Un designer di formazione, formatosi nel New England. A San Francisco l’idea di condividere l’appartamento con altri colleghi utilizzando Airbed, ossia dei materassini gonfiabili. Da quel momento è nato l’unicorno? Non esattamente. Buon viaggio nella nuova puntata di “Vite Straordinarie – Ritratti fuori dal comune”
Arrivare prima di altri e fare la differenza. In fondo è questa la ricetta vincente di quegli innovatori che battono sentieri inesplorati per spingersi oltre, realizzando vere e proprio Vite Straordinarie. Certo, ci vogliono competenze specifiche, visione allargata, dedizione estrema, coraggio da vendere e una squadra che poi riesca a tirare la volata. Ma le storie che state per leggere e ascoltare su StartupItalia in questo mese di agosto racchiudono tutto questo e molto di più. Parte la rubrica estiva “Vite Straordinarie – Ritratti fuori dal comune” con le storie di Brian Chesky, Serena Williams, Daniel Ek, Elon Musk, Paul Graham, Sam Altman, Licypriya Kangujam, Maya Gabeira, Samantha Cristoforetti, Masih Alinejad, Jeff Bezos, Malala Yousafzai. Dal 7 agosto ogni lunedì, mercoledì e venerdì come cover story un longform scritto dalla redazione centrale di StartupiItalia e con le firme di Alessandro Di Stefano, Chiara Buratti, Gabriella Rocco e Carlo Terzano. Ogni ritratto è accompagnato dalle illustrazioni di Giulio Pompei. E poi c’è un podcast da ascoltare con la voce del direttore editoriale Giampaolo Colletti. Leggi qui sotto la nuova puntata. Nei prossimi giorni su Spotify saranno pubblicate le puntate da ascoltare. Per saperne di più leggi il pezzo di lancio.
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Avete presente gli esordi di Facebook? Il social network ha conquistato in pochi giorni prima l’università di Harvard per poi espandersi in tantissimi altri college americani e, infine, nel mondo. Ecco, quella è la parabola che qualunque founder sognerebbe di vivere. Brian Chesky, nato nel 1981 nello Stato di New York, l’avrebbe preso come riferimento molti anni dopo, quando Airbnb già era un unicorno, per dire che loro hanno vissuto un’esperienza totalmente diversa, frustrante e difficile. Loro, ragazzi convinti fosse possibile che un estraneo dormisse a casa di un altro estraneo per risparmiare, hanno fatto la gavetta sperando che Airbnb gli bastasse per pagare l’affitto. Qualcosa di più grande sarebbe arrivato.
Un inizio difficile
La storia di Airbnb non parte in Silicon Valley, dove poi avrebbe fatto tappa decisiva, ma esattamente dalla parte opposta degli Stati Uniti. Brian Chesky ha iniziato a frequentare la Rhode Island School of Design nel 1999. Siamo nel New England e il ragazzo non è affatto uno sviluppatore, ma un creativo. Frequentando l’istituto ha avuto modo di conoscere Joe Gebbia, che insieme a lui avrebbe poi fondato la startup. Come tutti i genitori, anche quelli di Brian Chesky erano preoccupati che il figlio riuscisse a farsi assumere, a trovare un lavoro e, in particolare negli Stati Uniti, garantirsi un posto che gli pagasse l’assicurazione sanitaria. Dopo la Rhode Island School of Design, è riuscito a diventare industrial designer trasferendosi a Los Angeles, in California. Il lavoro c’era, ma a un certo punto ha deciso di lasciare e scendere verso sud, direzione San Francisco. Lì ci è arrivato sempre con Joe Gebbia, nell’ottobre 2007.
Starete pensando: entrambi avevano magari già in mente di lanciare una startup come Airbnb. Neanche per sogno. Il team si era spostato nella capitale dell’innovazione tecnologica americana senza nulla di concreto neppure in mente. L’affitto era proibitivo: oltre mille dollari al mese. Così è arrivato il primo turning point della vita di Brian Chesky. In occasione di un’importante conferenza dedicata al design, tutti gli alberghi erano pieni e quelle poche camere rimaste avevano costi folli. «Se volete creare un prodotto eccellente, concentratevi su una sola persona. E fate in modo che viva l’esperienza più bella di sempre», avrebbe detto anni dopo Chesky.
