A giugno si vota per rinnovare Parlamento e Commissione; a novembre sapremo chi siederà alla Casa Bianca. Nel frattempo di che cosa si discute quando si parla di tecnologia e innovazione?
A giugno i cittadini europei saranno convocati alle urne per eleggere i membri del Parlamento, passaggio chiave che darà poi forma alla nuova Commissione. In novembre sarà invece il turno degli statunitensi, chiamati a eleggere il nuovo inquilino della Casa Bianca. Su StartupItalia abbiamo sempre seguito i temi tech a ridosso delle elezioni, cercando di dar voce a chi fa crescere l’ecosistema e non ragiona su basi ideologiche e di sterile scontro. In questo articolo ci concentriamo su due appuntamenti elettorali chiave del 2024. Europa e Stati Uniti sono alleati storici e al tempo stesso competitor, soprattutto quando si parla di regole e norme che tentano di contenere le azioni delle Big Tech. Il 2023 è stato dominato dall’intelligenza artificiale, con un protagonismo non indifferente da parte delle istituzioni di Bruxelles. Partiamo dunque da casa nostra, l’Europa. Quali sono i temi tech di cui sarà importante discutere in vista delle elezioni di giugno?
UE, che direzione sull’AI?
L’intelligenza artificiale è, almeno sulla carta, il tema tech che dovrebbe dominare il dibattito tecnologico in vista delle elezioni europee. Il commissario al Mercato interno, Thierry Breton, è un assiduo utente di X, dove nelle scorse settimane ha festeggiato l’accordo dei Paesi membri sull’AI Act, il primo testo al mondo che tenta di regolare il settore e il mercato dell’intelligenza artificiale. Non si tratta di una norma in vigore, ma di un documento di massima che ha individuato alcuni nodi cruciali per stabilire cosa le aziende private potranno (e non) fare con strumenti di AI. Il Parlamento e la Commissione che verranno stabiliti dal voto alle europee di giugno dovranno senz’altro occuparsi della materia.
Una delle questioni su cui i Paesi membri non hanno mostrato dubbi è l’impiego dell’AI per il riconoscimento facciale. A differenza di quanto accade in altri Paesi del mondo, come in Cina dove il controllo sulla popolazione viene effettuato senza curarsi della privacy e dei diritti fondamentali delle persone, nell’UE si è concordato sul fatto che questa soluzione estremamente invasiva potrà essere impiegata dalle forza dell’ordine soltanto in casi specifici: terrorismo, sequestri di persone, violenze sessuali, indagini legate a omicidi.
Disinformazione, chip e siti hot
Lo stesso commissario Breton si è poi mosso nei riguardi delle principali Big Tech americane rispetto al tema della disinformazione online. A inizio ottobre 2023 ha scritto a Elon Musk, proprietario di X, evidenziando quanto il Digital Services Act (DSA) richieda norme trasparenti sui contenuti ammessi e proibiti sui social, con conseguenti azioni celeri per eliminare post, immagini e video che le violano. L’invio della lettera è stato immediatamente successivo all’attacco terroristico di Hamas contro Israele, il 7 ottobre 2023, fatto che ha generato la circolazione di moltissimi contenuti violenti sui social. Musk, secondo l’UE, non avrebbe risposto in maniera adeguata dal momento che in dicembre Bruxelles ha avviato una procedura per violazione del DSA. Sempre Breton ha aggiunto che nel momento in cui X non dovesse prendere contromisure, l’azienda di Musk rischierebbe una multa pari al 6% del fatturato globale o la messa al bando dal territorio UE. Sempre in merito alla sicurezza online e alla tutela dei minori, rischiano sanzioni anche altre società, come Pornhub e siti di contenuti per adulti, se non procederanno a eliminare contenuti pedopornografici (qui l’ultimo aggiornamento che arriva dagli USA e che potrebbe essere copiato in Europa).
