Privacy weekly | Come ogni venerdì ospitiamo il guest post di Guido Scorza, avvocato e componente del Collegio del Garante per la Protezione dei dati personali. Un viaggio intorno al mondo su tutela della privacy e digitale
Il cerchio si sta stringendo, le posizioni si stanno avvicinando, i dubbi iniziano a diventare certezza: non tutto online è per tutte le età e, quindi, è arrivato il momento che i gestori delle piattaforme inizino a verificare – sul serio – l’età dei loro utenti per sincerarsi che chi non ha l’età minima richiesta per l’uso di un certo servizio, resti sulla porta. Non basta più la semplice dichiarazione degli utenti.
E, d’altra parte, una ricerca commissionata qualche tempo fa dall’Ofcomm (l’autorità per le comunicazioni inglese) racconta che, online, un bambino su tre mente sulla sua età pur di accedere a piattaforme che gli sarebbero vietate. Il punto è immaginare Internet – pur consapevoli che naturalmente è molto di più – come un parco dei divertimenti con attrazioni per tutti e attrazioni riservate a chi ha almeno una certa età o a chi ha una certa altezza. Se un bambino più basso dell’altezza minima sulla cui base sono state progettate e realizzate le cinture di sicurezza di un trenino ci sale sopra, purtroppo, niente e nessuno può garantirgli un giro di giostra sicuro.
La stessa cosa accade online. Nelle piattaforme online niente accade per caso e, quindi, se una piattaforma si autoproclama riservata, ad esempio, a un pubblico di ultratredicenni è fuor di dubbio che se un infratredicenne la frequenta, può trovarsi nei guai.
Ora il principio, finalmente, sembra iniziare a diffondersi. Dopo che negli scorsi mesi Inghilterra e Francia avevano iniziato a lavorare a due disegni di legge per obbligare i gestori delle piattaforme – porno e social in particolare – a verificare l’età dei loro utenti, nei giorni scorsi, anche il Congresso americano si è messo sulla stessa strada con un disegno di legge bipartisan il cui obiettivo è, esattamente, quello di tenere gli infratredicenni fuori dai social salvo che non abbiano e non possano documentare il permesso dei genitori. Difficile non condividere. Nella dimensione fisica, come è naturale che sia, in giro per il mondo, ci sono decine di divieti per i più piccoli così come per i minorenni. Online nessuno o, almeno, nessuno che venga effettivamente fatto rispettare. E non c’è ragione di ritenere che nella dimensione digitale i rischi per i minori siano inferiori a quelli nei quali possono imbattersi nella dimensione fisica.
Anche nel nostro Paese le cose si stanno muovendo. Nelle scorse settimane, infatti, l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni e il Garante per la protezione dei dati personali hanno annunciato l’istituzione di un tavolo che si è dato come obiettivo quello di provare a scrivere, assieme ai gestori delle grandi piattaforme, un codice di co-regolamentazione che stabilisca condizioni, termini e modalità di verifica dell’età degli utenti. L’obiettivo è sempre lo stesso: tenere i più piccoli fuori da ciò che non è per loro. Tante le notizie rimbalzate in settimana a proposito.
Tra le altre quella della Federal Trade Commission statunitense secondo la quale Facebook non avrebbe protetto adeguatamente la privacy dei bambini che utilizzano la sua applicazione Messenger Kids, tra l’altro, rappresentando in modo errato ai genitori le modalità di accesso ai dati da parte degli sviluppatori di App. La soluzione proposta dalla Federal trade commision, a questo punto, è radicale: proibire alla società di trarre profitto dai dati raccolti sugli utenti minori di 18 anni. Niente, peraltro, di diverso da una delle regole appena introdotte nell’Ordinamento europeo con il famoso digital package: niente profilazione commerciale con i dati dei bambini.
La direzione, insomma, sembra segnata. Solo un’avvertenza: stiamo parlando di verifica dell’età e non di verifica dell’identità. Nessuno insomma propone che i gestori delle grandi piattaforme debbano chiedere ai loro utenti un “documento” prima di lasciarli entrare, avendo così una ghiotta occasione di raccogliere ancora più dati e dati di migliore qualità rispetto a quelli che già hanno.
Come sempre se volete saperne di più su quello che accaduto in settimana in giro per il mondo su dati, privacy e dintorni potete leggere qui le notizie quotidiane di PrivacyDaily o iscrivervi alla newsletter di #cosedagarante.