La startup italiana specializzata nella protezione delle api tra le selezionate dal Consiglio Europeo per l’Innovazione. Il bando è da 2,3 milioni di euro. Intervista al co-founder Niccolò Calandri: «Con l’Ente Spaziale Europeo sviluppiamo algoritmi per classificare in automatico la vegetazione e stimare con meno sensori a terra il potenziale di biodiversità»
Tra le 648 aziende europee che hanno presentato domanda al Consiglio Europeo per l’Innovazione nell’ambito del suo EIC Accelerator, solo il 5% ha avuto accesso al finanziamento di 350 milioni di euro. In particolare, 3 su 47 sono le italiane, il 6% del totale. La Francia, che sul venture capital fa riferimento a sé, ha portato nel programma ben 12 società innovative. Meglio dell’Italia hanno fatto la Germania con 5, e anche il Belgio e l’Olanda, entrambe a quota quattro aziende selezionate. Nelle 3 startup made in Italy della Rosa Eic, oltre a D-Orbit e Nano-Tech, entrambi operative nel comparto aerospaziale, c’è 3Bee, la climate tech company in prima linea nella tutela della biodiversità specializzata nella protezione degli insetti impollinatori. Un ulteriore riconoscimento del lavoro portato avanti della startup che già a dicembre 2022 aveva chiuso un round da 5 milioni che ha visto la partecipazione dell’Agenzia Spaziale Europea. Dalla sua nascita, 3Bee ha sviluppato una rete di oltre 3.000 coltivatori di biodiversità, installato più di 4.000 sensori IoT e rigenerato oltre 40.000 ettari.
In particolar l’UE ha riconosciuto in 3Bee una realtà innovativa grazie soprattutto all’implementazione di Element-E, un protocollo di monitoraggio della biodiversità terrestre implementato da 3Bee basato su bioacustica e remote sensing.
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Una metodologia innovativa che consentirà alle imprese di migliorare il proprio impatto sulla biodiversità e di compensarlo grazie a crediti di biodiversità certificati, in linea con la Direttiva CSRD e la Nature Restoration Law. Uno sviluppo consequenziale alla mission della startup milanese fondata da Riccardo Balzaretti e Niccolò Calandri. Ne parliamo proprio con quest’ultimo.
Una bella notizia entrare nei finanziamenti dell’EIC. Come è stato il processo?
L’abbiamo vissuta come molta ansia, nel senso della sua complessità. La trafila è stata lunghissima, dall’applicazione iniziale, al secondo paper di 60 pagine e poi il pitch finale alla Commissione europea a inizio ottobre. È stata molto intenso e quando è arrivata la notizia a coronamento di un percorso estremamente complicato ne siamo stati super entusiasti.
Qual è stata la cosa in più che vi ha fatto notare e poi scegliere?
Il nostro progetto di monitoraggio della bio-diversità ha un respiro internazionale. Oltre l’Italia coinvolgerà Francia, Germania, Belgio e Polonia, ed è basato sulla tutela della resilienza climatica dell’Europa, quindi un tema estremamente importante, viste le catastrofi ambientali che stanno investendo tutto il continente. Questi sono i due fattori che hanno fatto la differenza: internazionalizzazione e soprattutto contrasto ai cambiamenti climatici, che ormai hanno un costo enorme sulla comunità.
Guardando indietro, com’è nata 3Bee?
Siamo partiti in due, io Niccolò e Riccardo. Io ho un dottorato in elettronica, Riccardo un PHD in biologia, ed entrambi siamo appassionati di ambiente e di dati. L’idea iniziale era proprio quella di unire dati e l’ambiente. La prima cosa che abbiamo fatto è stato capire che per migliorare la tutela ambientale dovevamo partire dalle api, che sono sentinelle dell’ambiente, bioindicatori, che ci permettono di studiare tutti quelli che sono i KPI ambientali. Parametri che acquisiamo tramite un sensore che ascolta quello che le api hanno da dirci. Dalla salubrità delle api e degli impollinatori, riusciamo a capire oggettivamente come sta l’ambiente e la biodiversità di un territorio.
Ci parli del protocollo E-Elements, che è stato determinante nella selezione dell’UE?
Senza non ci avrebbero neanche ascoltato. Abbiamo investito tutte le nostre forze negli ultimi due anni per arrivare ad avere delle validazioni oggettive sul protocollo di certificazione della biodiversità. Un percorso che abbiamo intrapreso con vari enti e università, la Federico II di Napoli, il CNR di Napoli e la Sant’Anna di Pisa. Collaborazioni che ci hanno permesso di arrivare con delle credenziali importanti davanti all’Unione Europea; non come una startup in erba, ma una realtà strutturata con 50 dipendenti e una visione molto strutturata.
