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Intervista a Gabriella Colucci di Arterra Bioscience e Alessandra Biffi di Altheia Science, entrambe domani sul palco dell’Auditorium della Conciliazione di Roma per il nuovo evento di Assobiotec. Focus su formazione, ricerca, trasferimento tecnologico, venture capital
Hanno lavorato e fatto ricerca negli Stati Uniti, e poi sono tornate in Italia, trasformando le loro idee e progetti in imprese biotech. A condividere questo percorso sono Gabriella Colucci, presidente e amministratore delegato di Arterra Bioscience, e Alessandra Biffi, professore ordinario di Pediatria all’Università di Padova e co-founder di Altheia Science. Domani, le due ricercatrici-imprenditrici saranno tra i protagonisti di “Meet The Future: le nuove frontiere del biotech”, l’evento promosso da Assobiotec con il supporto di StartupItalia, che si svolgerà a Roma, all’Auditorium della Conciliazione. L’iniziativa, che si rivolge principalmente ai giovani, vuole essere un momento di riflessione su alcune delle leve abilitanti per lo sviluppo delle biotecnologie a livello Paese: la formazione, la ricerca, il trasferimento tecnologico e lo sviluppo delle startup. Sarà un’occasione per confrontarsi e riflettere su questi argomenti anche in vista del lancio del Piano Nazionale per le Biotecnologie recentemente annunciato dal Ministro Urso, che è atteso in presenza. Colucci e Biffi, in particolare, saranno tra gli speaker del panel dedicato a ricerca, TT, venture capital ed ecosistema dell’innovazione.
La storia di Arterra Bioscience
Arterra è stata fondata a Napoli nel 2004 ed è una PMI biotech innovativa che vanta un consolidato know-how in biologia molecolare, cellulare e vegetale, oltre una vasta esperienza nell’identificazione di molecole bioattive con potenziali applicazioni nei più svariati settori: dall’agricoltura alla cosmetica, dalla nutraceutica alla farmaceutica, fino al settore alimentare e quello dei medical device. Potremmo dire che la sua fondatrice, Gabriella Colucci, classe 1960, tante vite in una, ha le biotecnologie nel sangue: «Mio padre era un agronomo, un economista agrario, ed è stato uno dei primi a guardare alle biotecnologie già a metà degli anni ’70 perché aveva la convinzione che la genetica vegetale avrebbe comportato un grosso cambiamento del sistema agronomico e agroalimentare italiano». Dopo un’attività decennale a San Diego, in California, come capogruppo di ricerca nell’Arena Pharmaceuticals, Colucci decide di rientrare nella sua Napoli e qui fonda Arterra Bioscience. Un’azienda fortemente legata al territorio campano, da cui ricava le materie prime naturali alla base di molti dei suoi attivi. Ma la scelta di Colucci di far nascere e crescere l’azienda in Campania, e in particolare nella zona di Napoli Est, non risponde solo a una serie di motivazioni strategiche, ma anche emotive. Come la stessa fondatrice ama ripetere, infatti, «Napoli ha tutte le capacità e le possibilità. Non ci vuole coraggio nel tornare a investire a Napoli, ci vuole coraggio a starci lontano».
