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Nel mondo del lavoro biotech il futuro è già presente in diversi ambiti. Abbiamo intervistato 9 professionisti del comparto per farci raccontare il loro lavoro e come si evolverà in futuro. Oggi al via la Biotech Week
All’orizzonte del settore delle biotecnologie si prospettano nuove possibilità professionali. Il comparto sarà, infatti, testimone di una crescita della domanda di lavoro che coinvolgerà il 53% delle professioni. Solo il 21% sarà in decrescita, mentre il 26% resterà stabile. A rivelarlo è il rapporto “Quale futuro per le competenze nel settore biotech?” di EY, Jefferson Wells, Frezza & Partners e Federchimica Assobiotec.
Non tutte le professioni individuate nel rapporto sono inedite. Esistono professionisti che già ricoprono ruoli destinati a un’espansione in meno di 10 anni. Non dobbiamo inventarci i loro compiti, ma solo immaginare l’evoluzione dei loro profili.
La transizione tecnologica e lungimiranza dei finanziamenti verso un settore che, secondo un recente studio EY, triplicherà a livello europeo entro il 2028, faranno da acceleratori del fenomeno. Un confronto con i professionisti di oggi è fondamentale per evitare difficoltà di reperimento delle figure professionali in futuro e per riflettere sulla formazione. Il tempo che ci rimane, prima di vedere tale rivoluzione, è poco. Ed è cruciale essere di ispirazione per i più giovani in cerca di orientamento.
Così abbiamo incontrato nove professionisti del settore biotech che parlano già di domani. Il nostro scopo è cogliere l’essenza della loro professione e ripercorrere la strada che hanno intrapreso. Abbiamo immaginato insieme a loro quali mansioni, relazioni e tecnologie incontreranno nel prossimo futuro all’interno del loro contesto
1) Corporate R&D manager
Quella incentrata su ricerca e sviluppo sembra una delle professioni più ovvie e più ambite per chi studia biotecnologie. Occorre sottolineare che coloro che sono interessati all’organizzazione e direzione della ricerca e sviluppo possono trovare spazio anche all’esterno dell’accademia. È quanto accaduto a Rita De Santis, Corporate R&D Manager of Biotech Products presso Alfasigma S.p.A.
Biologa, tra le prime a ottenere un dottorato in medicina sperimentale, De Santis consolida il suo amore per la ricerca sulla salute umana e le soluzioni biotecnologiche più innovative presso il National Institute of Health degli Stati Uniti. Qui si occupa di studiare come il nostro sistema immunitario reagisce contro gli elementi estranei al nostro corpo. “Tornata in Italia, ho partecipato alle attività e ai comuni intenti di un gruppo di persone che aveva l’obiettivo di implementare le biotecnologie nel nostro Paese”, racconta De Santis.
Oggi è a capo di un gruppo di 10 persone che coordina nella ricerca e sviluppo di nuovi anticorpi ingegnerizzati. “È un mestiere estremamente sfidante e vasto, con tecnologie sempre all’avanguardia. E c’è una costante necessità di aggiornamento”.
Le applicazioni delle biotecnologie si sono moltiplicate. Esistono biotecnologie applicate alla salute, all’agricoltura, all’ambiente, all’industria e al mare. “Le biotecnologie possono avere diversi campi di applicazione. Inoltre, sfruttano una grande variabilità di tecniche moderne. È quindi indispensabile specializzarsi”.
E quale sarà il futuro della professione nel suo ambito? “Di sicuro vedremo l’applicazione di nuove tecniche quali Crispr, un sistema per correggere gli errori del DNA e lo sviluppo di nuovi vaccini e farmaci a RNA”. Queste sono le direzioni verso cui andranno le terapie più innovative. “Ma un vero futuro ci sarà se l’Italia deciderà di lasciare vero spazio all’innovazione”.
“Ai più giovani consiglio di trascorrere un periodo all’estero per cambiare la loro prospettiva e per ottenere un insegnamento di vita ma poi di tornare in Italia per cercare di cambiare la prospettiva del paese”.
2) Research Investigator
È una delle professioni per le quali si amplierà l’insieme delle competenze richieste, aumentando il livello di complessità. Alessia Petrocchi, oggi Principal Research Investigator presso IRBM, svolge una professione ascrivibile al Clinical Research Manager. Laureata in chimica organica all’Università La Sapienza di Roma, oggi si occupa di chimica medicinale, grazie a un’importante esperienza a Boston e a Houston.
