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Come i cambiamenti climatici influenzano anche la parità di genere

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Il climate change si profila come ulteriore ostacolo alla già ardua conquista della parità di genere: le donne ne risentiranno di più, ma sono anche una risorsa fondamentale per combatterlo

Il climate change si profila come ulteriore ostacolo alla già ardua conquista della parità di genere: le donne ne risentiranno di più, ma sono anche una risorsa fondamentale per combatterlo

Social Innovation
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Paola Centomo
17 mar 2023

Gli eventi atmosferici estremi scatenati dai cambiamenti climatici colpiscono più le donne degli uomini: le donne ne soffrono di più, ne muoiono persino di più. E però le stesse – seppur vittime -, sono anche una risorsa cruciale per combatterli. Avanziamo, dunque, passo passo nel leggere questo legame che sempre più intreccia il genere e la salute dell’ambiente e che incoraggia a costruire la parità anche come leva per contrastare il degrado del pianeta.

Climate change, perché le donne sono più colpite

Una ricerca della London School of Economics, che ha analizzato l’impatto di 141 disastri naturali – vedi uragani, ondate di caldo, inondazioni, siccità – è giunta alla conclusione che finché uomini e donne beneficiano in ugual misura di diritti sociali ed economici e godono, dunque, di pari condizioni di vita, gli indici di mortalità si equivalgono; non appena, invece, l’equilibrio si scompone e le donne subiscono disparità, ecco che finiscono per patire – e morire – di più. L’economista americana Mariama Williams, autrice del saggio Gender and Climate Change Financing, mette per esempio in luce che nelle comunità locali in via di sviluppo le donne abitano luoghi di per sé stessi già meno sicuri, perché la mancanza di risorse autonome – vedi il denaro o la casa – le costringe a vivere in area più vulnerabili, per esempio perché sovraffollate. 

I ruoli sociali giocano, poi, un effetto centrale: per esempio, essendo in capo alle donne la cura di bambini e anziani, sono loro le ultime o le più lente a lasciare i luoghi devastati da un evento violento che richiede fughe immediate e, comunque, la presenza di usanze e regole arcaiche che, sostanzialmente, le relegano in casa le rendono anche culturalmente meno disposte a lasciarla in caso di pericolo. Per non dire del loro minor accesso agli avvisi di pericolo, appunto, che vengono diramati da uomini negli spazi pubblici, sostanzialmente da uomini frequentati. Svelano ancora le ricerche internazionali che, specie in Africa, dove le donne compiono lunghi cammini per approvvigionare la famiglia o la comunità di acqua, sono oggi costrette da siccità e deforestazione a spingersi più lontano dai villaggi, finendo più spesso vittime di agguati e violenze fisiche. Non solo: il carico di lavoro extra richiesto alle ragazze dalla siccità corrisponde generalmente al calo della frequenza scolastica per le più giovani e delle opportunità per le adulte di essere impiegate in professioni retribuite. 

Rodney Dekker / Climate Visuals; foto in alto: Avijit Ghosh / Climate Visuals

Ma i cambiamenti climatici impattano in maniera diversa sui generi persino nei Paesi avanzati, dall’Europa agli Stati Uniti, contribuendo ad aumentare le disuguaglianze: due terzi dei lavori persi negli USA come conseguenza dell’uragano Katrina dell’estate 2005 erano di donne e pure nel nostro Paese, se si legge il Covid anche come figlio dello scompenso ambientale, il 90% della disoccupazione seguita alla pandemia è stata, drammaticamente, femminile (dati Istat).

La soluzione è creare parità di genere

Ma se le disparità di genere fanno sì che le ragazze e le donne siano colpite dagli eventi climatici in maniera drammatica e sproporzionata rispetto a quanto accade agli uomini, occorre agire proprio su queste disparità per contrastare i rischi e i pericoli che incombono: intervenire per migliorarne l’educazione, l’accesso agli strumenti finanziari e al mondo del lavoro, la partecipazione attiva diventa dunque una chiave prioritaria, anche perché, specie nei Paesi meno sviluppati, sono proprio le donne le custodi dell’equilibrio della famiglia e dunque un pilastro vitale della sicurezza delle comunità. 

Secondo la Fao, nell’Africa orientale per esempio, dove l’agricoltura traina l’economia, il 70% della popolazione vive in aree rurali e la terra impiega il 60% degli uomini e quasi il 70% delle donne, le quali sono poi direttamente impegnate anche nelle attività di trasformazione alimentare e di vendita. Senza contare che sono sempre loro a preparare il cibo in famiglia. È, dunque, evidente che supportare in termini finanziari progetti femminili locali, cooperative e iniziative imprenditoriali possa contribuire a sfamare le comunità e a generare un impatto profondo sull’intero sistema sociale, economico, culturale. 

Agenti attive del cambiamento, insieme agli uomini

Chiave prioritaria è rendere le donne – a cui, peraltro, un numero crescente di ricerche associano consumi e scelte più sostenibili – agenti attive del cambiamento e allargare a loro in maniera definitiva la dimensione decisionale: al momento, appena il 15 per cento dei ministri che deliberano sulle questioni energetiche e ambientali del pianeta è rappresentato da donne. Occorre porre sulle decisioni che impattano sul presente e sul futuro delle nuove generazioni uno sguardo di genere, fare sentire i bisogni delle donne insieme a quelli degli uomini, coinvolgerle al pari degli uomini in tutti gli aspetti della politica, dell’economia, della società.

Alla Cop26 di Glasgow l’agenzia dell’Onu UN Women ha sancito ufficialmente che il clima malato aggrava tutte le disuguaglianze, compresa a quella di genere, e che la parità è parte della soluzione ai cambiamenti climatici. Ha scritto l’UN Women: «La lotta al cambiamento climatico deve essere connessa alla lotta contro la disparità di genere: affinché gli sforzi globali contro la crisi climatica siano efficaci, bisogna dare maggiore potere e leadership a donne e ragazze».

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