universitari per mostrare le carriere che si aprono con la laurea in biotecnologie. Ciò facilita la scelta della strada da intraprendere una volta ottenuto il titolo di studio”.
Infine, vi è uno strumento nuovo e proposto a livello nazionale per favorire il dialogo tra ricerca, formazione e impresa. Si tratta del PNRR. “Il PNRR per il settore ricerca è in fase di approvazione. La sua forza è il fatto di aver sviluppato diversi programmi in cui la collaborazione tra università, enti di ricerca e industria è imprescindibile”, spiega Porro.
“La prima espressione di tale collaborazione è l’istituzione di cinque centri di ricerca nazionali, che vedranno l’impegno congiunto tra mondo della ricerca e industria. All’inizio beneficeranno di un consistente finanziamento stanziato dal PNRR, ma poi hanno l’obiettivo di diventare auto-sostenibili”, continua Porro.
Per tre di questi Centri Nazionali, le biotecnologie rappresentano senza dubbio delle “key enabling technologies” (KET) di riferimento.
Il Centro Nazionale di Ricerca Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA ideerà terapie e procedure per la salute dell’uomo. Integrerà lo sviluppo delle terapie con la loro somministrazione mirata (precision delivery). È un’area di importanza strategica per il Paese.
Il National Biodiversity Future Centre (NBFC) vede come tema centrale la salvaguardia e valorizzazione della biodiversità. Include il tema dei cambiamenti climatici, il degrado ambientale e la scarsità delle risorse naturali. Agritech nasce invece con l’ambizione di combinare le migliori competenze scientifiche per rendere l’industria agroalimentare italiana più competitiva e sostenibile.
Perché questo patto si realizzi, Porro ha un’unica ricetta: “Occorre che l’università lavori con e non per l’industria, non solo italiana ma mondiale. Occorre uscire dai laboratori e dimostrare che il mestiere della ricerca avrà un ritorno anche per il cittadino comune”.
E per ottenere quest’ultimo risultato è fondamentale investire anche nella comunicazione. “È importante riuscire a spiegare con parole semplici alle persone perché è importante investire in ricerca”.
Appuntamento alla Biotech Week
Il consiglio è quello di puntare sulla formazione, l’informazione e la ricerca dell’innovazione. È compito di tutti rimanere al passo con un mondo che cambia. Sicuramente la Biotech Week , che torna dal 26 settembre al 2 ottobre per la sua decima edizione, è un’occasione importante per parlare di questi temi. È una settimana dedicata alle biotecnologie con eventi che si svolgono a livello globale e che in Italia sono curati da Federchimica Assobiotec. Gli incontri, gli eventi e gli appuntamenti promossi in Italia in modo gratuito sono già una settantina. Qui trovate il programma 2022 destinato ad ampliarsi.