Nella sua azienda ci sono vari dipartimenti, ciascuno con le proprie mansioni specifiche. Collabora con biotecnologi, con i bioinformatici o chimici computazionali, ma a lei è affidata la sintesi del farmaco. “Io gestisco i progetti ed entro sempre meno in laboratorio. Coordino un gruppo di persone”. A lei è affidata la ricerca della molecola con cui il target biologico deve interagire. Disegna la molecola, ne studia il metabolismo e la sicurezza. La clinica, invece, è affidata all’esterno dell’azienda.
Ai più giovani consiglia di fare un dottorato di ricerca e un’esperienza all’estero. “Non abbiate mai paura di intervenire nei meeting e nelle riunioni. Partecipate e condividete la vostra idea”.
3) Market Access Manager
“Mi occupo di preparazione e di accesso al mercato di nuove tecnologie sanitarie e del relativo mantenimento alle migliori condizioni accompagnando il prodotto per tutto il suo ciclo di vita, dallo sviluppo clinico alla scadenza brevettuale”. Così si presenta Leonardo Perrone, Head of Value & Access presso AbbVie.
Arriva a ricoprire questo ruolo attraverso un percorso di carriera all’interno della stessa azienda. Perrone, ha una laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Ha avuto una formazione scientifica che puntava quasi esclusivamente ad un ruolo tecnico-analitico all’interno del sito produttivo di un’azienda chimica/farmaceutica. “Ho cominciato questa professione spinto da una forte curiosità per questa disciplina, Ho sempre mostrato voglia di migliorarmi e una grande motivazione nel raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi. Così ho ricoperto ruoli di crescente responsabilità fino all’attuale posizione”.
Oggi ci sono figure dal background molto diverso tra loro ad occuparsi di Market Access. Sono senz’altro accomunate da un profilo altamente specializzato. “Sono proprio le opportune conoscenze scientifiche che oggi possono offrire una visione più completa ed esaustiva a questo ruolo, che abbraccia praticamente tutte le prospettive aziendali”. Il profilo professionale, infatti, coniuga aspetti scientifici, economici, normativi, istituzionali e commerciali. È una figura che collabora con le divisioni Clinical Development, Medica, Patient Relations, Regolatoria, Marketing e Sales. Inoltre, è un ruolo che richiede la realizzazione di relazioni esterne con diverse e numerosissime tipologie di stakeholder.
Nei prossimi anni il Market Access occuperà un ruolo sempre più centrale all’interno dell’azienda. Rappresenterà una delle chiavi strategiche più decisive. Assisteremo all’evoluzione del contesto esterno e con esso della gestione del fondo sanitario. Dovremo gestire le risorse sempre più limitate in modo più efficiente, a fronte di una domanda di salute maggiore e di un bisogno imprescindibile di innovazione tecnologica. Tutto ciò renderà lo scenario sempre più complesso e il mercato ancora più difficile e competitivo.
Inoltre, bisognerà sempre più confrontarsi con il digitale. Risulterà pertanto fondamentale ampliare ulteriormente le proprie conoscenze professionali all’interno di questo ambito, “ma anche saper leggere e comprendere in anticipo quelle dinamiche che influenzeranno o addirittura trasformeranno il mercato, in modo da farsi trovare pronti e preparati ad affrontare le sfide che verranno”.
4) Strategy, Innovation & Business Operations Director
Alessio Battaglia è Strategy, Innovation & Business Operations Director presso Bristol Myers Squibb. La sua figura professionale fa parte della divisione commerciale e supporta la strategia commerciale, con un riporto diretto all’Amministratore Delegato. Inoltre, sostiene le business operations, cioè coordina le attività delle persone che svolgono informazione scientifica presso i clienti della azienda per cui lavora. “Non da ultimo c’è l’innovazione a cui ho cercato di dare una mia definizione”, racconta Battaglia.
L’innovazione, Battaglia l’ha individuata nella digital health. Ed è questa tecnologia che cerca di trasferire al mercato. Nell’industria farmaceutica si possono individuare tre percorsi: quello del medico, quello del paziente e quello del payer, che acquista il farmaco o il servizio. “Una volta tutti questi percorsi si svolgevano di persona. Oggi ci sono piattaforme per fare conferenze, strumenti di telemedicina e terapie digitali. Esistono anche tecnologie per la valutazione commerciale di un prodotto”.
Battaglia nasce nel contesto della finanza, ma è convinto che ci sarà sempre più spazio per le biotecnologie nel suo ambito. “L’azienda farmaceutica fa parte del sistema salute. E, oltre al farmaco, occorre assicurare altri servizi”. Ecco perché sarà sempre più importante una competenza scientifica forte che permetta di confrontarsi con i medici e di supportarli nei nuovi percorsi di cura, che includeranno strumenti digitali come telemedicina o terapia digitale, solo per fare alcuni esempi. Strumenti che diventeranno sempre più indispensabili, ad esempio, per il controllo di eventi avversi o per l’aderenza alle terapie.
