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Presentati i dati del 9° Rapporto sulla Bioeconomia, realizzato da Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster SPRING e Assobiotec – Federchimica
Nel 2022 la bioeconomia in Italia ha raggiunto un valore della produzione pari a 415,3 miliardi di euro, occupando circa 2 milioni di persone. È quanto emerge dal rapporto “La Bioeconomia in Europa”, giunto alla sua nona edizione e redatto dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster Nazionale della Bioeconomia circolare SPRING e Assobiotec – Federchimica. Un’edizione che ha visto anche il contributo di SRM, Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, e il Centro Studi Guglielmo Tagliacarne.
Intesa come sistema che utilizza le risorse biologiche, inclusi gli scarti, come input per la produzione di beni ed energia, la bioeconomia si distingue per essere «un aggregato complesso che comprende l’agricoltura, la silvicoltura, il sistema moda, i bio-prodotti, il legno, la carta, fino ai rifiuti organici, alla bio-energia e alla chimica bio-based», spiega Catia Bastioli, Presidente del Cluster SPRING.
La bioeconomia in Europa
L’ultimo rapporto dedicato a questo meta-settore contiene stime aggiornate al 2022 rispetto al valore della produzione e degli occupati sia per l’Italia che per Francia, Germania e Spagna. Nel complesso, il valore della bioeconomia dei 4 Paesi analizzati ha raggiunto 1.740 miliardi di euro, occupando oltre 7,6 milioni di persone. In termini assoluti, spicca il valore della bioeconomia tedesca, al primo posto per valore della produzione (583,3 miliardi di euro). La Francia si posiziona al secondo posto (452 miliardi di euro), seguita da Italia (415,3 miliardi) e Spagna (289,2 miliardi).
Per quanto riguarda l’occupazione, anche in questo caso la Germania si colloca in vetta alla classifica (oltre 2,2 milioni di occupati), ma l’Italia si posiziona al secondo posto (circa 2 milioni), seguita da Francia (1,9 milioni) e Spagna (1,6 milioni). In termini relativi, invece, si osserva una maggiore rilevanza della bioeconomia in Spagna e Italia che evidenziano un peso sul totale delle attività economiche pari rispettivamente al 12,3% e all’11% del valore della produzione nazionale, e al 7,6% e il 7,8% se consideriamo l’occupazione.
La bioeconomia in Italia
In Italia, in particolare, la bioeconomia è continuata a crescere nel 2022, mostrando un incremento dell’output del 15,9% rispetto al 2021 e confermando segnali di crescita in tutti i comparti del meta-settore. Un incremento condizionato in modo significativo anche dalla dinamica dei prezzi alla produzione, in forte accelerazione nel corso dello scorso anno, per effetto dei rincari delle materie prime, che hanno dato una forte spinta ai listini di vendita. Più stabile invece l’occupazione, su livelli di circa 2 milioni di occupati in tutto il periodo considerato (2019-2022).
«La bioeconomia si conferma un meta-settore rilevante per la nostra economia che potrà avere prospettive di rigenerazione ambientale e sociale ben più rilevanti, qualora saremo in grado di riconoscere il suo valore all’interno della legislazione europea sulla transizione ecologica e del PNRR», commenta Bastioli. «Fondamentale sarà promuovere l’interconnessione di quelle filiere che hanno già dimostrato di essere in grado di disaccoppiare sviluppo e uso delle risorse, integrando economia ed ecologia in una strategia industriale saggia e sistemica con le radici nei territori, che comprenda spazi anche per l’innovazione partecipata», prosegue la Presidente del Cluster SPRING.
Il buon andamento della bioeconomia italiana nel 2022 è confermato anche dai risultati di un’indagine condotta da Istituto Tagliacarne, Unioncamere e Cluster Spring su un campione di oltre 2.000 imprese italiane afferenti al mondo bio-based. I dati sull’evoluzione attesa del fatturato per il 2022 evidenziano infatti una quota più elevata di imprese che stima una crescita rispetto ai dati relativi al campione sondato nell’indagine annuale svolta dal Centro Studi Tagliacarne (55,4% contro il 44%).
