Dimostrare per la prima volta che è possibile industrializzare la produzione di poliammidi (nylon) utilizzabili nei settori tessile e moda, automotive, design, elettrico ed elettronico, a partire da acido adipico bio ottenuto da materie prime rinnovabili. In questo caso da oli di scarto e sottoprodotti dell’industria olearia: un traguardo che RadiciGroup, azienda bergamasca da 3mila dipendenti leader mondiale nella produzione di una vasta gamma di intermedi chimici, polimeri, tecnopolimeri ad alte prestazioni e soluzioni tessili avanzate, può dire di aver raggiunto. Grazie a un lungo lavoro su un progetto battezzato Ulisse. La sperimentazione è stata realizzata in collaborazione con aziende, centri di ricerca e università ed è stata sostenuta dal finanziamento erogato dalla regione Piemonte nell’ambito del “Bando IR2 industrializzazione dei risultati della ricerca”.
Oltre la moda: automotive, industria, elettronica
Lanciato a marzo 2018 e dunque con una durata pluriennale, il progetto è nato (e proseguirà) dalla volontà di RadiciGroup di incrementare la sostenibilità dei suoi prodotti, a parità di qualità e performance rispetto agli standard attuali, soddisfacendo le richieste provenienti dai diversi settori strategici per il gruppo: 6.2 milioni di euro il finanziamento complessivo (di cui 1.7 dal Piemonte) per tre linee di ricerca orientate all’economia circolare. La prima ha visto la progettazione e la costruzione di una linea di polimerizzazione per avviare l’industrializzazione di una gamma innovativa di poliammidi biobased e a elevate prestazioni: Radici ha dunque realizzato un sistema produttivo su scala semi-industriale, e quindi versatile, in grado di limitare le quantità di scarto e di rispondere contemporaneamente alle esigenze di più settori, tra cui moda, automotive, tessile, contract, industrial, elettrico ed elettronico.
In seconda battuta, tramite questa linea produttiva, si è arrivati alla produzione di poliammidi parzialmente o totalmente biobased, cioè ottenute in modo parziale o totale da materie prime rinnovabili, e poliammidi speciali (ad elevate prestazioni). In particolare, tra le poliammidi totalmente biobased, la dimostrazione su scala semi-industriale della produzione di PA5.6 rappresenta un primato mondiale. Queste poliammidi hanno caratteristiche diverse e differenti livelli di performance, che le rendono adatte all’impiego in diversi settori: le poliammidi bio o parzialmente bio potranno essere utilizzate in campo tessile e della moda (ad esempio per capi tecnico-sportivi), arredamento, automotive ed elettronica, mentre, tra quelle speciali, si stanno sviluppando dei prodotti in grado di resistere ad alte temperature.
La svolta bio dei processi chimici
Infine, ed è il punto forse più interessante e più sperimentale, la società ha studiato la possibilità di utilizzare biotecnologie per la produzione di acido adipico da fonti rinnovabili (oli di scarto e sottoprodotti dell’industria olearia), un intermedio chimico utilizzato nella produzione di poliammidi oltre che di poliesteri e poliuretani, creando così da zero una tecnologia alternativa a un processo la cui chimica è immutata dagli anni Trenta. Sono state così prodotte alcune tonnellate di acido adipico bio, grazie anche al supporto di Rynetech Bio, azienda americana con una vasta esperienza nel campo delle biotecnologie industriali.
Un bel salto in avanti nel campo dei processi fermentativi e conoscenze nel campo della biologia molecolare e dell’ingegneria genetica per la sintesi di intermedi chimici da fonti rinnovabili. La prossima sfida sarà arrivare al processo di industrializzazione vero e proprio, concretizzando così la possibilità di realizzare un capo moda a partire dall’olio di scarto. Proprio di quest’ultimo aspetto StartupItalia ha parlato con Stefano Alini, Ceo di Radici InNova, che è entrato nel dettaglio di come è stato prodotto il nylon bio.
Cosa si può produrre dal nylon ricavato dagli oli di scarto e quanto è scalabile questa produzione?