“I servizi digitali associati a un farmaco servono al paziente per eseguire correttamente la terapia e ad aiutare il medico nella gestione clinica e amministrativa del paziente”.
5) Communication & Patient Engagement Manager
È una delle professioni che avrà sempre più rilevanza nelle aziende pharma. Per tale professione aumenta il rischio di scarsa corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro (+11%). Tale profilo si occupa della relazione con le associazioni di pazienti e di comunicare la scienza.
Cosa c’entra quindi avere una laurea in biotecnologie? Chiara Gnocchi, Country Communication & Patient Engagement Head presso Novartis è una biotecnologa. “Ho avuto coraggio, curiosità e passione”, conferma. “Ma nel ruolo di patient engagement manager quando ho iniziato, ho portato valore proprio con la mia laurea: quando dialogo con i pazienti o le Associazioni Pazienti, mi è utile capire gli aspetti clinici della loro malattia. A quello poi va aggiunta intelligenza emotiva ed active listening per capire quale corrispondenza ha il carico di malattia con gli aspetti sociali di una persona”.
Oggi del ruolo che ricopre anche a capo della comunicazione dice che “occorre sviluppare la capacità di entrare in contatto con il contesto esterno e di tradurre in modo semplice argomenti difficili”.
Ma comunicare con i pazienti o con gli altri attori del sistema sanitario è meno lodevole della ricerca? “Credo sia un ruolo necessario e fondamentale affinché la scienza diventi un valore della comunità”. Inoltre, il ruolo della comunicazione è molto cresciuto anche all’interno del mondo farmaceutico. “È visto come un partner strategico del business: coglie i trend dall’esterno e fa in modo che questi possano tradursi in insight per decisioni strategiche”.
Quello che conta è ritenere il proprio percorso universitario necessario, ma non sufficiente per affrontare le sfide del mondo del lavoro oggi. “Con la velocità con cui cambia il mondo esterno, hai bisogno di imparare e accrescere le competenze in modo continuo”.
E poi continua: “la comunicazione scientifica sta evolvendo rapidamente. In un prossimo futuro sarà sempre di più digitale e multicanale, basata sull’engagement ma senza perdere la bellezza della relazione. Avremo però bisogno dell’ausilio dei dati: per la raccolta, l’analisi e la comprensione. Solo così sarà possibile conoscere al meglio il proprio interlocutore”.
6) Divulgatore scientifico
Dell’importanza della comunicazione è certo anche Stefano Bertacchi, biotecnologo industriale, ricercatore presso l’Università Milano Bicocca e divulgatore scientifico. Anche se nel prossimo futuro si diffonderà una scarsa corrispondenza tra le competenze richieste e quelle possedute dai candidati a ricoprire tale ruolo. La comunicazione diventerà sempre più digitale e il mismatch delle competenze salirà dal 15 al 20%. Ecco perché in questo ambito bisognerebbe puntare sulla formazione dei biotecnologi.
In tale contesto i prodotti biotech diventeranno sempre più centrati sull’utente finale. Ed è quindi indispensabile acquisire competenze nelle capacità di coinvolgimento dell’utilizzatore delle risorse offerte dalle biotecnologie. Ciò vale anche per il settore della bioeconomia, per il quale Stefano Bertacchi è anche ambasciatore europeo.
Nel suo settore si occupa di bio-raffinerie, che utilizzano microorganismi per la produzione di varie molecole. La biodiversità microbica e la possibilità di ingegnerizzare i microorganismi modificandoli geneticamente offrono innumerevoli capacità produttive. È possibile produrre bioplastiche, farmaci, biocarburanti.
Alla ricerca, Bertacchi affianca la divulgazione scientifica, un’attività nata come espressione di attivismo nei confronti di alcuni aspetti della scienza delicati per la società. Molto attivo sui social, dove parla della sua attività quotidiana per renderla più vicina ai non addetti al settore, è anche autore di tre libri divulgativi. “La ricerca spesso tende a essere esclusa dalla società ed è autoreferenziale. È importante che noi ricercatori spieghiamo quello che facciamo per ottenere una maggiore comprensione e accettazione del nostro lavoro. Cosa che deve accadere anche nel rapporto con le aziende. Spesso infatti senza le imprese sarebbe impossibile arrivare all’ottenimento di un prodotto, soprattutto se di massa”.