Tuttavia, Napoli non offre le stesse opportunità di San Diego. Ma Colucci non si perde d’animo e si adegua subito alle contingenze. «Potevamo usare la nostra tecnologia biotech per fare discovery in partnership con società che invece erano sul mercato e non facevano ricerca in questo ambito». Così, viene intrapresa una partnership con Isagro, che opera nel settore degli agrofarmaci ed era già committente della società, consentendo importanti investimenti in ricerca e produzione. A seguire, viene sottoscritto un contratto di collaborazione scientifica con Intercos, multinazionale italiana che opera nel settore della cosmetica, che nel giro di un paio d’anni si trasforma in Vitalab, joint venture che commercializza tutto quello che Arterra scopre, sviluppa e produce per la cosmetica. Nel 2019 viene raggiunto un altro traguardo importante: la quotazione sul mercato “Euronext Growth Milan” di Borsa Italiana. Il collocamento genererà una domanda complessiva superiore a sette volte il quantitativo offerto, attraendo capitali italiani ed esteri. «Oggi Arterra Bioscience è una green biotech che sviluppa tecnologie abilitanti, con un team di 40 persone, di cui il 50% con un dottorato di ricerca, e all’attivo 55 pubblicazioni scientifiche e 23 brevetti», spiega Colucci. «Noi produciamo principi attivi da colture cellulari, colture radicali, ma facciamo anche moltissimo upcycling. Sono già dieci anni che puntiamo molto sulla valutazione degli scarti dell’agricoltura e dell’agrifood per trarne principi attivi, e quindi per trarne valore. In generale, il nostro DNA è caratterizzato da tecnologie green, che possono essere sfruttate in diversi settori di applicazione».
La storia di Altheia Science
Altheia Science è stata fondata alla fine del 2017 con l’obiettivo primario di sviluppare approcci terapeutici definitivi a beneficio di pazienti affetti da malattie di grande rilevanza sociale, da un lato stimolando il rientro in Italia di ricercatori di alto profilo e dall’altro promuovendo lo sviluppo del settore biotecnologico, coniugando startup e PMI innovative con ricerca universitaria e investimento etico. Altheia ha infatti promosso la costruzione di una relazione solida con le università di riferimento, Padova e Milano, dove lavorano due dei quattro founder: Alessandra Biffi e Paolo Fiorina, rispettivamente professore ordinario presso l’Università di Padova e professore ordinario presso l’Università di Milano, nonché medici-ricercatori di fama internazionale. Gli altri due co-founder sono Pierluigi Paracchi, imprenditore del settore biotech, ceo di Genenta Science, che ha condotto alla quotazione al NASDAQ alla fine del 2021, e Paolo Rizzardi, medico-ricercatore che ha contribuito allo sviluppo di una delle realtà biotech più importanti in Italia, MolMed, di cui è stato direttore generale sino al 2017. Dalla fondazione è chairman e ceo di Altheia Science. La PMI biotech, nello specifico, ha all’attivo numerosi programmi di ricerca sponsorizzata con le Università di Padova e Milano – nelle quali è stata riconosciuta come spin-off – per lo sviluppo dei propri progetti, sponsorizzando anche programmi di dottorato di ricerca. Grazie al primo round di finanziamento per 17 milioni di euro, operato da investitori privati nel 2018, Altheia oggi è una PMI innovativa clinical-ready con l’obiettivo di iniziare nel corso del prossimo anno il reclutamento di pazienti affetti da diabete di tipo 1 e sclerosi multipla nei primi studi clinici. Al progetto su queste malattie autoimmuni si è poi aggiunta un’altra area di interesse che riguarda la leucemia mieloide acuta, una malattia che colpisce molto i bambini, ma non solo. «Questo interesse nasce fondamentalmente dall’unione delle mie competenze e la realtà clinica che ho incontrato a Padova, che si occupa di tumori infantili. Qui abbiamo un’attività di centralizzazione delle diagnosi per alcune forme di tumori del bambino che copre tutto il territorio italiano, abbiamo una biobanca e molte competenze sulla leucemia mieloide acuta. Per questo progetto, i primi studi clinici sono previsti nel 2026», spiega Alessandra Biffi, che è anche direttore Oncoematologia Pediatrica Azienda Ospedale Università di Padova.