Non sappiamo se Musk entrerà o meno nel merito delle decisioni dell’UE a ridosso delle elezioni. Per il momento è molto attivo nei commenti alla politica USA. Ma prima di passare a quel che accade Oltreoceano, aggiungiamo un elemento al quadro dei temi tech in vista delle elezioni europee. Dallo scoppio della pandemia in poi, con i lockdown che hanno messo in difficoltà le filiere globali, l’agenda politica si è riempita di discussioni sulla cosiddetta sovranità tecnologica del vecchio continente. E una delle tecnologie necessarie per raggiungerla si lega al maggior controllo sul segmento dei semiconduttori. Per questo a settembre 2023 è entrato in vigore il Chips Act, legge che punta ad aumentarne la produzione nel vecchio continente. Come spiega Politico oggi l’UE è lontana dall’essere leader nella produzione di semiconduttori (la sua quota è al di sotto del 10%).
Sono altri i Paesi che nei decenni si sono avvantaggiati, con investimenti pubblici e privati. Gli Stati Uniti (con Nvidia) e Taiwan (con TSMC) sono potenze globali che hanno sottratto lo scettro a un Paese ancora centrale come il Giappone (che negli anni Ottanta produceva oltre il 50% dei chip a livello globale). L’UE punta entro il 2030 a recuperare e a controllare il 20% di questa manifattura tech a livello globale. Sarà responsabilità del Parlamento e della Commissione UE che usciranno dalle prossime elezioni impostare la strada affinché questo impegno non rimanga su carta. Tra i tanti altri temi tech in vista delle elezioni europee, ci sono infine il monitoraggio rispetto alle mosse delle Big Tech in ottica antitrust, così come il cantiere aperto sull’euro digitale, sfida su cui la BCE sta puntando e di cui è in corso una fase preparatoria biennale.
I temi tech negli USA
Al momento non è ancora stato deciso quale sarà il confronto elettorale alle elezioni USA di novembre prossimo. Non è tuttavia improbabile che possa verificarsi una riedizione di quanto visto nel 2019, con il confronto tra il Presidente Joe Biden e il suo predecessore Donald Trump. Gli Stati Uniti, dove il PIL è cresciuto di oltre il 5% nel terzo trimestre 2023 e il dato della piena occupazione è incoraggiante, restano un Paese fondamentale quando si parla di tecnologia e innovazione. Negli ultimi anni Biden ha deciso per un corposo investimento di soldi pubblici per far sì che non perda centralità. Lo ha fatto approvando il piano Ira, Inflation reduction act: quasi 800 miliardi di dollari di agevolazioni per l’economia con l’obiettivo di localizzare intere filiere sul suolo americano, a cominciare dalla produzione di semiconduttori e batterie nelle gigafactory.
Tra i temi tech in vista delle elezioni europee e USA c’è anche quello dell’AI e del suo impiego per fabbricare fake news. La disinformazione colpisce tutti gli schieramenti e tutte le idee politiche, tanto che nessuno può definirsi immune, soprattutto chi ritiene di essere più preparato a scovare le bufale. Nel 2024 il dibattito potrà essere inquinato non soltanto dalle fake news, ma anche da immagini, video e voci realizzate dall’AI in cui candidati e personaggi pubblici fanno o dicono cose eclatanti. Sono lontani gli anni in cui le Big Tech della Silicon Valley venivano dipinte come società che avrebbero soltanto migliorato il mondo coi propri servizi. Oggi la loro responsabilità politica nei confronti di quel che accade online ha ricadute sulla salute delle democrazie.
Cosa si farà dunque per arginare l’impiego dell’AI? Il Presidente Biden ha firmato l’ottobre scorso un ordine esecutivo in cui vengono stabiliti otto obiettivi per ridurre i rischi dell’intelligenza artificiale generativa, citando pericoli per l’economia, la sicurezza interna e la salute pubblica. Gli Stati Uniti sono il Paese dove sono state sviluppate alcune delle tecnologie più potenti al mondo, come ChatGPT di OpenAI e Microsoft. Qualunque sarà l’esito sulle regolamentazione, è chiaro che l’obiettivo americano non è tarpare le ali di questi strumenti, ma rafforzarli garantendosi un vantaggio competitivo in termini commerciali, così come geopolitici. Un altro tema di cui si è molto discusso nei mesi scorsi negli USA e che potrebbe riemergere è quello relativo a TikTok. Sono diverse le istituzioni USA – università e enti pubblici – ad aver proibito ai propri dipendenti l’utilizzo del social della cinese ByteDance per presunti rischi legati al furto di informazioni. La questione è ovviamente legata alla guerra commerciale con Pechino, mai attenuatasi durante la presidenza Biden.