La sua missione come EU Bioeconomy Youth Ambassador presso la Commissione Europea è quella di far capire come tale disciplina possa essere utile per contrastare il cambiamento climatico e come possa favorire la riduzione del consumo delle risorse fossili. “Ma all’interno di tale discorso occorre anche inserire il tema degli organismi geneticamente modificati, perché anche il mondo degli attivisti ambientali non diventi auto-referenziale, escludendo gli OGM per motivi più che altro ideologici. Occorre che la società accetti la bioeconomia come un mezzo fondamentale per la transizione ecologica”.
In futuro, la figura del ricercatore-comunicatore si diffonderà sempre di più. “I biotecnologi impegnati nella ricerca si devono anche preoccupare di fare rete con società civile, industrie e policy maker. Anche i politici e i decisori hanno bisogno di un confronto per stabilire regole su temi spesso lontani dalla loro formazione”.
Lo studente di biotecnologie è bene che acquisisca competenze nell’ambito dell’economia, della politica e della comunicazione. “Penso che il ricercatore debba essere presente anche dove non ti aspetteresti di incontrare qualcosa di scientifico”.
7) Business Development Manager
Nel 2030 aumenterà la difficoltà di reperimento di figure che si occupano del business development. “Per svolgere tale ruolo serve attitudine e propensione anche verso materie diverse da quelle che magari una persona studia all’università”, racconta Federica Girolami, Director Business Development, Scientific Liaison and Drug Safety presso Rottapharm Biotech. Si tratta di una realtà tutta Italiana che opera secondo un modello misto. Misto nel senso che oltre ad una attività di ricerca e sviluppo dei propri prodotti, crea alleanze con altre aziende (start-up o spin-off accademici) per il co-sviluppo di progetti innovativi mettendo a disposizione sia le proprie competenze interne che un supporto finanziario.
Anche per lei il passaggio non è stato immediato. Dopo un master in Master of International Healthcare Management, Economics and Policy in Bocconi, le opportunità lavorative la portano ad occuparsi di farmacovigilanza dove rimane per molti anni arrivando a ricoprire il ruolo di responsabile Corporate. Oggi, con curiosità e impegno costante nella formazione, occupa un ruolo trasversale di Business Development e Scientific Liaison mantenendo ancora le attività di Drug Safety negli studi clinici. “Avere una laurea scientifica con un raggio più ampio e meno specializzato, come potrebbe essere una laurea in biotecnologie, può dare il vantaggio di avere accesso a ruoli diversi”.
Certo è indispensabile trovare un lavoro che ti permetta di costruire e ampliare le competenze e un buon tutor a sostegno del percorso dei giovani laureati. “Questi ultimi però sono responsabili nello sviluppo di un pensiero strategico e ampio, curioso e interessato, che li faccia andare oltre al compito affidato loro”.
Il futuro del lavoro di Federica Girolami è già presente. “Il nostro obiettivo è individuare, supportare e convertire progetti innovativi in qualcosa di concreto”. È un’opportunità per startup e piccole imprese che trovano il sostegno economico e tecnico per realizzare un progetto. “L’azienda sta guardando fuori dal suo ambiente abituale. Coinvolge realtà nuove, che hanno una forza economica limitata, con partecipazione e l’impegno di offrire la propria expertise e i propri mezzi per lo sviluppo di nuove tecnologie e terapie avanzate (cellulari o genetiche)”.
8) Bioinformatico
È una delle professioni già presenti in ambito biotech, la cui domanda mondiale è in continuo aumento. Infatti si prevede che tra il 2020 e il 2027 il mercato globale della bioinformatica è destinato ad aumentare del 13,4%. Ma è anche un settore ad alto rischio di obsolescenza (+23%).
“La Bioinformatica nasce dal connubio di diverse discipline e tecnologie e questo rende affascinante il lavoro in team”, racconta Francesca De Leo, tecnologo senior presso l’Istituto di Biomembrane, Bioenergetica e Biotecnologie Molecolari (IBIOM) CNR e da anni collaboratore dell’Infrastruttura di ricerca per lo studio della bioinformatica (ELIXIR-IT).
Fondamentale, in tale contesto, è infatti il team composto da ricercatori con competenze e compiti diversi. Un lavoro complesso che richiede un’ottima conoscenza di biologia molecolare, con una buona attitudine verso l’informatica e la statistica. “C’è un mondo di nuove professionalità che possono essere una valida scelta per un biotecnologo. Si pensi, ad esempio, alla tutela della proprietà intellettuale nelle scienze della vita, la valorizzazione dei risultati della ricerca con lo sviluppo di nuovi processi, prodotti e servizi biotech. Oppure la comunicazione verso i cittadini e le scuole, per accrescere la sensibilità sui temi della ricerca nelle scienze della vita. È importante specializzarsi e continuare a studiare sempre in un processo di life long learning”.