“Lo scopo del lavoro di ricerca era dimostrare la fattibilità di ottenere uno degli intermedi del nylon 66, l’acido adipico, di qualità identica a quella del prodotto ottenuto da fonti fossili. È stato dimostrato, in una prospettiva di completa circolarità, che con un processo di purificazione idoneo è possibile ottenere acido adipico di elevata qualità anche partendo da matrici oleose di scarto che inevitabilmente, a causa della loro origine, contengono grandi quantità di impurità.
Il nylon che si ottiene utilizzando questo intermedio ottenuto da oli presenta le stesse prestazioni del nylon tradizionale e può trovare impiego negli stessi settori. Tale intermedio ottenuto da fonte rinnovabile e di scarto è stato combinato con una diammina anch’essa di origine bio per ottenere un nylon 100% bio (PA56) che oltre alla prerogativa di avere un’origine 100% da fonte rinnovabile possiede anche caratteristiche applicative diverse rispetto alla PA66, quale ad esempio una maggiore affinità tintoriale. Relativamente alla scalabilità della produzione si sono presentate diverse sfide tecnologiche su cui si stanno conducendo approfondimenti al fine di rendere tale tecnologia economicamente competitiva rispetto a quella tradizionale”.
Il progetto è ancora in fase di ricerca o possiamo già immaginarne delle implementazioni industriali, magari con qualche partner nel mondo della moda?
“Il progetto ha consentito di dimostrare su scala industriale tutte le fasi produttive che vanno dalla crescita dei microrganismi (seeding) alla fermentazione fino alla separazione e purificazione del prodotto. Pur avendo ottenuto notevoli risultati positivi per l’industrializzazione di un processo economicamente conveniente e competitivo saranno necessari ancora alcuni anni di lavoro. I risultati ottenuti hanno comunque consentito di effettuare una valutazione tecnico-economica molto realistica e di individuare alcune ulteriori ottimizzazioni per migliorare l’impatto economico del processo e renderlo competitivo con quello tradizionale. Sicuramente la disponibilità da parte del mercato ad accettare, in una prima fase di commercializzazione del prodotto biobased, prezzi molto più elevati rispetto allo stesso prodotto da fonte fossile, consentirebbe di accelerare i tempi di industrializzazione del processo stesso”.
Possiamo fare dei numeri sul risparmio in termini di risorse (acqua, elettricità, CO2) per produrre un metro di tessuto in nylon tradizionale contro uno in nylon prodotto da fonti rinnovabili?
“Per poter avere dei dati attendibili per effettuare un confronto degli impatti ambientali è necessario disporre dei dati di produzione da fonte bio relativi ad un processo ottimizzato e industrializzato. In termini generali il nuovo processo presenta sicuramente aspetti vantaggiosi in quanto opera in condizioni operative molto blande (temperatura 30-35°C, pressione ambiente) che consentono l’utilizzo di materiali di costruzione meno pregiati; evita l’impiego di sostanze tossiche/pericolose; realizza una serie di passaggi chimici che le tecnologie tradizionali svolgono in stabilimenti separati e dedicati in un unico reattore; produce rifiuti (biomasse) non pericolosi e valorizzabili”.
RadiciGroup: dalla chimica al tessile
Con circa 3mila dipendenti, un fatturato di 1.019 milioni di euro nel 2020 e un network di unità produttive e sedi commerciali dislocate tra Europa, Nord e Sud America e Asia, RadiciGroup è uno dei leader mondiale nella produzione di una vasta gamma di intermedi chimici, polimeri di poliammide, tecnopolimeri ad alte prestazioni e soluzioni tessili avanzate, tra cui filati in nylon, filati in poliestere, filati provenienti da recupero e da fonti bio, non tessuti e dispositivi di protezione in ambito sanitario. Si tratta di prodotti realizzati grazie ad un know-how chimico d’eccellenza e all’integrazione verticale nella filiera della poliammide, sviluppati per impieghi nell’ambito di molteplici settori industriali, dall’automotive all’abbigliamento passando per sport, edilizia, arredamento ed elettrodomestici. Con le sue macro Aree di Business – Specialty Chemicals, High Performance Polymers e Advanced Textile Solutions – RadiciGroup è parte di una più ampia struttura industriale che include anche il business meccanotessile (Itema) e quelli dell’energia (Geogreen) e dell’hotellerie (San Marco).
In altro foto Liza Summer – Pexels