Il clima torrido vuol dire vigneti a 1200 metri, oliveti sulle Alpi, pomodoro in Pianura Padana. In Sicilia si trasforma in opportunità per frutti esotici: papaia, frutto della passione, lime, banane, avocado, ananas
Il climate change sta segnando un cambio di passo anche in agricoltura. In Sicilia, per esempio, a Giarre ai piedi dell’Etna, il clima torrido comincia a trasformarsi in opportunità che permette la coltivazione dei primi avocado Made in Italy, frutto tipicamente tropicale. A Palermo, grazie al microclima e alla posizione soleggiata, si riesce ora a produrre le prime banane nostrane. A Terrasini (Palermo) è nato il frutteto dell’accoglienza multiculturale dove accanto ai limoni e alle arance vengono prodotti papaia, frutto della passione, lime, banane e ananas. Si tratta dell’innovazione determinata anche dal cambiamento climatico, rileva Coldiretti. Il riscaldamento del pianeta ha effetti anche sui prodotti tipici perchè provoca mutazioni delle condizioni ambientali tradizionali e anche nell’isola ora si coltivano con successo varietà che trovano buone risposte nel mercato.
L’export della Sicilia cresce del 3,7%
La buona notizia viene dall’export agroalimentare siciliano: pane, pasta, dolci, vini, birre, carni e salumi, formaggi, pesce e conserve, nei primi sei mesi del 2015, rispetto allo stesso periodo del 2014, hanno visto una crescita dell’export del 3,7%, con un giro d’affari di 261 milioni di euro. Sono 10.197 le imprese artigiane dell’Isola, laboratori e botteghe, che offrono produzioni straordinarie per qualità, gusto, tradizione e genuinità e che nel terzo trimestre di quest’anno sono cresciute dello 0,7%, contando su 70 unità in più rispetto allo stesso periodo 2014. I prodotti siciliani piacciono soprattutto nei mercati fuori dall’Ue a 28, dove le vendite hanno avuto un’impennata del 13,8% mentre all’opposto sono diminuite del 2,8% nel vecchio continente. Delle oltre 10mila imprese, 6.046 sono pasticcerie, panifici e gelaterie – che costituiscono il comparto più consistente pari al 59,3% -, 234 pastifici, 143 sono attive nella lavorazione e conservazione di frutta, ortaggi e pesce, 142 nel lattiero caseario, 105 nell’ambito delle spezie e condimenti, 50 nell’ambito dei vini, birre e distillati vari.
Dai salumi al vino, sta cambiando tutto
Ma tornando al riscaldamento del pianeta, gli effetti non riguardano solo la Sicilia, ma ad esempio tutti i prodotti tipici in genere. Perché il cambio del clima provoca il cambiamento delle condizioni ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per l’affinamento dei formaggi o l’invecchiamento dei vini. Secondo una analisi della Coldiretti negli ultimi 30 anni il vino italiano è aumentato di un grado ma si è verificato nel tempo un anticipo della vendemmia anche di un mese rispetto al tradizionale mese di settembre, smentendo quindi – sottolinea la Coldiretti – il proverbio “ad agosto riempi la cucina e a settembre la cantina”, ma anche quanto scritto in molti testi scolastici che andrebbero ora rivisti.
La frontiera nord dell’olio
Il caldo ha cambiato anche la distribuzione sul territorio dei vigneti che tendono ad espandersi verso l’alto con la presenza della vite a quasi 1200 metri di altezza come nel comune di Morgex e di La Salle, in provincia di Aosta, dove dai vitigni più alti d’Europa si producono le uve per il Blanc de Morgex et de La Salle Dop. Si è verificato nel tempo anche un significativo spostamento della zona di coltivazione tradizionale di alcune colture come l’olivo che è arrivato alle Alpi. È infatti in provincia di Sondrio, oltre il 46esimo parallelo, l’ultima frontiera nord dell’olio d’oliva italiano. Negli ultimi dieci anni la coltivazione dell’ulivo sui costoni più soleggiati della montagna valtellinese è passata da zero a circa diecimila piante, su quasi 30 mila metri quadrati di terreno. Nella Pianura Padana si coltiva oggi circa la metà della produzione nazionale di pomodoro destinato a conserva e di grano duro per la pasta, colture tipicamente mediterranee.
A rischio anche lo champagne
Ma il surriscaldamento del pianeta, oltre a far arrivare in Italia le prime coltivazioni di banane e avocado, ha anche messo a rischio le piante di cacao dell’Africa occidentale, dove il clima sta diventando più secco. E l’effetto serra taglia anche la resa delle colture di orzo e luppolo per la birra in Belgio e Repubblica Cec. Anche i produttori di champagne francesi sono in allarme per l’aumento delle temperature di quasi 1,2°C negli ultimi 30 anni nella zona di coltivazione tanto che autorevoli studiosi hanno ipotizzato lo spostamento fino in Inghilterra della zone di coltivazione più idonee.