Di certo, però, De Leo concorda sul fatto che la bioinformatica sia una disciplina in continua evoluzione. Assistiamo a progressi continui nelle scienze -omiche. Nuove applicazioni rendono possibili l’analisi di una quantità enorme di dati. Per interpretarli esistono modelli matematici predittivi, mediante l’applicazione di machine learning e Intelligenza Artificiale.
A ciò si affianca un ambito tutto ancora da indagare: gli aspetti etici e legali dell’uso improprio del dato genetico. “Le nuove informazioni presenti nel genoma sono molto preziose perché permettono di prevenire e, in alcuni casi, curare in maniera personalizzata malattie come i tumori o le malattie autoimmuni. D’altro canto è necessario prevenire i rischi dell’uso indiscriminato del dato per scopi non terapeutici. In questi ultimi anni, le acquisizioni di nuova conoscenza sul genoma sono andate molto più veloci della normativa”.
“Credo che i biotecnologi potranno sempre più impegnarsi in tutti gli ambiti dello studio delle scienze della vita lavorando in team con competenze multidisciplinari in un modello di open science che aiuta lo sviluppo e l’innovazione biotech”.
9) Startupper
A volte si intraprendono anche strade cui non si aveva mai pensato prima. È il caso di Antonino Biundo, co-founder e Ceo di Rewow, una startup che ridà valore all’olio esausto della cucina, trasformandolo in diversi prodotti, dalle borse per la spesa ai cosmetici.
Biotecnologo di formazione, sta seguendo anche una carriera accademica come postdoc, presso il Dipartimento di Bioscienze, Biotecnologie e Biofarmaceutica dell’Università degli Studi Di Bari Aldo Moro. Tuttavia, forte di una serie di esperienze all’estero altamente formative, oggi Biundo ha creato anche una sua impresa. “All’estero ho capito come poter valorizzare uno scarto di una filiera per trasformarlo in un’applicazione ad alto valore aggiunto”. Ma l’idea precisa tarda ad arrivare assieme alla capacità di comprendere le esigenze di mercato, i processi produttivi e i costi. Poi un giorno l’idea arriva in cucina. “Ho cominciato a cercare i possibili sviluppi tecnici della mia idea, ma ho studiato anche il mercato e gli aspetti economici”.
Biundo ha trovato collaboratori capaci di affiancarlo nell’impresa soprattutto a Bari: l’avvocata Ilaria Lorusso e Alessandro Cristiano, che si occupa di sostenibilità di processi industriali e nuovi business. “All’estero ho compreso l’importanza di fare networking, ma anche la strategia per farlo. Ad esempio, usando i social network per avere un costante confronto e raccogliere punti di vista differenti”.
Serve sviluppare competenze trasversali e soft skills per confrontarsi al meglio con gli altri, anche in campi in cui non si posseggono competenze. Poi è importante riconoscere il contributo che possono dare figure professionali esterne e specializzate. “La creazione di risultati è l’obiettivo. Occorre fare di tutto per creare il percorso per arrivarci. Aumentare network, conoscenze e fondi aiuta a portare a termine i propri progetti”.
Per il futuro Biundo vede maggiori possibilità imprenditoriali per i più giovani. Con l’associazione Tondo, che si occupa di economia circolare, organizza hackathon ed eventi per gli studenti. “I biotecnologi si stanno rendendo conto di avere grandi competenze e di poter portare la propria conoscenza verso la società”.
Al via la Biotech Week
In tutto il mondo, da oggi al 2 ottobre, si svolgerà la Biotech Week, organizzata in Italia da Federchimica Assobiotec, per scoprire nuovi trend, storie e innovazioni riguardanti il mondo delle biotecnologie.
Sono oltre ottanta gli appuntamenti che animeranno, nel nostro Paese, il calendario 2022: eventi on site, online e ibridi, tutti ad accesso gratuito. Non mancheranno laboratori per bambini, visite guidate e virtuali nei centri di ricerca e nelle imprese dove si fa innovazione.
Ci saranno incontri di orientamento al mondo del lavoro, seminari per conoscere come le biotecnologie sono un valido strumento per dare risposte alle sfide sanitarie attuali e future, per migliorare la qualità delle produzioni agricole, per uno sviluppo sostenibile.
Anche quest’anno il programma italiano si conferma quello con il maggior numero di iniziative a livello europeo.