«Le produzioni bio-based sono una soluzione su cui puntare per un futuro migliore. SDGs, Green New Deal, PNRR ci indicano in modo chiaro la strada da seguire. Lo sviluppo sostenibile è il traguardo a cui tutti dobbiamo tendere», sottolinea Elena Sgaravatti, Vicepresidente Assobiotec Federchimica. «Per raggiungere questa meta le biotecnologie possono dare un contributo cruciale perché offrono sia strumenti sia prodotti che sanno conciliare crescita economica e rispetto dell’ambiente. Sono motore di innovazione di un meta-settore, quello della bioeconomia circolare, che ancora una volta i dati confermano avere un impatto significativo sull’economia nazionale e che sempre più caratterizzerà i mercati globali», conclude Sgaravatti.
Bioenergia e biocarburanti
La bioeconomia, come evidenziato da Bastioli, si configura come un aggregato che travalica i confini tipicamente settoriali, includendo molteplici attività e settori diversi, interconnessi gli uni con gli altri, dove sono favoriti gli scambi di materiali e tecnologie lungo le filiere. Anche nel 2022 un ruolo di primo piano è stato assunto dal settore agroalimentare, che rappresenta in tutti i paesi analizzati la filiera più rilevante della bioeconomia. Questa nuova edizione del rapporto ha poi approfondito due filiere, in particolare: quella dell’energia, tema di strettissima attualità specie con i riverberi del conflitto in Ucraina, e soprattutto la filiera del tessile-abbigliamento che ha registrato negli ultimi decenni una vera e propria trasformazione, che ne ha modificato gli equilibri a livello mondiale.
Bioenergia e biocarburanti rappresentano solo una percentuale esigua della bioeconomia in Italia. L’analisi di SRM, Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, indica che lo sviluppo dei carburanti alternativi, comprendenti i biocarburanti e i carburanti sintetici, possa rappresentare una alternativa da tenere in considerazione come contributo alla decarbonizzazione sia per i trasporti (in particolare per quelli aerei e marittimi) che per i settori ad elevate emissioni (come acciaio e cemento), che richiedono fonti energetiche ad elevato potere calorifico, cosiddetti hard-to-abate. Secondo l’analisi, il loro sviluppo potrebbe costituire un significativo volano di crescita per le regioni del Mezzogiorno, in una logica di crescente collaborazione e integrazione tra la sponda Nord e quella Sud del Mediterraneo, caratterizzate da risorse naturali, economiche e tecnologiche complementari.
La filiera del tessile-abbigliamento
Per quanto riguarda la filiera del tessile-abbigliamento, l’Italia mantiene un buon posizionamento in termini di produzione bio-based: la quota di produzione di natura bio, infatti, in Italia supera il 46%, a fronte di valori inferiori al 40% per gli altri Paesi europei. L’Italia risulta inoltre il quarto esportatore mondiale di fibre, filati e tessuti bio-based. Risultati che confermano la centralità di questa filiera nella bioeconomia italiana. «La ricerca e lo sviluppo di soluzioni bio-based costituisce una leva strategica di successo anche per le imprese dei settori tradizionali del Made in Italy, come il tessile-abbigliamento. Questa filiera, come emerge dalle nostre analisi, mostra infatti una crescente attenzione alle tematiche ambientali, che coinvolgono tutta la catena del valore, dall’utilizzo di input biologici, fino alla valorizzazione e al riuso degli scarti», commenta Gregorio De Felice, Chief Economist and Head of Research di Intesa Sanpaolo. «La filiera del tessile presenta infatti un alto potenziale di circolarità che ad oggi risulta solo in parte sfruttato. È dunque opportuno che le best practice già in parte adottate si diffondano ulteriormente, sia fra le aziende sia fra i consumatori. In prospettiva l’attenzione a questi temi diventerà imprescindibile come leva strategica per il nostro tessuto produttivo», conclude De Felice.
L’indagine realizzata da Istituto Tagliacarne, Unioncamere e Cluster Spring, ha inoltre evidenziato che oltre il 40% dei soggetti intervistati nella filiera del tessile-abbigliamento dichiara di voler ampliare le proprie produzioni bio-based nei prossimi 3 anni. Un dato che conferma la crescente importanza dei temi di sostenibilità ambientale nella produzione tessile e di abbigliamento. Tuttavia, queste imprese evidenziano con maggiore frequenza la presenza di difficoltà connesse all’utilizzo di materie prime bio-based. Secondo questa indagine, l’ostacolo principale è determinato dai costi elevati, tanto da indurre più di due imprese su tre a limitare il ricorso a materie prime biologiche. A seguire, per rilevanza, figurano le difficoltà di approvvigionamento e la troppa rigidità di regolamenti ed autorizzazioni.