Forse per un senso di solidarietà verso i colleghi che avrebbero voluto partecipare all’evento, o forse perché dentro di loro la fiducia verso il prossimo aveva iniziato a esprimersi, fatto sta che hanno deciso di ospitarne alcuni, tre per la precisione. Gebbia aveva tre air bed, ovvero tre materassini gonfiabili. Ed è da lì che hanno iniziato a chiamare la cosa con il suo nome: Airbed And Breakfast. La storia di Airbnb sarebbe molto meno illuminante se dopo quel primo episodio tutto avesse preso la piega giusta. In realtà nei mesi successivi la startup ha macinato numeri bassi. Il 2008 è stato l’anno in cui alla squadra si è aggiunto il terzo co-fondatore, Nathan Blecharczyk, uno sviluppatore e senz’altro la figura tech che mancava al team. Lo stesso anno la startup è riuscita comunque a farsi notare, al punto che la bibbia tech americana TechCrunch sponsorizzava il servizio in vista di un proprio evento. Con un’attenzione maniacale per il design del prodotto e l’esperienza utente, Brian Chesky ha fatto propria una riflessione di Steve Jobs, il genio immortale di Apple: così come per l’iPod dovevano bastare tre clic per lanciare una canzone, allo stesso modo per una persona dovevano bastare tre clic per prenotare un posto dove dormire.
Imprenditori “cereali”
Il 2008 è l’anno della storica elezione di Barack Obama alla Casa Bianca. La campagna elettorale del senatore dell’Illinois è entrata nella storia perché per la prima volta sono stati utilizzati i social network per organizzare eventi e raccolte fondi. E a proposito di queste ultime, il team di Airbed and Breakfast ha trovato per quell’occasione una trovata decisamente fuori dalle righe per finanziare la propria startup: realizzare due edizioni limitate di scatole di cereali per colazione, una con Barack Obama e l’altra con l’allora suo sfidante John McCain, entrambi resi in stile cartoon, con claim accattivanti. Brian Chesky ricorda ancora quel periodo come il momento in cui sono diventati imprenditori “cereali” (divertendosi con l’equivoco degli imprenditori seriali).
Il team non si sarebbe certo aspettato che quelle scatole avrebbero attirato l’attenzione dei piani alti di Y Combinator. Il costo di ciascuna scatola era di 40 dollari – tantino, ma era pur sempre un’edizione limitata, d’altra parte – e l’operazione di marketing è valsa all’azienda i suoi primi 30mila dollari. Sul sito il piatto piangeva: appena due clienti al giorno. Come dicevamo però Airbed and Breakfast ha scelto di percorrere la strada di Y Combinator, l’acceleratore di startup più importante della Silicon Valley, dove hanno incontrato Paul Graham, il co-fondatore e una delle figure ancora oggi più iconiche del panorama startup globale. Nel momento in cui Graham ha scoperto che quei ragazzi erano riusciti ad autofinanziarsi vendendo una scatola di cereali a 40 dollari, quando molto probabilmente ne valeva 4, allora è arrivato alla seguente conclusione: forse potranno convincere estranei ad andare a dormire in casa di altri estranei.
Dopo oltre dieci anni, Airbnb ha capito che perfino un gigante che vale miliardi può incontrare il suo cigno nero. Tantissime aziende hanno subìto danni dopo lo scoppio della pandemia. Non è però difficile immaginarsi cosa debbano aver significato i lockdown, la chiusura dei confini, lo stop agli spostamenti per un’ex startup che ha fatto dell’incontro tra estranei il proprio modello di business. In otto settimane l’azienda ha perso l’80% delle proprie entrate. In quei mesi drammatici in tanti si sono chiesti se Airbnb sarebbe stato o meno il primo unicorno a morire sotto i colpi di quella tragedia globale. Per Brian Chesky è stato il momento più complesso e senz’altro decisivo nel suo ruolo di amministratore delegato. Il turismo, fortunatamente, è tornato a galoppare – come ci ha raccontato il country manager di Airbnb in italia. Per Chesky vale una lezione appresa negli ultimi anni: «Ho capito davvero il valore delle persone. E la buona notizia è che la maggioranza di loro è composta da grandi persone».