Come funziona il protocollo?
Grazie al bando EIC, 3Bee andrà ad applicare il protocollo Element-E su un totale di 250 siti in 4 Stati Europei – Italia, Francia, Germania, Spagna – con l’obiettivo di validare dal punto di vista scientifico la metodologia in diverse aree climatiche e geografiche. EIC Accelerator ci permetterà di sviluppare la tecnologia per certificare la tutela della biodiversità a livello Europeo e in questo modo 3Bee diventerà il primo provider per la tutela della biodiversità con il supporto dell’Unione Europea.
Concretamente, come lavorate con le aziende?
Abbiamo due filoni: c’è un filone di insetting, ovvero in filiera, con tutte le aziende che hanno un impatto sulla biodiversità: Ferrero è un nostro cliente così come Findus, che fa coltivazioni. Andiamo ad analizzare il loro territorio prima da satellite, poi installiamo gli alveari per il monitoraggio, andando così a censire la biodiversità. In seguito installiamo anche dei sensori per ascoltare i suoni che provengono dagli insetti impollinatori, ma anche di rospi, insetti e volatili, quindi tutto ciò che è biodiversità. Questo confluisce in un cervellone che tira fuori un dato di biodiversità che ha l’obiettivo di crescere nel tempo. L’obiettivo delle aziende che aderiscono al nostro protocollo è di partire da una biodiversità medio-bassa, che può essere data dalle monocolture, arrivando ad un livello di biodiversità alta, grazie a vere e proprie azioni di rigenerazione territoriale e ambientale tramite un protocollo certificato validato da terzi. Per gli altri che non lavorano sul territorio, come potrebbe essere una Real estate, creiamo delle oasi esterne che possono essere acquistate per fare compensazione di biodiversità su un terreno limitrofo.
Quali sono i vostri obiettivi a lungo termine?
Come personale cresceremo del 5%. Siamo già ormai 60 persone e arriveremo a 65, circa 70 forse. Crescerà principalmente il mondo del R&D. Stiamo spingendo molto su tutta quella che è la tecnologia di monitoraggio on site, come l’utilizzo dei satelliti per estendere e rendere più scalabile il protocollo. L’obiettivo ora è lavorare in Italia con i maggiori player del mondo Real Estate, della filiera agroalimentare e della filiera energy, specie quelli che hanno impianti fotovoltaici. Ma soprattutto iniziare a essere molto più internazionali, quindi esportare le soluzioni in tutta Europa. Togliendoci un po’ quel essere provinciali che è sempre stato un nostro limite.
E poi c’è la collaborazione con l’ESA, quindi l’utilizzo di satelliti per monitorare macroaree. Come sta andando la collaborazione con l’Ente Spaziale Europeo?
Siamo al 70% del progetto. Il nostro obiettivo è qullo di integrare i sensori sul campo, necessari per prendere i dati reali con i visori satellitari per mappare territori non facilmente raggiungibili. Per far questo con ESA stiamo sviluppando degli algoritmi che ci permettono di classificare in modo automatico la vegetazione presente e di stimare con un minor numero di sensori a terra il potenziale di biodiversità. ESA ci sta dando un boost per velocizzare la scalabilità della tecnologia in Europa.
Un’ultima domanda. A tuo parere, perché c’è poca Italia nella rosa EIC?
Ne ho già parlato anche su LinkedIn. Siamo allo 0,5%, quando in realtà l’Italia rappresenta il 10% della popolazione dell’Europa; siamo 20 volte sotto le attese di quello che dovrebbe essere il rapporto popolazione. La Francia è 20 volte sopra le sue attese, cioè proprio il contrario. Credo che sia colpa nostra, delle startup. Le startup italiane sono molto, troppo nazionali. Se pensiamo ai pochi unicorni che abbiamo che sono andati internazionali, anche loro sono nati estremamente locali. E nasciamo in un mercato che è piccolino, un mercato che sostanzialmente è Milano, Roma, Firenze, Bologna. E finisce lì. Quindi secondo me il vero problema è che mancano startup, oppure ci sono tantissime piccole startup che hanno una visione estremamente provinciale. Come eravamo noi all’inizio. Un errore grave, perché c’è un mercato europeo che è 20 volte più grande, se sei capace di prenderlo.
C’è una via di uscita?
I bandi europei sull’Italia non funzionano. Quello che servirebbe sarebbero tanti PNRR per lavorare sull’internazionalizzazione. Ma per internazionalizzare un’azienda in un mercato con 10 lingue serve molto budget e una mentalità aperta. Ribadisco, bisognerebbe investire tantissimo nella capacità di vendere in altri mercati, perché sono gli altri mercati che portano più valore.