Pechino lancia un nuovo progetto per promuovere l’uso dell’AI nella ricerca scientifica, un passo avanti verso l’obiettivo di diventare leader mondiale del settore entro il 2030. Ma Xi Jinping chiede di accelerare sulla coltivazione di talenti autoctoni. Il punto dal nostro inviato in Asia
C’era una volta una Cina conosciuta per essere la “fabbrica del mondo”, produttrice soprattutto di oggetti di bassa qualità. Quel tempo è passato da un pezzo e oggi Pechino è una potenza mondiale in campo tecnologico. Non solo sul 5G, ma anche in un settore ritenuto altamente strategico come quello dell’intelligenza artificiale. Mentre cerca una complicata rimonta sul fronte dei microchip, dove invece è al momento in svantaggio. Per non riuscirci, Xi Jinping e il Partito comunista sanno che non bastano solo investimenti, per quanto colossali. Non a caso tra lo scorso XX Congresso di ottobre 2022 e le “due sessioni” legislative di marzo, si è posto molto l’accento sulla necessità di stimolare la ricerca di base. Strumento fondamentale per coltivare i talenti interni e perseguire il complesso obiettivo dell’autosufficienza tecnologica.
La Cina è già il primo paese al mondo per numero di brevetti di intelligenza artificiale: tra il 2011 e il 2020 sono state depositate quasi 390 mila domande, pari al 74,7% del totale. Non si tratta di una leadership solo quantitativa ma anche qualitativa. Nel 2020, per la prima volta, gli articoli accademici cinesi sono stati più citati di quelli americani nelle pubblicazioni scientifiche mondiali di settore. Si stima che l’industria cinese dell’I.A. abbia un valore di oltre 150 miliardi di dollari e il governo si è impegnato a investire più di 150 miliardi di dollari in industrie legate all’I.A. entro il 2030. Sui semiconduttori si paga invece un ritardo. La Cina produce internamente il 16% del fabbisogno di microchip e gli obiettivi indicati sono ancora lontani. Nel suo piano quinquennale 2021-2025, la Cina ha stanziato 1,4 trilioni sulle industrie strategiche, compresa quella dei semiconduttori. Sul suo territorio ha oltre 90 nuovi stabilimenti pianificati o già entrati in funzione. Nel 2021, Pechino ha riorientato le attività dei grandi colossi digitali nel corso della vasta campagna di rettificazione del settore privato, portando giganti come Alibaba a occuparsi di semiconduttori. Xi ha citato l’obiettivo dell’autosufficienza in campo tecnologico nella sua relazione politica in apertura del XX Congresso del Partito. Xi ha ribadito l’impegno a centralizzare la mobilitazione e l’allocazione delle risorse. Ci si può attendere il lancio di molteplici piani strategici e grandi progetti nelle aree ritenute cruciali, ai quali i grandi attori dell’industria saranno chiamati a dare il loro contributo.
Ricerca e talenti: il rebus cinese
Qui entra in gioco il vero tallone d’Achille: lo svantaggio sulla ricerca. Secondo recenti report, la Cina ha solo un quinto dei migliori ricercatori di intelligenza artificiale rispetto agli Stati Uniti, nonostante vanti quasi un milione di persone qualificate per lavorare nel settore e nelle industrie correlate. L’anno scorso, la Cina contava 232 ricercatori di I.A. tra i migliori al mondo, pari all’11,6% del totale globale, secondo la lista compilata dalla piattaforma di ricerca accademica di I.A. dell’Università Tsinghua. Gli Stati Uniti dominano l’elenco con 1.146 ricercatori di I.A., pari al 57,3% del totale globale. Un rapporto del 2022 sui talenti dell’I.A. in Cina, redatto dall’Accademia cinese del lavoro e della sicurezza sociale (CALSS), ha mostrato che che l’industria cinese dell’intelligenza artificiale manca di circa 300.000 lavoratori altamente qualificati, con una carenza particolarmente grave nei settori dei chip, dell’apprendimento automatico e dell’elaborazione del linguaggio naturale. Secondo il report, il paese non è in grado di soddisfare il 40% del fabbisogno di professionisti qualificati in queste aree. Negli ultimi anni, la Cina ha intensificato gli sforzi per formare più talenti nel campo dell’IA. Tra il 2019 e il 2022, oltre un terzo dei college e delle università del Paese ha ricevuto l’approvazione del ministero dell’Istruzione per istituire specializzazioni legate all’I.A.
I nuovi programmi di Pechino
Nelle scorse settimane Pechino ha lanciato un nuovo progetto per promuovere l’uso dell’intelligenza artificiale nella ricerca scientifica. Il programma si chiama “AI for Science” ed è stato avviato dal ministero della Scienza e della Tecnologia, un’istituzione appena rinnovata dalla grande riforma riorganizzativa dell’apparato statale approvata durante le “due sessioni”, e dalla National Natural Science Foundation of China. Il progetto si concentrerà sui problemi critici delle discipline di base e sulle esigenze di ricerca in settori quali lo sviluppo di farmaci, la ricerca genetica e la riproduzione biologica. Il ministero della Scienza utilizzerà il progetto anche per promuovere l’innovazione di modelli e algoritmi di I.A. per i principali problemi scientifici e per sviluppare piattaforme per i tipici campi di ricerca. Il ministero si è inoltre impegnato a riunire gruppi di ricerca e sviluppo interdisciplinari e a promuovere scambi accademici internazionali per offrire soluzioni alle sfide scientifiche comuni, tra cui il trattamento del cancro e il cambiamento climatico.
L’insistenza sulla ricerca e lo sviluppo è diventata ancora più urgente per la Cina dopo che gli Stati Uniti hanno aumentato i controlli sulle esportazioni di tecnologie avanzate proprio in materia di semiconduttori e e intelligenza artificiale. Anche per questo Xi Jinping si circonda sempre più di tecnocrati all’interno del Partito, con la promozione di diverse figure di estrazione tecnica e ingegneristica. Soprattutto, ecco perché vengono incentivate con decisione sconosciuta in precedenza iniziative di formazione e ricerca, con il coinvolgimento diretto di istituti di ricerca, università e imprese private. L’obiettivo non è solo investire cifre monstre e lanciare nuovi progetti, ma costruire una rete efficace e capillare di formazione e ricerca dei talenti. Su questa sfida si giocano molto degli equilibri futuri (tecnologici e non) tra le due principali potenze globali.