«Da sempre faccio questo lavoro con l’entusiasmo di portare la ricerca che facciamo in laboratorio al letto del malato. Da qui nasce anche la voglia di creare una partnership tra l’Accademia e l’industria perché questo, nel mio passato e penso anche al mio futuro, è stato e sarà strategico per fare quello che più mi piace, ovvero riuscire a curare i nostri pazienti con i prodotti della nostra ricerca», sottolinea Biffi, classe 1973, da sempre impegnata nell’ambito delle terapie avanzate, soprattutto della terapia genica. Dopo 15 anni all’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica di Milano, Biffi è partita alla volta degli Stati Uniti, dove è diventata direttore del programma di terapia genica del Boston Children’s Hospital e professore associato di Pediatra dell’Harvard Medical School. L’idea di Altheia nasce da una chiacchierata in un caffè di Longwood, proprio nell’area medica dell’HMS di Boston. «Io e Paolo Fiorina parlavamo di come fosse difficile portare la ricerca fino al letto del malato con le sole risorse accademiche», racconta Biffi. All’epoca, anche Fiorina lavorava presso il Boston Children’s Hospital, dove ha sviluppato approcci innovativi di immunoterapia e trapianto per la terapia del diabete di tipo 1. «Paolo mi raccontava dei suoi risultati sul diabete con l’approccio che oggi è di Altheia e mi chiedeva come aiutarlo ad arrivare in clinica. Io potevo aiutarlo sotto il profilo tecnico, ma ci mancavano i capitali, così abbiamo iniziato a ragionare insieme sul da farsi, visto che entrambi stavamo pianificando anche il nostro rientro in Italia», continua Biffi. «Alla fine, le basi per creare Altheia sono state messe attorno ad un altro tavolo, davanti a del buon cibo, ma stavolta insieme a Paolo Rizzardi e Pierluigi Paracchi. Insomma, l’idea è nata negli Stati Uniti, nella fase di rientro di due scienziati in Italia, ma la realizzazione di Altheia è tutta italiana».
Favorire l’ecosistema dell’innovazione
Sia Gabriella Colucci che Alessandra Biffi, insieme ai rispettivi team, nonostante le difficoltà, sono riuscite a dare vita a delle solide imprese biotech in Italia. Allora, gli chiediamo quali sono le misure e/o gli strumenti necessari per rendere più efficiente l’ecosistema italiano dell’innovazione. Secondo Colucci, bisognerebbe dare un po’ più spazio a una formazione mista, «nel senso che un biotecnologo – ma lo stesso discorso potrebbe valere per un biologo e altre professioni scientifiche – dovrebbe avere anche delle conoscenze di tipo economico, sulla proprietà intellettuale e la parte regolatoria, solo per fare alcuni esempi». In Italia, per Colucci, mancano professionalità specifiche in grado di seguire questi aspetti e i ragazzi non sanno nemmeno che costituiscono delle esigenze reali per il mercato. «Oggi dalle università escono tecnologi specializzati, ma a noi servono anche tutte quelle figure collaterali necessarie a far crescere e consolidare un’impresa biotech, rimanendo nel nostro settore. I percorsi di studio dovrebbero essere aggiornati, prevedendo anche queste necessità formative, altrimenti le aziende sono costrette a formare i laureati anche su questi aspetti», ribadisce Colucci. Dalla formazione estesa anche ad altri campi del sapere alla capacità del sistema Paese di dare delle risposte rapide. «I tempi di risposta sul territorio italiano, positive o negative che siano, sono molto lenti e il nostro lavoro purtroppo soffre enormemente di questa lentezza, che diventa nemica dell’avanzamento del progresso nell’ambito delle terapie avanzate», sostiene Biffi. «Sarebbe necessario, inoltre, favorire un’interlocuzione efficace tra chi detiene delle risorse finanziarie e l’Accademia, per riuscire a dare le gambe a tutto quello che potrebbe fare. In Italia, la ricerca è estremamente buona, e questo sarebbe un ottimo segnale da parte del sistema Paese». A questo punto, che cosa consiglierebbero le due ricercatrici-imprenditrici a chi vorrebbe creare un’impresa in ambito biotech? «Se hanno un’idea, di provarci, guardarsi intorno e cercare dei partner», risponde Gabriella Colucci. Sulla stessa lunghezza d’onda è Alessandra Biffi, che consiglia di «bussare a tutte le porte possibili, perché è davvero un privilegio fare ricerca in un contesto che offre potenzialità di sviluppo traslazionale e clinico».